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TESTO Commento su Matteo 22,15-22

don Walter Magni  

VIII domenica dopo Pentecoste (Anno C) (04/08/2019)

Vangelo: Mt 22,15-22 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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15Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». 22A queste parole rimasero meravigliati, lo lasciarono e se ne andarono.

Alla domanda di chi voleva metterLo alla prova con malizia Gesù risponde giocando al rialzo. Come in occasione dell'episodio descritto dal Vangelo di questa domenica. Quasi un invito a guardare ai potenti e ai re delle nazioni con benevolenza che con sospetto. Come Paolo che nell'epistola invita Timoteo e la sua comunità a pregare con intensità e convinzione “per i re e per tutti quelli che stanno al potere”.

“Di chi è l'immagine?”
Cominciano dunque i farisei che dicono a Gesù con tono provocatorio: “è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?”. Gesù non sta al loro gioco, ma li introduce piuttosto nella Sua prospettiva. Si avvia così un dialogo sottile e avvincente. Allora Gesù chiede a loro: “ ‘mostratemi la moneta del tributo'. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: ‘Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?'. Gli risposero: ‘di Cesare'”. Perché Gesù chiede di vedere una moneta? Sicuramente l'aveva già vista. Ma richiedere loro di vederla adesso permette a Lui di avviare una considerazione sottile. Come volesse passare dalla logica del marchio e dell'immagine di quella moneta ad una dimensione ben più profonda. Cesare, può anche continuare a mettere la sua immagine sulle monete, come volesse marchiare segnare e asservire tutti coloro che nei modi più diversi si sarebbero serviti di quella moneta. Ma c'è un limite: I potenti, l'imperatore o l'alta finanza potranno anche cercare di comprarti, di segnarti, di asservirti, marchiando una moneta con la loro immagine. Ma su di te, sulla tua persona e sulla tua vita non avranno mai alcun potere. Nessuno può comprarti, perché appartieni anzitutto a Dio. Perche a sua immagine e somiglianza sei stato concepito e creato. Ogni uomo e ogni donna portano scolpita in sé, indelebilmente, l'immagine, il marchio di Dio. E questo ci fa liberi e resistenti a ogni tentativo di asservimento. A chiunque io potrò sempre dire: io non appartengo a te, io appartengo anzitutto a Dio e al suo sogno su di me!

Dare a Cesare non è come dare a Dio
Così si comprende la sentenza di Gesù: “rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Due affermazioni che non vanno sovrapposte, ma sono dette in sequenza logica, secondo la logica di Dio. Altro, infatti, è la logica mondana dello scambio, del do ut des, e altro è invece quella della restituzione di ciò che conta, di ciò che più vale. Posso pagare tutto quello che voglio col denaro che ho a disposizione, ma c'è una cosa che è impagabile, che nessun prezzo potrà mai adeguare: il valore impareggiabile della esistenza che Dio mi ha regalato. L'invito a pagare Cesare non è paragonabile all'invito a restituire a Dio. Siamo su un piano totalmente diverso. Davanti ad una distanza abissale che non può essere colmata dal principio della restituzione del dovuto. Altro è pagare ciò che è dovuto, consapevoli che si tratta di equiparare anche col denaro un servizio, un bene del quale ho usufruito. E altro è accorgersi, stando dalla parte di Gesù e del Suo Vangelo, che saremo sempre in debito nei confronti di Dio che ci ha creati. Che anche a rischio della vita di Suo Figlio ci ha comprati a caro prezzo (1 Cor 6,20). Gesù nel nome di Dio ci sta chiedendo di ricordare al mondo che, al di là dei nostri affari e delle nostre strategie, dovremo sempre difendere con i denti il valore impareggiabile dell'esistenza umana, di ogni uomo e di ogni donna che nasce nel mondo.

Tutto è grazia
Per questo, dunque, non ci resta che ringraziare. Mi ha sempre colpito un'espressione usata da Gesù, dopo che aveva guarito dieci lebbrosi, giungendo a costatare che solo uno era tornato a ringraziarLo. Diceva Gesù: “'non si è trovato nessuno che sia tornato per dare gloria a Dio tranne questo straniero? ‘E gli disse: ‘Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato'”. (Lc 17,18-19). Non solo la logica della restituzione non è scontata ai nostri giorni, ma anche la pratica del ringraziare sembra sia diventata molto rara. L'assolutizzazione dell'individuo, l'esasperazione dei diritti rispetto ai doveri, ci ha abituati a dimenticare l'orizzonte della gratuità. Quel livello dell'esistenza che non ci mette di principio mai sopra gli altri, ma piuttosto davanti a ciascuno vis-à-vis, come anche vis-à-vis con Dio. Quando si comincia a comprendere il valore ineludibile del ringraziare, intuendo, come già affermava il Curato di campagna di G. Bernanos, ormai prossimo alla morte, che “tutto è grazia!”, questo significa che l'orizzonte di Dio non è lontano. Ci si avvicina al suo modo di ragionare, di amare, di stare con gli uomini. Questo significa in ultima analisi la sentenza di Gesù: “rendete (...) a Dio quello che è di Dio”. Perché da Lui deriva: il respiro, il volere e l'operare, il gioire e l'amare, i talenti, il seme di una vita destinata a sbocciare nell'eternità del suo abbraccio. Signore insegnaci ad essere dei debitori semplicemente grati. Infinitamente grati.

 

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