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TESTO Accumulatori o erogatori di beni?

don Giacomo Falco Brini  

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (04/08/2019)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Quest'anno in Terra Santa abbiamo avuto un incontro a sorpresa. Abbiamo potuto scambiare due chiacchiere con Mons. Pierbattista Pizzaballa, arcivescovo e patriarca latino di Gerusalemme. Un uomo davvero semplice, figlio di S. Francesco in tanti sensi. A chi gli ha domandato circa le complesse problematiche delle relazioni tra ebrei, arabi e cristiani, ha risposto sempre con coscienziosa penetrazione della realtà. Ma quanto al modo di vivere di costoro a Gerusalemme vecchia, ha tolto dalla nostra testa stereotipi abbastanza diffusi. “Non è che qui le cose fra loro siano molto diverse da altri luoghi della terra” - ci ha detto. “Tutto sommato, anche qui c'è sempre una grande, ingiusta disparità tra ricchi e poveri da rilevare, ebrei, arabi o cristiani che siano...” E ha aggiunto: “non dimentichiamoci che, per coloro che possiedono molto, i beni non saranno mai abbastanza”. Quest'ultima affermazione è la cornice più adeguata per spiegare il ragionamento dell'uomo stolto nella parabola. E smaschera l'inganno pericoloso che si cela dietro l'amore smodato dei beni terreni.

A parte il fatto che, leggendo combinatamente Qoèlet e S.Paolo (rispettivamente nella 1 e 2 lettura), riceviamo subito l'invito a non fermare il nostro sguardo sulle cose della terra, ma a considerarle per quello che sono; la parabola viene raccontata da Gesù quale salutare ammonimento mosso dalla domanda di uno della folla, il quale vorrebbe che si schierasse a sua difesa comandando al fratello la spartizione dell'eredità (Lc 12,13). Il Signore però si sottrae subito a una simile istanza: con la sua secca risposta, chiarisce che in litigi e divisioni per questioni di eredità umane Lui non avrà mai parte! (Lc 12,14) La richiesta gli dà tuttavia l'occasione per avvertire tutti: fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia (Lc 12,15). Ed è a questo punto che Gesù, ancora una volta, racconta una semplice parabola per stanare lo “sragionamento” nascosto nei pensieri dell'uomo che ama le ricchezze più di Dio e i fratelli.

L'avvio è dato da un'eccezionale annata della propria campagna (Lc 12,16). In questa scarna apertura, c'è già contenuto tutto il prosieguo della breve parabola: quell'uomo sembra non conoscere affatto l'amore del Padre. Se lo avesse conosciuto, si sarebbe sentita un'altra musica. Per quell'abbondanza avrebbe prima di tutto ringraziato Dio. E se fosse fiorita la gratitudine, avrebbe sentito subito il bisogno di condividere tale eccesso di risorse. Invece niente. Tutto quanto egli dice, nel suo pensare tra sé, indica che non ha come centro e riferimento il Padre. Al centro c'è solo lui con i suoi bisogni. Il suo progettare parte da lì e finisce lì. Notate nel ragionamento la presenza dell'aggettivo possessivo “miei” che diventa poi “mia” quando invita l'anima a godere di quanto accumulato. L'esito del pensiero sul proprio futuro, del progetto con tutti i suoi calcoli, è segnato: non ha rivolto la sua domanda “che farò?” al Padre, ha pensato un futuro senza di Lui, dunque costui è l'uomo stolto che non costruisce la sua casa sulla roccia, ma sulla sabbia (cfr. Mt 7,26).

Non può che essere così. Chi vive dimenticandosi di Dio o, peggio ancora, come se Dio non esistesse, finisce prima o poi per dimenticarsi della vita degli altri, finisce per non accorgersi nemmeno di chi gli vive accanto soffrendo. Luca “dipingerà” ancor meglio i tratti di uno uomo così nella celebre parabola del ricco Epulone (Lc 16,19-31). La cosa tristissima è che, alla fine, proprio quella realtà augurata nei verbi della esortazione finale, riposati, mangia, bevi, divertiti, (Lc 12,19) viene meno in chi ha progettato la vita sul proprio egoismo, anche prima della morte! Conosco delle persone ricche che sanno ancora condividere, ma ne conosco molte di più, chiuse nel loro mondo, che cercano spasmodicamente di allungare i propri anni, senza preoccuparsi minimamente di soccorrere, con le loro immense ricchezze, le sofferenze dei poveri. Alla lunga, costoro non possono riposare veramente, né godere in serenità di quanto si ritrovano tra le loro mani: la brama di avere di più li domina, perché per loro i beni non sono mai abbastanza. Avere di più è un cibo che non sazia mai e non ti fa dormire!

Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio (Lc 12,21). Cioè, per chi vive accumulando, avviene un brusco risveglio all'avvicinarsi della morte. Pensava di poter decidere non solo dei propri beni, ma anche del tempo a disposizione: hai a disposizione molti beni per molti anni (Lc 12,19). Ma le nostre ore sono contate da un orologio che noi non possiamo affatto regolare! Il giudizio di Dio è limpido (Lc 12,20): chi vive così è uno stolto, uno che ha perso l'intelligenza per l'insaziabile brama di possesso propria di chi pone la sua sicurezza nelle ricchezze. Come afferma perentoriamente anche il salmo: l'uomo nella prosperità non capisce, è come gli animali che periscono (Sal 49,13). C'è invece un modo di vivere da credente, che esclude il verbo “accumulare” e fa arricchire davanti a Dio. Accumulare infatti, non è un verbo divino. Dare, donare, amare, condividere, sì. Dio è dispensatore di doni. Chi crede in Lui, cerca di vivere da figlio suo, facendosi erogatore di quanto riceve in dono. Qui trova la sua vera ricchezza, l'unica eredità per la quale non verrà mai a contesa con i fratelli. Ma lo vedremo meglio nel vangelo di domenica prossima, pagina in cui il Signore proseguirà questo insegnamento.

 

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