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TESTO Ricco-povero

don Luciano Cantini  

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (04/08/2019)

Vangelo: Lc 12,13-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,13-21

In quel tempo, 13uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». 14Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

16Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. 17Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? 18Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. 20Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. 21Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Un raccolto abbondante
La parabola che Gesù racconta è stupefacente, non tanto per il racconto dalla conclusione scontata quanto per la finezza e l'arguzia spese nei particolari. La struttura è semplice: l'abbondanza del raccolto richiede strutture adeguate ma tutto è inutile perché c'è un limite oltre il quale le cose accumulate non hanno senso.
"Noi possiamo avere tante cose, essere attaccati al denaro, averne tanto, ma alla fine il denaro non possiamo portarlo con noi: ricordiamo che il Sudario non ha tasche" (Papa Francesco 7.8.16).
La parabola inizia da una “gratuità, un dono”: La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Non c'è un merito, una motivazione che giustifichi l'abbondanza del raccolto se non la generosità della campagna.
Altro aspetto del racconto è l'isolamento dell'uomo ricco che ragionava tra sé concludendo addirittura dicendo: poi dirò a me stesso... Quando progetta sembra essere l'unico che demolisce, costruisce, raccoglie, gli altri non esistono, non c'è parvenza di relazione; eppure qualcuno ha lavorato il campo, ha raccolto, qualcuno dovrà demolire e ricostruire ma per quell'uomo c'è solo il proprio “io”, lui solo è il motore e il destinatario del tutto: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!
Quell'uomo sembra molto lontano dal nostro vissuto, pochissimi detengono nel mondo la maggior parte delle risorse disponibili e noi non siamo tra quelli, ma è anche vero che per moltissimi nel modo noi rappresentiamo la categoria dei ricchi. Rispetto alla maggior parte degli esseri umani abbiamo a disposizione molte risorse di cui non neppure facciamo caso: l'acqua, l'assistenza sanitaria e sociale, la libertà di pensiero e di espressione, una pensione... e tanto altro che nella maggior parte del mondo è negato.
Il rischio che corriamo è quello di isolarci, di cominciare a pensare: Anima mia, hai a disposizione molti beni... senza vedere i bisogni degli altri. I cosiddetti sovranismi, i nazionalismi, gli autonomismi vanno proprio in questo senso, la paura di disperdere e condividere la ricchezza acquisita fa' chiudere porti, confini, cancelli, costruire muri e separazioni.

Di chi sarà?
L'uomo della parabola non fa niente di male, anzi comincia a progettare per sistemare le sue cose, ma si pone con se stesso come il signore della sua vita: questo è il punto più complesso dell'esperienza umana che tramuta una attività ritenuta lecita e giusta in un atto perverso.
La parabola descrive la follia che riduce l'uomo a parlare solo con se stesso e di se stesso, le sue cose si sostituiscono ad ogni umana relazione e diventa solo. Ogni comunione è persa e quest'uomo ricco di cose e povero di umanità muore lontano da Dio e lontano dagli uomini: "...quello che hai preparato, di chi sarà?"
Al contrario di Zaccheo (cfr. Lc 19, 1-10) che spogliandosi dei suoi averi per i poveri ottiene la salvezza. La ricchezza non è di cose ma di persone, quelle che Dio ci fa incontrare; se noi mettiamo steccati e paletti ci rinchiudiamo in uno scenario di morte senza speranza: che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso? (Lc 9,25).

Non si arricchisce presso Dio
Le cose non possono avere il sopravvento sulle persone, ciò che è bene strumentale non può diventare così importante da essere elemento discriminante da mettere a repentaglio le relazioni umane come per quel tizio che preoccupato dell'eredità pone la domanda a Gesù. Invece è proprio così, lo testimonia l'attenzione che i mass-media dedicano alle borse, allo spread o al rating delle agenzie. Il denaro è diventato il nuovo regnante e padrone, appartiene solo a se stesso, corre da un angolo all'altro della terra, supera ogni confine di spazio e di tempo tanto rapidamente che la sua proprietà non ha più senso come non hanno senso i confini tra stati e continenti. Se la ricchezza diventa il padrone della vita neanche si riesce a vedere chi ci circonda né i bisogni degli altri (cfr la parabola del ricco e del povero Lazzaro, Lc 16,19-31).
Arricchire "presso" Dio, significa diventare ricchi di relazioni, di compassione, di misericordia di comunione, ricchi di uomini e di donne del nostro tempo.

 

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