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TESTO Cominciando da Gerusalemme

don Alberto Brignoli  

Ascensione del Signore (Anno C) (02/06/2019)

Vangelo: Lc 24,46-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,46-53

46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Ci sono delle situazioni nelle quali l'unica cosa che vorremmo fare è di cercare di farla pagare a qualcuno. Per quanto ci impegniamo a voler perdonare, o quantomeno a ignorare i torti subiti e cercare di passare oltre, non possiamo dimenticare, e alla prima opportunità, esplicitamente o magari un po' di nascosto, restituiamo il conto a chi ce l'ha presentato. Soprattutto quando il torto subito riguarda ciò che di più caro abbiamo, ossia le persone a cui teniamo di più, le persone a cui vogliamo più bene: come quando si tocca in figlio a una madre, o la persona amata, l'amico o amica del cuore a chi, per lei o per lui, sarebbe disposto a tutto. Perché siamo fatti così, c'è poco da fare: cambiare mentalità e passare dalla “legge del taglione” alla “legge del perdono” richiede uno sforzo enorme che da soli non siamo capaci di affrontare. Ancor più quando c'è di mezzo il cuore.

Oggi mi sono chiesto che sentimenti dovevano provare i discepoli di Gesù, gli Undici, nei confronti degli abitanti di Gerusalemme: delle autorità religiose e politiche in modo particolare, ma più in generale della città stessa. Loro, galilei per origine e per idee religioso-politiche, quindi già poco inclini per natura ad avere come riferimento di vita e di fede la Città Santa, si ritrovano, dopo tre anni di vita insieme, senza il Maestro, vilipeso, offeso, martoriato e ucciso in croce, proprio da quegli abitanti di Gerusalemme che cinque giorni prima lo avevano acclamato Re e Messia al suo ingresso in città. È vero, ci sarà pure l'attenuante dell'essere stati sobillati e istigati dai loro capi, invidiosi di Gesù al punto da riuscire addirittura a corrompere uno dei suoi fino a indurlo a tradire il Maestro: ad ogni modo, le grida che invocavano la sua crocifissione pare fossero molte e consistenti. Tanta rabbia, quindi, nei confronti di una capitale che non avevano mai amato più di tanto, e dalla quale sarebbero fuggiti e tornati in Galilea al più presto e molto volentieri.

Invece, non è così: perché mentre Marco, Giovanni e Matteo mostrano il gruppo degli Undici fin da subito invitato dal Maestro stesso a “tornare in Galilea, dove mi vedranno”, Luca (che quest'anno leggiamo in veste di autore non solo della prima lettura, ma anche del Vangelo) insiste sul fatto che il Risorto vada annunciato a partire da Gerusalemme, e quindi senza che i discepoli si allontanino dalla città. E questo fin da subito, fin dalla sera di quel primo giorno dopo il sabato, quando addirittura Gesù rincorrerà due di loro - già in viaggio probabilmente proprio verso la Galilea - e nel cuore di notte li farà tornare di corsa da Emmaus a Gerusalemme.

Provare odio, rancore e sete di vendetta nei confronti di una città e della sua gente; cercare di passare oltre e di tornarsene il prima possibile in Galilea per evitare ritorsioni nei loro confronti; ripartire da capo, da quel lago di Tiberiade sulle cui sponde avevano conosciuto quel Maestro straordinario trattato come un verme dai gerosolomitani... e ritrovarsi, invece, costretti a rimanere a Gerusalemme, “a non allontanarsi dalla città”, e per giunta su richiesta del Maestro stesso. Verrebbe da dire: “Oltre al danno, la beffa!”.

Eppure, mai come oggi, giorno in cui ricordiamo il ritorno di Gesù alla destra del Padre, la Liturgia della Parola ci parla di Gerusalemme, citata almeno cinque volte tra prima lettura e vangelo: e sempre con l'indicazione di “non allontanarsi da Gerusalemme”, di “restare in città”, di “cominciare da Gerusalemme”. “Per cosa, poi?”, ci verrebbe da dire, forse interpretando anche i sentimenti degli Undici. “Che cosa siamo costretti a fare, rimanendo in una città che, come ha odiato e messo a morte il Maestro, cercherà - riuscendoci, peraltro - di fare altrettanto con noi?”. Se fossero dovuti rimanere in città per organizzare una rivolta e una vendetta nei confronti di chi aveva messo a morte il Maestro, credo che ci sarebbero riusciti tranquillamente, e forse si sarebbero sentiti pure molto motivati, vista la rabbia e la delusione che avevano in corpo: e difatti, chiedono al Maestro se non fosse quello il tempo in cui bisognava ricostruire il regno d'Israele, con la forza delle armi e della violenza. E per tutta risposta, viene ordinato loro di rimanere in città per cominciare proprio da Gerusalemme ad annunciare la conversione e il perdono dei peccati. Cominciando da Gerusalemme. Cominciando da chi, invece di perdono dei peccati, avrebbe meritato un castigo esemplare, di quelli che avvenivano nell'Antico Testamento, alla stregua del diluvio, di Sodoma e Gomorra, dell'Egitto e delle mura di Gerico.

No, nessun castigo: “Conversione e perdono dei peccati”. Prima di tutto, conversione, ovvero cambio di mentalità, cambio di logica, cambio di modi di ragionare. E la prima conversione, il primo cambio di mentalità è proprio quello di uscire dalla logica della vendetta e della ritorsione per entrare nella logica del perdono. Però, questo riesci a farlo nella misura in cui non scappi, nella misura in cui, prima di andartene in tutto il mondo e predicare il Vangelo a ogni creatura, ti metti il cuore in pace e ti riconcili con quella città che ti ha portato via tutto, che ti ha tolto la gioia di vivere e di credere, e che si è dimostrata opportunista e cinica, mettendo in croce nel giro di pochi giorni quel Maestro che per almeno tre anni era passato in mezzo a loro facendo del bene a tutti.

È necessario far pace con tutti: con Dio, con Gerusalemme, con noi stessi. Altrimenti, ci si fa amaro il sangue, e da questa spirale di violenza non se ne esce più. Facile a dirsi, certo: ma attuarlo è un po' più complesso. Senza un aiuto, un sostegno, una forza interiore che viene dall'alto, convertirsi e perdonare i peccati non è cosa da poco.

La Forza dall'alto per fare questo, arriverà: nel frattempo, rimaniamo a Gerusalemme, abbassiamo il nostro sguardo spesso rivolto al cielo e iniziamo a guardare con un po' d'amore anche questa nostra misera città terrena.

 

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