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TESTO Perché state a guardare il cielo?

diac. Vito Calella

Ascensione del Signore (Anno C) (02/06/2019)

Vangelo: Lc 24,46-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 24,46-53

46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

50Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. 52Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Noi ci immaginiamo l'ascensione di Gesù al cielo come se fosse un film, un fatto di cronaca. Ci attrae lo spazio immenso del cielo azzurro sopra di noi perché ci fa sentire piccoli come un puntino insignificante di fronte all'infinito dell'universo e al tempo stesso ci sentiamo grandi e riusciamo ad essere consapevoli dell'importanza del nostro agire responsabile in questo mondo. Nel contesto in cui viviamo, ciò che vale molto sembra essere la propria personale iniziativa, i propri progetti, la propria libertà di scegliere il distino da dare alla vita, forse in modo troppo "esclusivamente umano".

Guardare il cielo o fissarci nell'immagine simbolica del cielo è un'esperienza richiamata nel racconto dell'ascensione sia del vangelo, sia degli Atti degli apostoli, e anche nella lettera agli Ebrei. «Si staccò da loro e fu portato verso il cielo» (Lc 24, 51). «(gli apostoli) stavano fissando il cielo mentre Gesù se ne andava» (At 1,10b). «Cristo, non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo, figura di quello vero, ma nel cielo stesso, allo scopo di presentarsi al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9, 24). Con la mentalità scientifica di cui siamo impregnati è chiaro che il cielo è semplicemente l'aria vitale che avvolge il nostro pianeta e al di là di essa anche la Terra, pianeta azzurro, diventa un puntino insignificante nello spazio infinito del cosmo. Il cielo è un simbolo. L'atmosfera fisica, fatta dell'aria che respiriamo, è un segno visibile ai nostri occhi, ma ci vuole rimandare alla realtà più profonda dello sguardo della nostra coscienza. È lo sguardo contemplativo, illuminato dalla luce meravigliosa delle Sacre Scritture, che ci parlano di Gesù e soprattutto della centralità dell'evento della sua morte, sepoltura e risurrezione. Lo sguardo profondo della nostra coscienza, coltivato con il silenzio e la preghiera, può arrivare a cogliere questo: a partire dal momento storico in cui il corpo del crocifisso fu risuscitato dalla morte, trova per sempre ospitalità in Dio Trinità tutto ciò che non è Dio, cioè la vita di ciascun essere umano gettato all'esistenza breve in questo mondo, la vita di tutti gli altri esseri viventi, e la realtà stessa di tutte le cose che chiamiamo ambiente naturale. L'immensità del cielo rappresenta simbolicamente la pienezza dei tempi in cui già viviamo, cioè «il disegno del Padre di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10). Il cielo ci ricorda che tutto è già “Cristificato”! Ma cosa vuol dire questo? Significa che il Cristo risorto è presenza viva e attiva, già ora, nel cuore di ogni essere umano grazie al dono pasquale dello Spirito Santo.

L'ascensione di Gesù al cielo inaugura nella storia dell'umanità la pienezza del tempo, cioè il tempo dello Spirito Santo.

C'è un “già”: tutto è già comunione garantita dalla parte divina, perché la nuova ed eterna alleanza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo con l'umanità intera è già una proposta disponibile e irremovibile.

Ma c'è un “non ancora”: l'attesa rispettosa del riconoscimento umano, che possiamo chiamare “la sfida della nostra libertà o responsabilità”. Ciascuno di noi sta di fronte alla possiblità dell'adesione di fede a questa proposta di alleanza, ma anche al rifiuto. L'ascensione di Gesù al cielo diventa anche l' appello alla testimonianza di noi, uomini e donne, battezzati, già graziati dall'annuncio della Parola di Dio, già graziati dal perdono dei nostri peccati, già convertiti per una vita di comunione con il nostro essere Chiesa corpo di Cristo, ma non ancora giunti alla santità a causa della continua tensione, in noi, tra una vita secondo lo Spirito e una vita secondo la carne. Il nostro “non ancora” lo sperimentiamo nella necessità di dover ogni giorno confrontarci con la dura lotta del confidare unicamente nelle nostre forze, nelle nostre iniziative umane, dimenticando che la nostra libertà limitata si intreccia con quella più grande ed efficace dell' azione dello Spirito Santo nella nostra vita, nella vita della nostra comunità cristiana e nella storia del mondo. Anche se siamo già cristiani, spesso non siamo così consapevoli della responsabilità che abbiamo, di essere custodi, non da soli, di un mistero di gratuità e di comunione che attende di essere scoperto da noi e da tutti. Siamo cristiani, ma ci fidiamo troppo della nostra libertà facendola diventare un assoluto, pensando di essere i soli protagonisti della nostra esistenza, quando invece c'è un'altra libertà, più grande della nostra, la libertà di Dio, il quale si è già offerto per mezzo di Cristo per farci vivere guidati dalla gratuità e liberati dal nostro egoismo.

Il “non ancora” è l'appello che viene dal nostro sguardo sul quell'umanità che ancora non ha veramente conosciuto e amato Gesù Cristo e non ha ancora scoperto la forza trasfiguratrice dello Spirito Santo, capace di farci contemplare la presenza vivificante del Risorto a partire dal riconoscimento o consegna umile della nostra radicale povertà e dal coraggio di starci in comunione di condivisione con tutti i poveri del mondo.

«Perché state a guardare il cielo?» (At 1,11a): il cielo non è più in alto, ma è nell'accoglienza della nostra impotenza e povertà. Il cielo è nell'incontro con gli uomini e donne giudicati come persi e inutili del mondo, ma nei quali risplende, trasfigurata, nella durezza della loro condizione umana, la carne gloriosa del Cristo, perché Lui, il Risorto, è in loro e di loro è il Regno di Dio.

 

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