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TESTO L'amore di Dio per la città dell'uomo

don Luca Garbinetto  

VI Domenica di Pasqua (Anno C) (26/05/2019)

Vangelo: Gv 14,23-29 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 14,23-29

23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.

È un tempo, il nostro, in cui abbiamo bisogno di una città vivibile. Di una città ‘risplendente della gloria di Dio' (Ap 21,10), luminosissima, ci dice l'Apocalisse. Ma ne abbiamo bisogno oggi, non soltanto domani, lassù nel cielo.

Non che questa esigenza sia solamente dei nostri giorni. Tanti autori ci hanno lasciato traccia dell'anelito a una città vivibile. E ne hanno intravisto la possibilità nell'adesione alla Legge di Dio. Si pensi, fra i tanti, agli scritti di sant'Agostino, circa 18 secoli fa. La Bibbia stessa ci fornisce testimonianza delle attese e delle insidie di una città umana, che cerca fraternità ma può anche rifiutarla, alla maniera di Caino.

Tuttavia, risuona ancora più bruciante il paradosso della nostra epoca, che porta con sé l'eredità di un mondo e di secoli in cui l'umanità le ha provate tutte per dimostrare a se stessa di poter vivere senza Dio. Il fallimento è così palese, che ci si sorprende a cogliere la nostra testardaggine nel riprovarci. Mascherata di sotterfugi che inneggiano a idoli camuffandoli da Dio, o esplicitamente emarginata e perseguitata, la fede nell'Unico rimane oggi questione rivoluzionaria. Non va di moda decidere di affidarsi a Lui. Soprattutto in contesti sociali, economici, politici. Nella verità della Parola, non in chiacchiere. Anzi, pare davvero a dir poco sovversivo.

Scopriamo che la fede, l'amore non può essere acquisita attraverso il patrimonio dei genomi. Non scorre semplicemente dal sangue materno attraverso il cordone ombelicale. Non può dirsi vissuto solamente per antiche tradizioni divenute rituali abitudinari. L'umanità stessa rifiuta questa modalità di esistenza, specialmente ora che la cultura dominante si tinge di un assoluto (paradossale) relativismo. Ciascuno sceglie (o crede di scegliere) ciò che gli pare.

E la città? La città, allora, è costruita da tutti e da ciascuno. È sempre stato così, ma oggi è più evidente. La città, dimora degli uomini per una convivialità e una socialità necessaria alla sopravvivenza, non è un ammasso di individui anonimi, ma una questione di relazione. E soprattutto, la città è frutto della decisione responsabile di ciascuno di vivere nell'amore. Nessuno può delegare a un altro il compito di costruire la città illuminata dall'amore.

Abitare la città è dirigersi consapevolmente e coerentemente verso l'altro in un atteggiamento di accoglienza e di dono. Noi cristiani, testimoni del Risorto ed esperti di partenze e attese, lo sappiamo per fede e per esperienza. Lo impariamo proprio da Lui, che ci rivela la fonte e il modello dell'amore. Dio stesso non è solo, ma è aperto e proteso all'altro; in qualche modo si fa dimora a se stesso nella relazione costitutiva di Padre e Figlio da cui procede lo Spirito Santo. E lo impariamo anche provando ad ascoltarne e a osservare le sue parole, che poi sono le stesse del Padre. Ci accorgiamo che solamente un cuore sinceramente interessato all'altro, e quindi decentrato dai propri bisogni e dalle proprie necessità per percepire e prendersi cura delle esigenze del fratello (perché di un fratello si tratta), può generare una convivenza che si fa pacifica. Cioè terreno fecondo per vivere bene.

Le tre persone della Trinità ci sono di ispirazione. Ma sono anche parte del tentativo di farci come loro, di uscire da noi stessi per incontrare l'altro. Per spingerci fuori dal nostro egoismo, infatti, hanno deciso di prendere dimora anche dentro di noi. Sta lì, in fondo, il segreto della vera pace: permettere a Dio Uno e Trino di occupare la stanza intima della nostra interiorità e diventare tenda sguarnita dall'ossessione del proprio io. Lasciarci riempire di Lui per svuotarci del nostro ego, troppo ansioso, turbato e preoccupato di difendere la propria sopravvivenza per accorgersi da solo che si vive soltanto se qualcun altro ci nutre! Qualcuno di diverso, qualcuno - spesso - che viene da lontano o che si è allontanato e ritorna. Proprio come il Risorto, che stiamo attendendo mentre lo percepiamo già in mezzo a noi ogniqualvolta abitiamo la città optando per mettere in pratica la sua Parola.

Viviamo un tempo in cui la città ha bisogno di testimoni autentici dell'amore gratuito e universale. Lo sguardo per questa coabitazione terrena, allora, non può che essere quello che assume e si impregna degli occhi e del cuore di Dio. Sono sempre rivolti all'altro, all'incontro, all'accoglienza. Illuminano così la città, che diviene celeste perché resa radiosa dalla vulnerabile potenza dell'amore. Chissà che sia tempo di iniziare a dimorare già ora, qui e adesso, alla maniera del cielo. Così la luce e la pace inonderanno dal di dentro abitazioni, programmi, decisioni... soprattutto persone e relazioni che dimorano in Dio e nella città.

 

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