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don Alberto Brignoli  

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IV Domenica di Pasqua (Anno C) (12/05/2019)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

Premetto che non sto affatto per violare il sigillo sacramentale della confessione, parlando di una delle mancanze più frequenti all'interno della comunità dei credenti: anche perché potrei parlarne in prima persona, riferendola al mio passato di fanciullo, di ragazzo, di adolescente e anche di giovane sacerdote. Perché, in fondo, questa mancanza ci riguarda tutti, in differenti fasce d'età, soprattutto - ma non solo - quando siamo più piccoli. E al progredire dell'età, corrisponde anche un progredire della colpa, che muta nella sua espressione e di conseguenza anche nella sua gravità e, ovviamente, anche nell'analisi che il confessore ci aiuta a fare al riguardo. Cerco di essere più esplicito.

Da bambini, uno dei peccati che maggiormente confessiamo è “Ho disubbidito al papà e alla mamma”. E quando il sacerdote ci chiede “Come mai?”, la risposta in genere è candidamente senza giustificazioni: guardando in terra con un senso di pudica vergogna, rispondiamo “Perché quando mi chiede di fare una cosa, io non la faccio”. E non ci sono storie: mamma e papà hanno sempre ragione.

Poi si cresce, si diventa ragazzini, e nel nostro organismo aumenta il tasso di somatotropina (è l'ormone della crescita, per chi non lo sapesse...). Riconosciamo comunque la nostra subordinazione all'autorità precostituita dei genitori; ma alla domanda del sacerdote sul “perché” riguardo al “non ho ascoltato la mamma - che scavalca il coniuge nella gerarchia - e il papà”, l'ormone di cui sopra comincia a far affiorare qualche elemento di insubordinazione, del tipo “Perché mi chiedono di dare un mano in casa quando è tutto il pomeriggio che faccio i compiti e ho diritto anche di uscire con i miei amici e le mie amiche!”.

Si arriva così all'età della contestazione, quell'adolescenza che oggi rischia di protrarsi - nei casi più gravi di “bamboccionismo” - fino ai trent'anni, quando il “Non sempre ascolto i miei genitori” è esclusivamente una conseguenza del “D'altronde, continuano a rompere per ogni cosa, non gli va mai bene niente, mi trattano come se avessi dieci anni, potrò fare un po' quello che voglio?”. Al punto che in genere il confessore, per evitare di essere oggetto lui stesso di invettive, non fa altro che prendere atto della cosa dicendo al soggetto in questione “Cosa ci vuoi fare? È il conflitto generazionale, cerca anche tu di capire un po' i tuoi...”.

Ma non finisce qui, perché poi arriva la stagione dell'amore, e all'amato genitore si sostituisce l'amato “lui” o l'amata “lei”, con cui non sempre si vive in maniera idilliaca e bucolica, come nel giardino del Cantico dei Cantici: e quando non ci si capisce e si discute, magari esagerando un po', a volte si fa un esame di coscienza e si sente il bisogno di confessare che “Non riesco a dialogare con mio marito, anche perché quando parlo io è come se parlasse un fantasma, non mi ascolta proprio!”. Il confessore si arrabatta a dare qualche indicazione, soprattutto esortando chi ha di fronte ad abbassare un po' la testa e a evitare risposte o atteggiamenti orgogliosi, che non aiutano certo a mantenere vivo e rispettoso il rapporto d'amore.

Il confessore arriva però, un giorno, ad alzare le braccia e a rinunciare a qualsiasi tipo di esortazione, quando la stagione dell'amore è ormai quella tardo-autunnale, e il “peccato confessato” non è più un proprio comportamento sbagliato, ma uno sfogo amareggiato che riguarda sempre l'altro o l'altra come causa di ogni arrabbiatura, perché “Non capisce più niente, fa sempre quello che vuole e racconta un mucchio di spropositi: alla sua età, poi! Sa cosa faccio, io? Non lo ascolto neanche più e lo lascio perdere!”. Ecco: siamo giunti al capolinea dell'ascolto! Dal bambino che riconosce l'importanza di ascoltare sempre mamma e papà, all'anziano che ormai non ascolta e non è ascoltato, e allora rinuncia a litigare e a lottare.

A questo ci porta, in genere, la vita: perché ascoltare la voce degli altri, è faticoso. È faticoso perché già di nostro, siamo poco predisposti all'ascolto, ma è faticoso anche perché non sempre nella voce degli altri troviamo autorevolezza, bensì autoritarismo.

E allora, è consolante sapere che abbiamo, nella nostra vita, la possibilità di ascoltare una Voce che ci parla con autorevolezza, più che con autorità. Una Voce che, se ascoltata, ci conduce alla vita in pienezza. Una Voce seguendo la quale nessuno ci strapperà mai dall'abbraccio delle sue mani sicure, forti: mani di Padre e di Madre insieme, che a volte percuotono, a volte stringono, ma spesso accarezzano.

E noi, a volte come bambini che ascoltiamo la Voce del “Dio-mamma-e-papà” in tutto e per tutto; a volte come ragazzini, che sbuffano perché si sentono un po' perseguitati, un po' “bullizzati” da questa Voce; a volte adolescenti, critici verso la sua Voce perché convinti di farcela da soli, nella vita; a volte innamorati di lui, eppure spazientiti dai suoi silenzi, dalle sue “orecchie da mercante”, dal suo “ignorarci”, perché - siamo sinceri - a volte sentire la Voce di Dio è proprio un po' difficile; a volte - come anziani coniugi stanchi di lottare - siamo delusi e rassegnati nei suoi confronti, perché riteniamo che non ci ascolti mai, e allora perché mai dovremmo stare noi ad ascoltare lui?

Perché mai dovremmo ascoltare la sua Voce? Perché, fino a prova contraria, pur con tutte le fatiche nell'ascoltarla (magari anche per colpa nostra, perché non sappiamo più cosa sia il silenzio), la sua rimane l'unica Voce capace di donarci vita, e vita in abbondanza.

 

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