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TESTO Commento su Giovanni 10,27-30

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IV Domenica di Pasqua (Anno C) (12/05/2019)

Vangelo: Gv 10,27-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di don Marco Simeone

Domenica scorsa la liturgia ci consegnava un intero capitolo del vangelo di S. Giovanni, questa domenica abbiamo solo 4 versetti, vuol dire che sono estremamente densi.

Vorrei iniziare dicendo che tutto il tempo di Pasqua che stiamo vivendo è tempo per parlare della resurrezione, come l'ottava (la settimana che va dalla domenica di Pasqua alla domenica in albis) è tempo di permanere in quella domenica che ha cambiato la storia. Poi, domenica dopo domenica, la resurrezione viene esplorata nelle sue applicazioni alla vita quotidiana che viviamo; così la resurrezione personale col perdono di Dio (2° domenica). La resurrezione comunitaria si vede nel pescare secondo la parola di Dio: la chiesa che ritrova sé stessa affidandosi unicamente al Signore, anche contro le proprie "buone idee" e accettare lo scandalo del vangelo (3° domenica).

Oggi la resurrezione entra in quella quotidianità fatta di cose normali, niente scelte estreme o sfide esaltanti, semplicemente portare avanti le nostre vocazioni.

Il vangelo inizia con "le MIE pecore ASCOLTANO la mia voce"; quell'aggettivo possessivo lo possiamo leggere in 2 modi: o siamo sue pecore perché semplicemente gli apparteniamo per nascita, o perché gli apparteniamo per redenzione. Sono 2 aspetti diversi: io appartengo a Dio come appartengono cose o animali ad un padrone (ad esempio il pastore delle pecore) e può anche starci, ma noi leggiamo questo brano dopo la resurrezione, quindi possiamo leggere che il nostro pastore è passato prima di noi per la morte per portarci alla fonte della vita, allora le sue pecore sono quelle che Lo seguono (scelta libera e responsabile) perché sono state vinte dal suo amore, perché hanno cominciato ad intravedere una vita nuova e si sono messe in cammino.
Bello, ma il cammino è lungo.

Come si fa a non perdersi? A non perdere il passo o l'entusiasmo della vittoria, della Pasqua? Perché la vita è lunga...

Le pecore del Signore ascoltano la Sua voce, non solo perché la riconoscono (e questo sarebbe tutto un discorso) ma perché vivono di questa.

La fede, la vita con Gesù, non è impegno e forza di volontà, non è dirsi "basta poco, solo un altro piccolo sforzo...", la vita con Gesù è gratitudine e fiducia, ovviamente ci possono essere momenti difficili -anche i santi ce lo insegnano!- ma il grosso è fatto dall'ascolto che significa fiducia, abbandono, speranza. Tutto questo perché si è fatta la scoperta di sentirsi amati, questo significa essere conosciuti. La conoscenza nella bibbia è tutta l'esperienza dell'altro: nella sua totalità, fisica e spirituale. Allora le parole di Pietro di domenica scorsa (tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene) significano “che tu mi conosci fino in fondo, nelle mie debolezze che nego persino a me stesso e nel mio desiderio di volerti bene, nelle mie parti belle e in quelle brutte”. In questa esperienza, quella cioè dell'amore che accoglie e guarisce, c'è la resurrezione quotidiana. Per questo Gesù dice che chi lo ascolta e lo segue ogni giorno riceve la vita: proprio quella che lottiamo per guadagnare palmo a palmo; con Gesù ci viene regalata. Quando poi il vangelo dice che nessuno ci può portare via da Lui significa che Egli non si stanca, che non c'è niente in noi o che noi possiamo fare che può spezzare questa alleanza.

Le altre due letture esplorano altre implicazioni, direi "ecclesiali": nella prima c'è la franchezza (la parresia in greco) di Paolo e Barnaba che annunciano il vangelo a chi lo vuole ascoltare e anche a chi, in quel momento, gli sta facendo la guerra. La libertà di non stare sempre a difendersi, vivere nella verità dei rapporti, poter annunciare la verità e vivere nella carità, tutto questo è vita da risorti. E vale a livello personale e a livello comunitario: quanta aria fresca nelle nostre comunità si potrebbe respirare se vivessimo nella franchezza, il che non significa aprire bocca per dargli fiato, ma prendersi cura veramente gli uni degli altri.

La seconda lettura - dal libro dell'Apocalisse, che sembra sempre così strano!- parla addirittura di martirio (che significa prima di tutto testimonianza): quelli che sono passati attraverso la grande tribolazione adesso possono stare in piedi (risorti) al cospetto dell'agnello (Gesù Cristo vittorioso e regnante) con la palma della vittoria, della fedeltà fino al dono di sé. Questi non sono i super eroi (che adesso vanno tanto di moda) ma quelli che hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'agnello: è un'immagine estremamente complessa, a noi ci basta pensare che attraverso l'amore crocefisso di Gesù (il sangue), quell'amore ha perdonato e guarito le mie ferite. Allora la resurrezione si vede dalla fedeltà, dal non perdere il contatto, dal restare collegati col suo amore giorno per giorno, nel bene e nel male lasciare che il suo amore ci guidi a vivere la vita dello Spirito, quella per capirci in cui noi ci doniamo agli altri e non il contrario.

Possiamo dire che è la via per la resurrezione quotidiana, in famiglia, al lavoro, in questa società così profondamente malata dentro, ognuno di noi è chiamato semplicemente all'ascolto di Gesù, alla fedeltà, a fidarci di Lui più delle nostre paure e delle nostre idee, in fondo questo è dare gloria a Dio. Tanto è vero che Gesù sceglie l'immagine del pastore e delle pecore, non dei leoni.

Quando il vangelo dice che non possiamo avere due padroni si riferisce al Signore o al denaro, qui possiamo applicarlo alla scelta di chi deve guidare la nostra vita: o noi o Dio.

Chi si fida arriva alla Gerusalemme celeste, chi confida in se stesso...

 

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