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TESTO Sostenuti da Dio, andiamo verso la gloria

padre Gian Franco Scarpitta  

II Domenica di Quaresima (Anno C) (17/03/2019)

Vangelo: Lc 9,28-36 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,28-36

28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Abramo ha fede nella promessa di Dio e si dispone ad agire secondo questa. Il segno del braciere e del fuoco che passa in mezzo agli animali ripartiti e sacrificati lo rassicura che Dio lo accompagnerà per sempre e che nei secoli futuri lo renderà destinatario di una terra e di una lunghissima discendenza. E allora forte della sua fede in Dio e della speranza che reca nel cuore, Abramo si dispone a fare la sua volontà in tutto.

Presenza rassicurante di Dio è anche quella che riguarda tutti noi nello specifico della manifestazione gloriosa di Gesù accanto a Mosè ed Elia.

Nei giorni in cui si consuma questo episodio sul monte che la Tradizione definisce Tabor, Gesù ha per certo che fra non molto terminerà il suo ministero in Galilea ed inevitabilmente dovrà raggiungere Gerusalemme dove lo attende la condanna a morte e la crocifissione, che saranno il preambolo della gloria. Quello che attende Gesù è un destino raccapricciante, di cui lui è consapevole, ma al quale non si sottrae e non oppone resistenza, realizzando che tale è il progetto del Padre su di lui: sicuramente la gloria e l'innalzamento, ma non prima dell'inevitabile supplizio.

A differenza che in Matteo e Marco, Luca descrive l'evento Trasfigurazione con un particolare attendibile e di rilievo: la presenza e il sostegno da parte di Dio Padre. Gesù è infatti intento a pregare, a coltivare cioè l'intimità e la familiarità assoluta con Chi dall'eternità ha condiviso la sua stessa gloria e adesso continua a sostenerlo in quest'opera di redenzione degli uomini conseguente all'incarnazione. Gesù vive l'intensità dei rapporti con Dio e sperimenta già sin d'ora che anche al momento della sofferenza estrema Questi non lo lascerà solo, sebbene sulla croce proverà un momentaneo senso di abbandono. Proprio questa preghiera profonda e intensa si dissolve nella trasformazione fisica di Gesù e anzi questa è uno riverbero di quella: il volto di Gesù diventa candido e glorioso, speculare della stessa gloria del Padre. Luca ci descrive in altri termini che la familiarità assunta da Gesù con il Padre nell'orazione si palesa nella gloria manifesta sul volto, candido e rifulgente come le vesti dell'uomo vestito di lino in Daniele o come le vesti del Tre Volte Santo in Isaia 6, la cui gloria (appunto) pervade la terra. Sebbene incarnato e partecipe delle nostre insufficienze e delle precarietà dell'umano, sebbene umiliato e dimesso dalle molteplici persecuzioni non solamente da parte degli avversari e sebbene in procinto di recarsi nella città dell'estremo supplizio, Gesù è tuttavia il “re di gloria” la cui magnificenza è un riflesso dell'immensa gloria celeste. La gloria di Dio viene ulteriormente affermata dalla comparsa di Mosè e di Elia che confabulano con Gesù sul suo “esodo” imminente verso Gerusalemme e in questo particolare episodio si ravvisa che proprio Gesù è il nuovo Mosè che porta a compimento le promesse dei profeti (Elia), riproponendo con insistenza l'affinità di grandezza e di sommità che Gesù condivide con il Padre.

Non può che trattarsi che di una prefigurazione della gloria che attende Gesù, conseguente all'umiliazione e alla croce, per la quale neppure noi possiamo fungere da “nemici della croce di Cristo” (Fil 3, 18 - 19 Seconda lettura), perché proprio questa è indispensabile per conseguire tale traguardo e volerne schivare o raggirare l'ostacolo è sinonimo di viltà e di opera demoniaca. Aveva detto Gesù a Pietro, quando questi tentava di distoglierlo dal recarsi a Gerusalemme: “Vai dietro a me Satana, perché tu pensi secondo gli uomini e non secondo Dio. Chi infatti rifugge la croce di Cristo, omette di considerarla come irrinunciabile prospettiva di vita, rifiuta di incarnarla nelle vicende tristi e controverse del suo vissuto, in una parola tende a misconoscerla è “troppo intento alla cose della terra”, vale a dire mira alle sole garanzie e ai successi immediati e poco duraturi. La vera ricompensa delle nostre lotte si trova invece al termine del percorso tortuoso che siamo chiamati a percorrere, non all'inizio. I premi e i risultati sono un traguardo non un piacevole beneficio da accaparrare secondo la logica del “tutto e subito”. La gioia subentra al dolore e il più problema più grave che possiamo avere è proprio quello di non avere problemi.

Anche noi siamo destinati alla gloria nell'eone futuro quando risorgeremo alla fine dei tempi nel “corpo glorificato” paragonabile a quello del Risorto, ma anche in questa stessa vita siamo orientati a vivere la “nostra patria nei cieli” quando non rifiutiamo nel nostro quotidiano il binomio inscindibile croce - risurrezione. Passione - Glorificazione.

L'avvicendarsi di Gesù a Gerusalemme, luogo del suo supplizio ci incoraggia a qualificare la croce come tappa indispensabile della nostra vita, tuttavia il mistero di cui si parla nel Vangelo di Luca al Tabor ci dà una caparra della gloria che consegue al Calvario e ci incoraggia a guardare in avanti anziché considerare tutto ciò che ci è di ostacolo. Considerare la meta e aver fisso l'obiettivo è condizione per cui possiamo sentirci motivati verso di esso; avere la meta o l'ideale fissi negli occhi e pregustarli in un certo qual modo, ci è di sprone a non lasciarci demotivare dagli ostacoli e delle difficoltà ma ci esorta a perseverare fino alla corona di gloria.

Osserviamo infatti l'anticipo di ciò che siamo destinati a conseguire nel futuro e intanto siamo esortati a vivere il presente nella fiducia e nella speranza che non delude.

In questo percorso vi è la medesima presenza consolante del divino che incoraggiò Abramo e che permette a Pietro e Giacomo e Giovanni di vincere il sonno e la stanchezza. La nube la voce dal cielo li rassicura e li rende certi che non stanno assistendo ad eventi spettacolari di magismo o di straordinario esibizionismo circense, ma di essere raggiunti dal fascino della grandezza di Dio che si fa tutta per loro e che li renderà testimoni e protagonisti.

 

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