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TESTO I piccoli, aperti all'annuncio del Regno

don Fulvio Bertellini

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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/07/2005)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Chi sono i piccoli?

"Hai nascosco queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli": è naturale che, dopo due settimane di GREST, io pensi ai "miei" bambini e ragazzi come la realizzazione delle parole di Gesù. L'altra settimana ero a tavola con un missionario, evidentemente per lui i piccoli erano gli indios che aveva lasciato nella foresta, prima di tornare in Italia. Ma quale legame si può riscontrare tra i nostri marmocchi viziati e i poverissimi abitatori delle foreste tropicali? E quanti altri "piccoli" ci possono essere nel mondo? E perché proprio a loro appartiene il Regno dei Cieli?

Secondo Gesù

Per Gesù i piccoli sono i discepoli stessi. Non solo i Dodici, ma tutti coloro che avevano accolto la sua predicazione. La constatazione sorprendente era che tra di loro si trovavano i peccatori, le prostitute, i malati, le persone più povere e anche le più scandalosamente ricche, come i pubblicani, esattori delle tasse al servizio dei romani, considerati da tutti pubblici peccatori. La forza della Buona Notizia consiste proprio nel trasformare la vita delle persone. Ma chi pensa di essere già a posto, non vuol cambiare proprio nulla della sua vita. I sapienti e gli intelligenti, i dottori della Legge, le persone che si consideravano oneste e rispettabili: tutti costoro ritenevano di essere "a posto", di non aver bisogno di Gesù, di non aver bisogno dell'amore del Padre.

Il vero protagonista

D'altra parte non dobbiamo ridurre l'interpretazione di questo brano alla sola identificazione dei "piccoli". Il vero protagonista è il Padre, che appare al cuore della preghiera di Gesù, e che appare finalmente a pieno campo sulla scena del vangelo di Matteo. Può sembrare strano: ma i vangeli non parlano molto di Dio. Nel caso di Matteo, sono raccontate tante vicende, il compimento delle profezie, le parole di Gesù, i suoi gesti prodigiosi... ma Dio resta dietro le quinte, una presenza discreta, da indovinare, da riconoscere. Soprattutto perché resta una presenza sorprendente: Dio non fa le cose che gli uomini si aspettavano da lui. Le profezie di Israele non si avverano secondo le modalità attese dagli uomini. Il suo Regno è diverso dal regno umano-divino auspicato dai più.

La preghiera di Gesù, che l'evangelista riporta dopo l'inizio della sua predicazione e la missione dei discepoli, mostra finalmente il volto e il progetto del Padre.

Il progetto di Dio

Il Padre ha deciso di rivelarsi in Gesù. Di far conoscere il suo amore attraverso il Figlio, venuto come uomo tra gli uomini. In Gesù il Padre fa sperimentare il suo perdono, la sua benevolenza, la sua volontà di salvezza. Ciò che fa scandalo è la fragilità e l'apparente debolezza di un simile modo di salvare. Noi vorremmo veder castigati subito i cattivi, Dio ci manda Gesù, mite e umile di cuore. Noi vorremmo vedere il bene trionfare ad ogni costo, anche con la forza, Gesù mostra invece la dolcezza di Dio, che accoglie il peccatore pentito, che non misura gli uomini dalle loro risorse e dal loro portafoglio. "Tutto mi è stato dato dal Padre mio": è un'espressione densa di significato, ma anche carica di scandalo. Mettiamoci nei panni dei contemporanei di Gesù: tutta la gloria del Dio altissimo, tutta la potenza del Dio di Israele, tutte le speranze di redenzione e riscatto, vederle affidate a un solo uomo, che pretende di essere il Figlio dell'Uomo, e il Figlio di Dio!

Il dubbio

I sapienti e gli intelligenti scuotono il capo. Credere in Gesù significa rinunciare a quello che crediamo di avere. Alle certezze che magari con fatica ci siamo costruite. Più uno ha, più è difficile spogliarsi delle proprie certezze, e riconoscere il Regno che si manifesta nell'umiltà di Cristo. I bambini del mio Grest fanno meno fatica. Almeno per ora. Poi, crescendo, crederanno di poter essere felici in altro modo. Possedendo più cose, possedendo le persone, gustando i piaceri della vita, cullandosi nell'inganno del potere. Ma per ora, pur con tutti gli egoismi, le crudeltà, i capricci di cui sono capaci, sono aperti a Gesù. Come gli indios del mio amico missionario. Che non hanno nulla da invidiare dal nostro mondo ricco e tecnologico, che pretende di insegnare a vivere. E basta un piccolo aumento del petrolio per farci rendere conto della precarietà del sistema che abbiamo messo in piedi, con l'illusione del progresso. Per cui il dubbio deve rovesciarsi: noi ci chiediamo esitanti se davvero "possiamo credere in Gesù". Mentre dovremmo farci prendere da un altro dubbio: "che cosa ci è successo da quando abbiamo smesso di credere in lui? da quando abbiamo perso l'innocenza dei piccoli? da quando abbiamo creduto di diventare adulti seguendo gli istinti di un cuore non purificato e non pacificato?".

Affaticati e oppressi

Forse faremmo una scomoda scoperta. Lontano da lui non abbiamo trovato nulla. Rinunciando all'innocenza, alla fiducia nella sua Parola, non abbiamo trovato nulla di autentico. Anzi, ci ritroviamo più stanchi e sfiduciati. Il che potrebbe gettarci nello sconforto. Invece, occorre alzare lo sguardo. Qualunque sia la prova che ci ha abbattuti, la vicenda della vita che ci ha ferito, proprio quella prova può diventare il nostro passaporto per il Regno. "Piccoli" a cui il Padre rivela il suo Regno sono anche gli affaticati e gli oppressi dalla vita: proprio noi, che credevamo di trovare altrove la nostra realizzazione, e siamo invece chiamati a ritornare a Gesù, per "trovare ristoro per le nostre anime". Scopriremo che "il suo giogo è dolce, il suo carico leggero". Rinunciando alla pretesa di fare le nostre imprese, le nostre grandi cose, entriamo nella prospettiva del progetto di Dio. Che si regge sulla sua forza, e perciò diventa leggero, anche quando sembra chiederci grandi rinunce.

Flash sulla I lettura

"Esulta grandemente, figlia di Sion!": le parole del profeta invitano alla manifestazione esteriore del giubilo, a non limitarsi ad una gioia interiore, contenuta. La gioia deve potersi esprimere anche all'esterno, poter contagiare altri, mostrare la sua autenticità. Il discepolo è colui che segue Gesù sulla via della croce. Ma anche colui che lo imita nell'esultanza di fronte alla visione del Regno di Dio che si manifesta anche nelle cose più umili: il re per cui Sion è invitata a rallegrarsi è "giusto e vittorioso, umile, cavalca un'asina, un puledro figlio d'asina".

"Farà sparire i carri da Efraim... l'arco di guerra sarà spezzato": forse non vediamo oggi l'attuarsi di queste profezie, ma non è necessariamente colpa di Dio. Il Signore mantiene le sue promesse: ma noi sappiamo vederlo? Certamente, fa paura scorrere l'elenco dei conflitti ancora oggi in corso nel mondo (non c'è solo la guerra in Irak!), tuttavia lo sguardo del profeta deve guardare più lontano (e anche più vicino): noi che guardiamo alle guerre in atto siamo forse ancora vittime del pregiudizio dei sapienti e dei prepotenti, coloro che credono di poter dominare con la loro forza e intelligenza il mondo: eppure il mondo non è loro. Un'altra potenza, quella dell'amore, della semplicità, dell'umiltà, è all'azione, e comincia a dare i suoi frutti. Con la tenacia del mare, che piano piano corrode e fa crollare gli scogli, il Regno di Dio ha già cominciato a logorare i meccanismi dell'odio e della guerra. Protagonisti della lotta non sono i grandi, ma le umili persone che hanno accolto la parola di Cristo. Questo vedeva il profeta, già prima di Gesù, guardando alla ricostruzione di Gerusalemme e alla rinascita del popolo di Israele; ma sapremo vederlo noi, duemila anni dopo di lui?

Flash sulla II lettura

"Fratelli, voi non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito": con grande fermezza Paolo insiste sulla condizione rinnovata dei credenti, che non hanno niente più a che fare con il peccato, e con l'inclinazione al peccato (qui denominata con il nome, tipico dell'apostolo, di "carne"). Eppure noi facciamo quotidianamente l'esperienza della fatica, della pesantezza, della difficoltà a vivere secondo lo Spirito. Tuttavia cedere a una simile visuale negativa sarebbe la resa completa alle forze negative che sono state vinte dalla risurrezione di Cristo: "colui che ha risuscitato Gesù dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali, per mezzo del suo Spirito che abita in voi". Non siamo fatti per il peccato, non siamo fatti per la morte, abbiamo già la presenza dello Spirito, che non è solo per la vita dell'aldilà, ma è già ora anticipazione di vita eterna.

"... se invece, con l'aiuto dello Spirito, voi fate morire le opere del corpo, vivrete": la fede consiste appunto nel non lasciarsi abbattere dai nostri errori, dalle nostre ricadute, dall'esperienza della fragilità e del peccato: Paolo insiste che non dobbiamo ritenerci per sempre schiavi delle nostre colpe, ma che è possibile liberarsene e vivere in maniera nuova.

 

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