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TESTO Dio si rivela ai piccoli

don Roberto Rossi  

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XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (03/07/2005)

Vangelo: Mt 11,25-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: 25«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

Benedetta Bianchi Porro, nella sua infermità, arriva a dire: "Prima nella poltrona, poi nel letto, mia abituale dimora, ho trovato una sapienza che è più grande di ogni tesoro." Così Maria Nanni, ragazza semplicissima, poliomielitica dall'età di quattro anni, con la possibilità di arrivare solo alla quarta elementare, proveniente da un piccolo paese tra le colline, è arrivata a incontrare e a dare luce e incoraggiamento a migliaia di persone, con un sorriso e una capacità di affrontare i problemi della vita tutta particolare. Da dove viene tutto questo? Quante persone semplici e umili sono state capaci di testimonianze forti e di grandezza d'animo! Gesù esulta nello Spirito Santo con queste parole: «Ti benedico, Padre, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli» e, poco dopo, rivolgendosi ai discepoli, esclama: «Beati gli occhi che vedono le cose che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro». «Queste cose», «le cose che voi vedete»: è il mistero della sua presenza in mezzo agli uomini, dell'amore infinito di Dio che offre la sua grazia e la sua salvezza. Gesù non aveva ancora detto a nessuno, esplicitamente, di essere il Figlio di Dio. Non lo avrebbero potuto capire. Il giorno che lo avesse detto apertamente, sarebbe stato messo a morte come sacrilego e cosi avvenne di fatto, nel processo davanti al Sinedrio. Durante il suo ministero preferiva chiamarsi «figlio dell'uomo», secondo un'espressione dell'A.T. che significava "il messia".

Ma il segreto più profondo e la sua identità vera è questo: Lui è Figlio del Padre, unito a lui nella stessa natura, cioè nello Spirito. Bisognava che almeno i suoi più intimi cominciassero a prendere coscienza di questa sua figliolanza divina che un giorno doveva costituire il cuore della loro predicazione al mondo. Ed ecco, allora, che Gesù si mette a parlare col Padre alla loro presenza; dal tono e dal modo con cui parla con Dio, essi potranno intuire che tra loro due c'è un rapporto unico, irrepetibile, da sempre; un'intimità e una comunione quale nessun uomo mai potrebbe avere concepito. A Dio si rivolge chiamandolo, nella sua lingua, Abbà, cioè papà, babbo. E pensare che gli ebrei che lo ascoltavano si facevano persino scrupolo di pronunciare il nome di Jahvè! Nessun orante ebraico, che si sappia, aveva mai osato rivolgersi a Dio con questa familiarità. Se, mentre stiamo parlando con una persona molto importante, vediamo un bimbo avvicinarsi a lei senza soggezione alcuna e parlargli con confidenza, noi diciamo subito: è il figlio! Cosi dovevano concludere i discepoli, almeno più tardi, ripensando a quella scena.

La nostra fede si radica in questa coscienza chiara che Gesù è il Figlio di Dio. Tutto il resto poggia su questa certezza autenticata dalla risurrezione di Cristo: «Manifestato Figlio di Dio in potenza, a partire dalla risurrezione dai morti». Egli non è solo «Cristo», cioè messia, non è solo figlio dell'uomo; è prima ancora «il Figlio di Dio venuto in questo mondo», è uguale a Dio, è la Parola eterna del Padre. Tra lui e il Padre c'è comunione e identità totale: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio»; cioè, il Padre ha espresso tutto se stesso in quella Parola pronunciata prima dei secoli.

Adesso possiamo leggere anche la grande promessa che Gesù fa alla fine del brano evangelico, senza sorprenderci. Quale uomo potrebbe dire a tutti gli uomini: «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò»? Forse ci sono stati nella storia dell'umanità altri uomini che hanno detto ciò; ma la storia li ha smentiti: non hanno potuto mantenere la promessa. Solo uno che trascende le generazioni e il mondo - cioè solo un Dio - può essere in grado di consolare davvero tutti gli affaticati e gli oppressi del mondo, anche senza toglierli materialmente dalla fatica e dall'oppressione. Gesù lo ha detto e lo fa. Anche oggi non c'è nessuno che «vada a lui», che affidi totalmente a lui la propria esistenza, e non sia rinfrancato da una speranza nuova.

Ma qui si apre un altro discorso: chi va veramente a lui? A chi il Padre rivela davvero il Figlio? Gesù un giorno disse: «Nessuno viene a me, se il Padre mio non lo attira». Ma chi attira il Padre? Risponde il Vangelo di oggi: non i sapienti e gli intelligenti, bensì i piccoli. E' il secondo «segreto di Dio» rivelato da Gesù, non meno importante del primo: Gesù è il Figlio di Dio; ma questo solo i piccoli, gli umili, i docili, sono in grado di capirlo.

Di fatto, avvenne proprio così: gli umili furono i più pronti ad accoglierlo: erano pescatori di Galilea, donne del popolo, poveri dei paesi e delle città, peccatori, emarginati... Gli altri - i sapienti, come Nicodemo, e gli intelligenti, come Saulo di Tarso - dovettero fare un lungo cammino di discesa, prima di arrivare a quel punto in cui l'uomo perde la fiducia nelle sue sole forze, si abbandona a Dio e «si lascia fare» da Lui.

Anche oggi avviene così. Qualche volta, anzi, ciò costituisce una tentazione per il credente. Egli si guarda intorno e cosa vede? Dotti, scienziati, uomini di cultura, che rimangono lontani dalla fede, spesso ostili ad essa; in chiesa, la domenica, non incontra molte facce di uomini potenti e famosi. Invece Gesù rendeva addirittura grazie a Dio che fosse così: «Ti benedico... perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti». Diversamente, sarebbe la logica umana a trionfare ancora una volta, non «la stoltezza della croce». Naturalmente, non è impedito a nessuno, neppure a chi è sapiente, accedere ai segreti di Dio e alla tenerezza del Padre. Deve, però, farsi umile, riconoscere i limiti della sua scienza, pur continuando a chiedere ad essa sempre nuove e più profonde risposte: deve farsi piccolo per diventare sapiente in un modo diverso.

Il cristianesimo non si appoggia sull'ignoranza, ma sull'umiltà dell'uomo; non condanna la scienza e la sapienza, ma la superbia e la presunzione dell'uomo.

Gesù ha voluto insegnarci questa strada; si è fatto, lui stesso, mite ed umile per poter dire a noi: imparate da me! Così ce lo ha presentato il profeta nella prima lettura; così lo abbiamo acclamato nel salmo responsoríale: «Benedetto sei tu, Signore, umile re di gloria».

«Umile re di gloria»: sembra un paradosso; e lo è. E' il paradosso della fede: «chi si umilia sarà esaltato». Da noi, non lo capiremmo mai, o, se lo capissimo, non saremmo in grado di realizzarlo. Dobbiamo chiedere a colui che penetra i segreti di Dio - allo Spirito - di deporci in cuore questa verità fondamentale che lui stesso un giorno fece sgorgare dalla bocca del Cristo: farci sperimentare con essa un po' di quell'esultanza che provò il nostro Salvatore.

Siamo chiamati ad andare a Lui, il Cristo Signore: noi "stanchi e oppressi" in tutte le nostre situazioni di vita; è necessario che vadano a Lui le folle di "stanchi e oppressi" della nostra umanità, per poter camminare verso la realizzazione del progetto di Dio, che vuole la vita, la dignità, la salvezza di ogni uomo.

Ciascuno di noi può diventare un costruttore del regno di Dio, cercando di vivere come Gesù, mite e umile di cuore, per portare pace, amore e vita ovunque.

 

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