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TESTO Una questione di sguardi

don Angelo Casati  

Penultima domenica dopo Epifania (anno C) (24/02/2019)

Vangelo: Mc 2,13-17 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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13Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. 14Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.

15Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. 16Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 17Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Ci accompagnano verso i giorni della quaresima due racconti di misericordia. Gesù e Levi oggi, Gesù e Zaccheo la prossima domenica. Oggi la chiamata di Levi. Noi per lo più lo ricordiamo con il nome di Matteo: così prende nome infatti l'esattore delle tasse nel vangelo di Matteo. Gesù - è scritto - "uscì di nuovo verso il lago". "Di nuovo", quasi avesse una preferenza per il lago, per il lago e le strade, i luoghi privilegiati del suo insegnamento e delle sue guarigioni "Passando vide". Due verbi. Che non finiscono di crearmi suggestioni.

Verbi che si ripetono nella storia: oggi passa, oggi vede. Quel giorno vide Matteo. E tutto sembra avvenire, direi, in un istante. Pensate: chiamata e risposta tengono nel vangelo lo spazio di un solo versetto, tutto qui: "Passando vide Levi, seduto al banco delle imposte e gli disse 'Seguimi'. Ed egli si alzò e lo seguì". Come un innamoramento a prima vista, senza se e senza ma. Bastò la voce. La voce di Gesù. Ma - lasciatemi dire - forse ancor prima, prima della voce, erano bastati i suoi occhi, la luce dei suoi occhi: lo vide.

Molti di voi, immagino, hanno nel loro ricordo un'opera stupenda del Caravaggio, la vocazione di Matteo: la contempli e non sai se la luce in quel buio entri radente da una finestra o sgusci, a far respirare i volti, da Gesù stesso. E le due mani. La mano di Gesù, l'indice a indicare Matteo; la mano di Matteo che va al petto quasi a dire: "Lo dici a me, chiami me, i tuoi occhi sono per me? Forse che tu non lo sai come siamo guardati dalla gente noi esattori di tasse, esosi, collaborazionisti dei romani, associati ai peccatori, quasi una razza sola, pubblicani e peccatori.? Gesù non sta a quel che si dice.

Anche oggi si dicono molte cose di donne e uomini. Gesù non sta al "si dice", non sta alle nostre categorie usuali. Nemmeno per scegliere un apostolo. Noi avremmo fatto una selezione, sotto il profilo morale, culturale, sociale. Ci saremmo detti: "Occorre gente esemplare, gente qualificata, gente preparata. Da dove vieni? Che studi hai fatto? Che preparazione hai alle spalle?". Niente di tutto questo. Gesù, passando, vede Matteo. E Matteo che cosa legge negli occhi di Gesù? Legge la misericordia: solo per misericordia poteva essere scelto uno come lui, un pubblicano, un peccatore. Come sarebbe bello che ci sentissimo guardati anche noi così da Gesù. Tutti, dico.

E' successo il contrario: che noi ci distinguessimo dai pubblicani e dai peccatori e rivendicassimo per noi l'immagine degli esemplari di virtù. Quali esemplari poi la vita lo ha svelato. E abbiamo impallidito la grande notizia del vangelo: lo sguardo misericordioso di Gesù sui peccatori. Su noi peccatori. Ebbene - perdonate - leggevo il racconto, mi si accendeva nel cuore la tela del Caravaggio, ed era come se tutto si legasse a un'intervisita che qualche anno fa un gesuita, padre Antonio Spadaro fece a papa Francesco.

Ecco il punto: "Gli chiedo un po' a bruciapelo: "Chi è Jorge Mario Bergoglio?". Il Papa mi fissa in silenzio. Gli chiedo se è una domanda che è lecito porgli... Lui fa cenno di accettare la domanda e mi dice: "non so quale possa essere la definizione più giusta... Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario. Sono un peccatore". Il Papa continua a riflettere, come se non si aspettasse quella domanda, come se fosse costretto a una riflessione ulteriore. "Sì, posso forse dire che sono un po' furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po' ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: "sono un peccatore al quale il Signore ha guardato"". E ripete: "io sono uno che è guardato dal Signore. Il mio motto "Miserando atque eligendo" l'ho sentito sempre come molto vero per me".

Il motto di Papa Francesco è tratto dalle Omelie di san Beda il Venerabile, il quale, commentando l'episodio evangelico della vocazione di san Matteo, scrive: "Vide Gesù un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi". E Francesco aggiunge: "il gerundio latino miserando mi sembra intraducibile sia in italiano sia in spagnolo. A me piace tradurlo con un altro gerundio che non esiste: misericordiando". Ed ecco che Papa Francesco va con il pensiero alle sue viste a Roma nel passato e aggiunge: "Venendo a Roma ho sempre abitato in via della Scrofa. Da lì visitavo spesso la chiesa di San Luigi dei Francesi, e lì andavo a contemplare il quadro della vocazione di san Matteo di Caravaggio".

Voi ora capite: Papa Francesco è affascinato dallo sguardo di Cristo che si posa su Matteo, su lui stesso, su ciascuno di noi. E Invita a lasciarci guardare da Cristo, ad agire sotto lo sguardo di Cristo. Lo sguardo, poi la voce. Gli disse: "Seguimi". E lui, alzatosi, lo seguì. Anche questo è bellissimo, questo invito! Gesù non ti dà un prontuario di norme: devi fare questo, e poi questo, e poi questo ancora. No: "Seguimi, guarda me, ti lascio le orme, vienimi dietro". E ciò che cambia è che da seduto - seduto al banco delle imposte - ti trovi in piedi, in piedi e in cammino: "alzatosi", è scritto.

Ed è il verbo con cui nel vangelo si dice risurrezione. È come se Matteo, il pubblicano, lasciando il banco delle imposte, risorgesse, uscisse da quella logica, una logica ferrea, spietata, quella del mercato. Chi dice che non si può uscire? Levatosi in piedi, lo seguì. Era come se entrasse in una logica nuova, diversa, dietro quel Maestro. Anche la realtà dunque può cambiare: da seduta, statica, ferma, a una realtà dinamica, agile, in cammino. C'è nel racconto un altro fuoco: dal banco delle imposte alla casa di Matteo. Voi mi direte che colui che si è alzato, ora si risiede. È vero, ma in una casa di ospitalità, ad una tavola di fraternità.

A tavola tutti - questo è il miracolo - pubblicani e peccatori. Volesse Dio, che grazia sarebbe, che la nostra tavola, non solo nelle case, ma anche qui in chiesa, non fosse mai tavola di gente malata di presunzione, ma una tavola dove ci si mescola, perché tutti ci si sente guardati con misericordia. Da Dio e dagli altri. La tavola dell'eucaristia è la tavola della misericordia. Andiamo a prendere il pane del Signore non perché ci sentiamo giusti: ci rimane e ci rimarrà sempre un lungo cammino per esserlo. E lui si siede con noi peccatori. Non gli importa delle critiche. Le stronca. Dice: "Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori".

Ci chiama, come Matteo, siede a mensa con noi, noi peccatori. Dei quali il primo sono io.

 

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