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TESTO E se fosse un'arte?

don Angelo Casati  

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5a domenica dopo Epifania (anno C) (10/02/2019)

Vangelo: Mt 8, 5-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Gesù nel vangelo di Matteo ha concluso il discorso del monte. L'ha concluso chiarendo, senza lasciare dubbi di sorta, chi sono i veri discepoli. Mettendo in guardia da quelli che parlano e parlano, ma sono solo parole. Anche religiose, ma vuote parole. Vorrei leggervi, pur se lungo, il brano conclusivo del discorso del monte, perché mi sembra di scorgere un raccordo interessante con il brano che oggi abbiamo ascoltato. Vi confesso che ogni volta che leggo queste parole, un po' mi bruciano sulla pelle: riguardano infatti coloro che parlano molto di religione. Parole che bruciamo, ma che sento preziose.

Gesù dice: "Non chiunque mi dice: "Signore, Signore", entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: "Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?". Ma allora io dichiarerò loro: "Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità!" (Mt 7,21-22). E Gesù conclude dicendo che chi ascolta le sue parole e le mette in pratica costruisce case sulla roccia, chi invece le ascolta e non le mette in pratica costruisce case sulla sabbia. "Quando Gesù ebbe terminato questi discorsi" - è scritto - le folle erano stupite del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi".

Cioè la sue non erano parole vuote, erano come abitate da una energia di vita. Scese dal monte, ed ecco un lebbroso. Lo toccò. "Sii purificato": gli disse. E la parola non andò a vuoto, operò: fu guarito... Ed ecco entra in Cafarnao, Cafarnao era - diremmo oggi - una città crocevia di incontri e di commerci e dunque anche, in qualche misura, multireligiosa e laica. Ne è segno la presenza del centurione romano. Che va a incontrare Gesù. E' un pagano. Esce allo scoperto. Qualcuno forse si sarà anche meravigliato: "Ma come? Tu pagano ti rivolgi a un nostro Rabbi?". Lui esce. A farlo uscire - oserei dire, "da se stesso" - per incontrare il rabbi di Nazaret, era, da un lato, il suo cuore. Sentiamo le sue parole preoccupate per il suo servo: "Il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente".

Nelle sue parole una sofferenza che sembra strappargli il cuore. Ma a muoverlo verso quel rabbi era certamente anche quello che si diceva di lui. Gesù deve avergli letto negli occhi e nel cuore. Non interpone nemmeno un attimo di esitazione. "Nella casa di un pagano?": gli avrebbe potuto obiettare qualcuno. E lui, subito: "Verrò e lo guarirò". Davanti a questa immediatezza di Gesù, il centurione entra in dialogo. Dapprima con una sua confessione di indegnità e in seguito con l'evocazione della potenza della parola: "Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito". "Signore, io non sono degno".

Pensate, un modo di sentire umile, confessato apertamente da lui, centurione, davanti a tutti: "Non sono degno". Un'espressione, questa, che raramente oggi sentiamo nell'aria, sembra andata in esilio. In una stagione come la nostra in cui a prevalere sono ben altre parole, ben altri sentimenti: "Lei non sa chi sono io!"... "Tu non sai chi sono io!..." Non c'è dubbio che a decidere debba essere io, e chi più di me?". Un "io" delirante. Il mio "io" delirante! L'umiltà in esilio. Ebbene il centurione, senza nome nel vangelo, mai a poi mai avrebbe immaginato che quelle sue parole avrebbero attraversato i secoli e le avrebbero fatte proprie coloro che si accostano all'eucaristia in tutto il mondo.

Anche questa mattina, quasi eco della preghiera del centurione di Cafarnao, poco prima di ricevere il pane del Signore, tutti, dal primo all'ultimo, confesseremo apertamente la nostra indegnità. Diremo: "Signore non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma dì una sola parola e io sarò salvato". Di quante cose non siamo degni e ce lo dimentichiamo! Quante cose di cui essere grati! Al riconoscimento della sua umiltà il centurione aggiunge un altro riconoscimento, quello della forza della Parola di Gesù. Parlavamo di parole vuote, che suonano vuote e non ottengono un bene.

Ci sono però parole che ottengono ciò che significano. Il centurione fa riferimento ai suoi comandi, che ottengono l'immediata adesione dei militari che gli sono affidati. Pensa così delle parole di Gesù. Lui non aveva forse mai letto le Scritture Sacre, ma, per dono dello Spirito che supera monti e confini, con la sua anima onesta aveva forse intuito quanto della Parola di Dio era scritto nel rotolo di Isaia, là dove si racconta della potenza della Parola di Dio. Che non fa ritorno senza aver operato: "Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, affinché dia seme al seminatore e pane da mangiare, così è della mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non torna me a vuota, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l'ho mandata" ( Is 55, 10-11).

Ebbene alle parole del centurione Gesù stesso provò - è scritto - meraviglia. Ammirò la fede. Del pagano. E disse parole che davano le vertigini. Devono essere rimbombate come un tuono in coloro che pretendevano di essere i depositari della fede. Disse, dando forza alle parole: "In verità io vi dico, in Israele non ho trovato in nessuno una fede così grande!". Voi mi capite li metteva tutti in fila e al primo posto il pagano! Lo innalzò a modello. Per la sua fede. Grande! E ne aveva visti, ma uno con una fede così grande mai. Da un lato sembra di leggere, nel nostro racconto, un appello a dare fiducia alla parola del Signore. Con la stessa intensità con cui diede fiducia alla parola di Gesù quel centurione.

Dall'altro sembra di leggere nelle parole di Gesù l'invito a un'arte che lui aveva e che noi in parte abbiamo dimenticata. Noi siamo stati educati a pensare che la fede la si debba trasmettere ed è vero, insegnamento prezioso! Ma poco - oserei dire, molto poco - siamo stati educati all'arte di scoprire, come faceva Gesù, la fede in quelli che non appartengono al nostro territorio. La fede di quelli che chiamiamo lontani, la fede dei non appartenenti.

Oggi vorrei pregare Gesù con voi perché Gesù ci insegni questa sua arte: occhi che sanno scoprire tracce della fede. Là dove non pensiamo.

 

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