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TESTO Esultate, o giusti nel Signore

don Walter Magni  

5a domenica dopo Epifania (anno C) (10/02/2019)

Vangelo: Mt 8, 5-13 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Gesù compie il miracolo della guarigione del servo del centurione a Cafarnao di Galilea. Stando al racconto di Matteo. Dunque: un pagano, che non c'entra con l'ebraismo religioso di Gesù, si reca da Lui per implorare la guarigione di un suo servo malato. Ricordo che mi aveva fatto pensare una domanda del card. Martini pronunciata in occasione di un incontro della Cattedra dei non credenti. Diceva, infatti: “ma in cosa crede chi non crede?”

In cosa crede chi non crede?
Il racconto inizia dicendo che “entrato Gesù in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: ‘Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente'". Cosa poteva spingere un centurione romano, appartenente dunque a una religione di tutt'altro segno, a implorare da Gesù la guarigione di un servo gravemente malato e al quale doveva essere molto affezionato (Lc 7,-10)? Quest'uomo, per quanto fosse informato del fatto che qualcuno Lo riteneva il Cristo, il messia Figlio di Dio, tuttavia di Lui non sapeva granché. Più facilmente, preso com'era dalla speranza di vedere assolta in qualche modo la sua richiesta di guarigione, poteva riporre in Gesù la stessa fiducia che si dà al guaritore di turno o si ripone in un medico riconosciuto dai più come abile e capace. In cosa stava credendo, sperando quest'uomo? Fondamentalmente nel miracolo della salute, della riabilitazione umana del suo servo. Non sopportando più di continuare a vederlo giacere nel letto in casa sua. Irrigidito e paralizzato dal male; attraversato da una sofferenza indicibile e insopportabile. E in Gesù, più semplicemente nell'intravvedere, senza alcuna attribuzione teologica particolare, la possibilità di uscire da un labirinto. Da una sorta di lungo tunnel, buio e senza spiragli. Proprio come finiscono per essere certe malattie. Nel centurione si evidenzia un credito aperto nei confronti dell'umanità di Gesù, così come Si stava presentando in quel momento i suoi occhi. Sperando di averne sollievo e rischiando immagine e reputazione.

Dare credito a Gesù
Così Gesù semplicemente gli va incontro e risponde: “Io verrò e lo curerò”. Davanti a una domanda così diretta e discreta Gesù gli va incontro, senza porre condizioni. Né pretendendo un'appartenenza religiosa, né domandandogli chissà quale consapevolezza di fede. Cosicché là dove la libertà si manifesta più forte e intensa, si manifesta la fede. Tanto che la replica del centurione diventa la dimostrazione più alta di una umanità umile e sincera: “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”. Non solo quest'uomo è serenamente consapevole dei propri limiti (“Io non sono degno”), ma pure è dotato di un profondo senso di ciò che conta e vale. Soprattutto nello stile col quale si rapporta alla persona di Gesù. Dimostrando intelligenza realistica di sé, consapevolezza del proprio ruolo nei confronti di chi gli è sottomesso, accompagnato in ogni caso da un grande senso di responsabilità: “perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va', ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa". E Gesù, trovandoSi al cospetto di una umanità così profonda, semplicemente l'ascolta, cogliendone subito la dignità e lo spessore. Soprattutto sentendoSi riconosciuto e valorizzato da quest'uomo, senza alcuna retorica, senza affettazione. Tanto che, mentre lo ascoltava, Gesù stesso Si sentiva ascoltato, senza infingimenti. Una fede che si riconosce dal sentire d'essere giunti insieme al cuore di una buona e sana relazione.

Da Lui riconosciuto
E quando l'umanità semplicemente c'è, subito si riveste di bellezza. E il cuore si stupisce sino alla commozione. Anche Gesù ne resta affascinato, tanto che subito dice con esultanza: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!”. Gesù non ha sentito pronunciare da quest'uomo la formula del Credo o parole che Lo riconoscano come il Messia veniente, il Figlio del Dio vivente. Gesù in lui vede il compiersi di un disegno divino che quando c'è semplicemente incanta. Come anche dice il salmo: “cos'è l'uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura? Eppure l'hai fatto solo di poco inferiore a Dio, e l'hai coronato di gloria e d'onore” (sl 8,3-5). Per riuscire a cogliere nell'umanità di quest'uomo una fede così profonda, un rapporto con Dio che non s'era mai interrotto oltre la sua stessa appartenenza religiosa, importa avere lo sguardo divino di Gesù, che accoglie l'uomo per quello che è: così com'è, molto semplicemente. In grado di raccogliere proprio quel suo dolore, la forza di quella sua invocazione. Riconoscendo lo Spirito carico d'amore che lo attraversava, animandolo e identificandolo. “Affidarsi allo Spirito significa riconoscere che in tutti i settori arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi; a noi non tocca né seminarlo, né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo, seguirlo. Anche nel buio del nostro tempo lo Spirito c'è e non si è mai perso d'animo: al contrario sorride, danza, penetra, investe” (C. M. Martini, Uomini e donne dello Spirito).

 

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