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TESTO Cantare l'amore con il cuore e il coraggio di Cristo

padre Antonio Rungi

IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (03/02/2019)

Vangelo: Lc 4,21-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 4,21-30

In quel tempo, Gesù 21cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».

22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». 23Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». 24Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. 25Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. 27C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

28All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. 29Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. 30Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

La liturgia della parola di Dio di questa domenica quarta del tempo ordinario ci offre tra i testi da meditare il celebre inno alla carità di San Paolo Apostolo. Nella seconda lettura di questo giorno santo noi leggiamo, infatti, questo canto meraviglioso all'amore, al vero amore, all'amore che attinge il suo significato più profondo da Dio che è amore infinito.
L'apostolo delle Genti, in questo stupendo brano della sua prima lettera ai Corinzi ci prende per mano, per il cuore e soprattutto nella mente per farci capire il valore dell'amore cristiano, che è la virtù teologale della carità, che è il dono più grande che il Signore ci ha fatto e che noi dobbiamo possedere o cercare di possedere a tutti i costi. Altro desiderio ed altra aspirazione nella nostra vita non ci può essere e non ci deve essere. Impregnati di carità, impegnati nella carità, immersi totalmente nell'amore che dà gioia e sa adeguatamente rapportarsi con tutti, nella pazienza e nella tenerezza.
Ecco perché l'Apostolo elenca una serie di attributi o qualità della virtù della carità. Essa è magnanima, benevola, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si rallegra della verità. Per tutti questi attributi e connotazioni, la carità tende a scusare tutto, a credere a tutto, a sperare in tutto, a sopportare ogni cosa. Il valore infinito di questa virtù sorpassa il tempo presente e si colloca al suo giusto posto, nell'eternità. La carità, infatti, non avrà mai fine. Tanto è vero, scrive l'Apostolo Paolo, tre cose abbiamo di bello su questa terra, e sono la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità, perché non cesserà, ma sarà la nostra stessa vita nell'eternità.
Questa carità ha un altro importante nome che si coniuga con la nostra vita su questa terra ed ha attinenza con la vita nascente, crescente e morente ed è l'amore.

Nella domenica in cui noi cattolici italiani celebriamo la giornata nazionale della vita, risulta di grande insegnamento quello che ha scritto il profeta Geremia e che noi leggiamo come primo brano della liturgia della parola di questa prima domenica del mese di febbraio 2019: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni. Per quello che dovrà dire il profeta in nome di Dio, gli fanno guerra, ma non lo vinceranno i suoi avversarsi, in quanto il Signore è dalla sua parte, lo protegge, lo difende, lo incoraggia a parlare apertamente”.

Nell'Antico Testamento i profeti sono stati avversati ed uccisi, nel Nuovo Testamento spetta la stessa sorte a Gesù, il Messia, il Figlio di Dio. Anche lui è rifiutato dagli stessi suoi concittadini di Nazareth, ai quali parla in termini espliciti, in quanto non si convertono e non sono riconoscenti verso Dio per i benefici che il Signore concede abbondantemente loro. Il discorso di Gesù nella sinagoga di Nazareth, dopo aver letto il rotolo del profeta Isaia ed aver applicata a sé quello che aveva anticipato il profeta, molti secoli prima. Egli rivolto a chi ascoltava nel luogo sacro, disse: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. E fa dei precisi riferimenti biblici, ben conosciuti dai presenti. “C'erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
La conseguenza del suo ragionare che invita alla conversione e alla riconoscenza a Dio è che “all'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù”. In poche parole lo volevano uccidere già allora, dopo quel discorso. Parole dure, non accettate, ma parole vere e coraggiose che solo Gesù poteva rivolgere loro senza paura ed angoscia per il suo futuro. Infatti, dopo questa evidente contestazione nei suoi riguardi egli passò tranquillamente in mezzo a loro e continuò il suo cammino, la sua missione itinerante.
La corrispondenza tra il discorso di Gesù nella sinagoga di Nazareth e la realtà di tutti giorni, in cui i veri profeti di Dio dicono la verità e denunciano il male, sono sempre avversati ed ostacolati, a partire proprio da quegli ambienti dove la parola di Dio, la correzione, la verità e la rettitudine morale dovrebbero essere alla portata di tutti.
Penso in questo momento alla voce profetica di Papa Francesco, spesso avversato e contestato negli stessi ambienti cattolici, nei quali il suo insegnamento dovrebbe essere accolto ed accettato acriticamente, essendo il Romano Pontefice, il Vicario di Cristo sulla terra, il Vescovo di Roma ed il capo del collegio apostolico, invece viene frequentemente attaccato ed osteggiato proprio in quegli ambienti religiosi e cattolici, in cui le parole del Papa risultano essere forti e contrastanti con il loro modo di intendere il Vangelo. In fondo cosa dice il Papa se non quello che ha detto Cristo proprio nella sinagoga di Nazareth? A chi lo dice, a partire proprio da chi dovrebbe avere maggiore dimestichezza con la conoscenza del Vangelo, che non lascia libertà di interpretazione di fronte alle opere di misericordia corporale e spirituale che tutti dovremmo praticare. Perciò non c'è uniformità di giudizio e di valutazione sul suo magistero, perché non c'è convergenza sul vangelo dell'amore e della carità, quello che Paolo ci ha richiamato nel brano della seconda lettura di oggi, presentandoci il canto dell'amore con la bocca ed il cuore di nostro Signore. Non senza motivo, oggi, la preghiera iniziale della santa messa, nella duplice versione, mette in risalto l'amore e la missione: Dio grande e misericordioso, concedi a noi tuoi fedeli di adorarti con tutta l'anima e di amare i nostri fratelli nella carità del Cristo. Ed aggiunge: O Dio, che nel profeta accolto dai pagani e rifiutato in patria manifesti il dramma dell'umanità che accetta o respinge la tua salvezza, fa' che nella tua Chiesa non venga meno il coraggio dell'annunzio missionario del Vangelo. Amen.

 

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