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TESTO Veglia e custodia

don Angelo Casati  

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Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (anno C) (27/01/2019)

Vangelo: Mt 2,19-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 2,19-23

19Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. 22Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

Quando decise di farsi uomo - noi ci siamo abituati all'idea, ma questa, di un Dio-uomo, è una rivoluzione! - ebbene quando decise di farsi uomo, il Figlio di Dio accolse con cuore libero e grande tutto ciò che implicava farsi uomo, quindi avere una famiglia. E non una famiglia fuori dal comune. Non un luogo privilegiato, appartato, di privilegio. Oggi il brano del vangelo ricorda che, di ritorno dall'Egitto, la decisone, frutto di una scelta ben precisa, fu per una terra di confine, potremmo forse dire terra di meticciato religioso, la Galilea e una città senza ambizioni di fama, chiamata Nazaret.

E questo è lo straordinario di Dio: lo straordinario nell'ordinario. La fede dunque non chiede alle nostre famiglie luoghi straordinari, appartati, ma l'ordinario. Lo straordinario - perdonate il bisticcio delle parole - è Dio nell'ordinario. Di ritorno dall'Egitto, nulla nella vita del villaggio, nulla per quasi trent'anni, che facesse allusione in modo evidente al fatto che quello era il Figlio di Dio. Immagini da una casa comune: la stuoia, la lampada, la madia, il forno nell'angolo, la legna da ardere. Immagini di lavori comuni: impastare la farina, attingere al pozzo lontano, radunare assi da lavorare, insegnare a quel figlio il lavoro, ma ancor più la sapienza del vivere, pregare e ringraziare, il succedersi di giorni in cui è immediato capirsi e di altri in cui non è così facile, ma arduo e sofferto, il confronto.

Come nelle nostre case. Destarsi ogni mattina, uscire o per andare a bottega o per bisogno di acqua dell'anfora, ritornare, riposare nella notte, riprendere al mattino. E lui, quel figlio di Dio e figlio dell'uomo, a dirci che aveva inizio così la salvezza del mondo, lui a dirci che iniziava da lì il suo contributo per il riscatto della terra. Tra quelle cose e non al di là di quelle cose. Già da quel momento e non solo dopo. Impressiona l'assenza dello straordinario, la sfida del silenzio delle cose comuni, la forma della piccolezza, la vita nascosta. Tutto sembra appartenere a una storia apparentemente irrilevante.

Ma la famiglia di Nazaret ci lascia - mi sembra - anche un altro importante messaggio: nessuna più di lei visitata dal divino - ospitava il Figlio di Dio - eppure non risparmiata, non al riparo dai drammi che a volte improvvisamente si mettono di traverso nella nostra e altrui vita. Si evoca la figura di un Erode sanguinario e violento: pur di salvaguardare il potere, uccide. E vittime persino tra i suoi famigliari. Ma non è l'unico, è un plurale. Un plurale nei secoli. Ma anche un plurale nel senso che altri aiutano o non intervengono. Mi hanno fatto molto pensare le parole al plurale dell'angelo a Giuseppe: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, e va in terra dì Israele, sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino". Al plurale.

Voi mi capite, non solo chi sta al potere, ma anche chi collabora o chi con il suo silenzio acconsente e non rompe la spirale della violenza. Ebbene, dobbiamo riconoscerlo. Anche la parola "bambino", è diventata plurale nella storia, lungo i secoli, e anche oggi: stragi di innocenti. Diventa plurale anche il bambino. E diventa realtà anche la strage degli innocenti. Qualcuno potrebbe sussumere che la fuga e il ritorno della famiglia di Nazaret forse furono meno drammatici di tanta fughe che oggi sono sotto i nostri occhi. Può essere: nessuna storia è uguale ad un'altra, neppure oggi, ma ciò non toglie che fu storia di migranti e non certo una passeggiata.

Solo i vangeli apocrifi cercarono di togliere la drammaticità, della fuga e del ritorno, con il racconto di miracoli che accompagnavano il cammino. C'è una parola che nel racconto sembra contenere, quasi simbolicamente, gli stati d'animo della famiglia di Nazaret in quei giorni, la parola "notte". L'invito dell'angelo a fuggire e poi a rientrare è nella notte. Nella notte: sembra di leggere storie di notti, storie di fughe perché a inseguire è la morte. Mi fa pensare come spesso ci siamo dimenticati che la vita di Gesù di Giuseppe, di Maria, abbia conosciuto l'ansia, la paura, la fretta, la fatica della fuga.

Ci furono di mezzo l'ansia e la fatica di chi giunge in un paese che non è il suo. E come non pensare che anche a quella famiglia toccò l'ansia per una casa che li ospitasse e la ricerca di un lavoro che li sostenesse. Vorrei dire che non fu senza ansie e senza preoccupazione neppure il ritorno: chi ora stava al potere? Mi è venuto spontaneo pensare a due veglie. La prima, sotto l'immagine di un angelo, è la veglia di Dio. Maria e Giuseppe - il bambino ancor piccolo li guardava - portavano negli occhi come un lume acceso, un lume di speranza. Loro che con il salmo 121 - non potevano esserselo scordato in quelle ore - avevano spesso pregato: "Non si addormenterà, non prenderà sonno /il custode di Israele. /Il Signore veglierà su di te /quando esci e quando entri /da ora e per sempre".

Nell'uscita da Israele come nel ritorno dall'Egitto, anche la famiglia di Nazaret ha esperimentato un Dio custode, un Dio che non si addormenta. Il Dio della veglia e il Dio della custodia. Ma Dio ha bisogno di noi, quando in vista è la tragedia di chi è in fuga. Dio non fa miracoli né sulla strada della fuga né su quella del ritorno. "Alzati, prendi il bambino e sua madre e va...". Ci volle tutta la tenerezza e la cura di Maria, ci volle tutta la vigilanza e il darsi da fare di Giuseppe, a inventare strade meno pericolose, a trovare soluzioni possibili, a creare una vita che fosse umana.

Veglia e custodia da parte di Giuseppe e Maria. Non abbiamo forse bisogno di fare memoria anche di questa storia di veglie e di custodia, per attraversare questi nostri giorni senza incattivirci e avvelenare l'aria? Ma con compassione, com pietas. Ha scritto in questi giorni Luigino Bruni, economista e saggista: "Oggi siamo immersi in un enorme e crescente analfabetismo di compassione e di pietas. Abbiamo perso già molto tempo, forse troppo. Nessun cambiamento civile e politico vero è possibile senza ricostruire questo patrimonio di pietas umana, che si sta esaurendo senza che nessuna agenzia globale lo denunci".

Ritorniamo alla pietas, ritorniamo ad esse umani. La narrazione del vangelo oggi ci ha fatto partecipi della veglia e della custodia. Di Dio. Di Maria e Giuseppe. I nostro occhi ne siano abbeverati.

 

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