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don Alberto Brignoli  

II Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (20/01/2019)

Vangelo: Gv 2,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 1vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Dopo essere manifestato dalla Stella come luce di tutti i popoli nell'adorazione dei Magi, dopo essere stato rivelato dal Padre come il Figlio amato nelle acque del Giordano, oggi è Gesù stesso, in persona, a svelarsi, a rivelarsi per ciò che egli è, in un banchetto di nozze, a Cana di Galilea. E lo fa attraverso un “segno”, “l'inizio dei segni”, come lo chiama l'evangelista Giovanni, che mai nel suo Vangelo parla di “miracoli” compiuti da Gesù. Non che non li racconti, anzi: i più grandi miracoli compiuti da Gesù sono, forse, proprio quelli narrati nel quarto Vangelo, dalla guarigione del cieco nato e del paralitico della piscina, alla moltiplicazione dei pani e dei pesci, per giungere alla risurrezione dai morti dell'amico Lazzaro. Eppure, da Giovanni non vengono mai chiamati “miracoli”, ma “segni”: che differenza fa?

Il “miracolo” è un fatto soprannaturale, clamoroso, inspiegabile, che ridona a qualcuno ciò che aveva perso o che gli era stato negato: qualsiasi tipo di guarigione, come la vista a un cieco, la parola a un muto, oppure il ritorno alla vita di un morto, o il dono del pane a una folla difficile da sfamare. Una volta compiuto, il miracolo suscita ammirazione, stupore, lode a Dio, in alcuni casi un'azione di grazie che si concretizza nella sequela di Gesù, e poi tutto termina lì: tutt'al più, lo si contempla periodicamente, come la rappresentazione di una meravigliosa opera d'arte che suscita ammirazione. Ma quando al miracolo viene associata la caratteristica di “segno”, le cose cambiano. Un segno, per definizione, è un fatto, un oggetto, un fenomeno, da cui si possono trarre indizi e conoscenze, è qualcosa che serve a dimostrare, a rivelare apertamente il significato che sta dietro al segno stesso. Gli esempi si sprecano, per dire che dietro a un “segno” ci sta sempre qualcosa di più. La febbre è il segno che la nostra temperatura corporea si è innalzata, in genere in seguito a uno stato di malessere che ci sta dietro. Allora, un miracolo definito “segno” è un fatto eclatante e inspiegabile, dietro al quale è nascosto qualcosa di più, solitamente un insegnamento o - per rimanere in tema con l'Epifania - una rivelazione.

Ciò che avvenne a Cana di Galilea, nel bel mezzo di un banchetto di nozze, fu una vera e propria rivelazione: come dice Giovanni, al termine del brano di vangelo di oggi, fu “l'inizio dei segni compiuti da Gesù”, quello attraverso cui egli “manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”. Sono sufficienti queste “pennellate” di Giovanni per farci comprendere che non ci troviamo di fronte solamente all'esordio di Gesù nella sua attività di maestro e profeta, ma molto probabilmente a un episodio che dice il senso profondo, la caratteristica fondamentale dell'insegnamento e della vicenda storica di Gesù. Qualcosa, cioè, senza il quale non riusciamo a comprendere fino in fondo l'essenza del messaggio e della vita di Gesù di Nazareth.

Si potrebbero - e di fatto è avvenuto - scrivere trattati interi sui molteplici significati che stanno dietro a questo “segno” dell'acqua tramutata in vino, ma penso che sia bene andare direttamente alla chiave d'interpretazione del segno stesso, al punto focale. A me piace individuarlo in un'immagine, per la quale Giovanni spende un intero versetto degli undici che compongono questo brano: mi riferisco alle “sei anfore di pietra”, all'interno delle quali avviene il segno. “Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri”. Queste anfore servivano per ciò a cui i Giudei tenevano in maniera particolare: le abluzioni, il lavacro da compiere prima di ogni banchetto perché questo banchetto potesse svolgersi secondo le regole di purezza rituale prescritte dalla Legge. Qualora le abluzioni non fossero fatte, si infrangeva la Legge, si peccava. Ebbene, quelle anfore erano vuote (è Gesù, infatti, che chiede ai servi di riempirle): nessuno si era preoccupato che il banchetto di nozze si svolgesse secondo la Legge. Quel banchetto era nato male, sotto il segno dell'infrazione alla Legge: ecco perché rimangono senza vino, o per dirlo con le parole di Maria “non ne hanno proprio”, non ci hanno pensato. Questo banchetto appartiene al mondo vecchio e superato dell'Antica Alleanza: quella che basava la relazione con Dio sull'osservanza della Legge, un'osservanza talmente difficile da rispettare che spesso e volentieri si tralasciava di osservarla, perché era oppressiva, pesante, come anfore “di pietra” (e quando mai, visto che in genere sono di terracotta?), che riempite all'orlo, cioè piene zeppe di norme, avrebbero pesato “centoventi chili l'una”, qualcosa di inimmaginabile, e per di più...inutilmente, perché erano solo “sei”, il numero dell'incompletezza, dell'imperfezione, secondo la tradizione ebraica. Tutti simboli per dire che l'Antica Alleanza, oltre che a dover essere vissuta e subita come un peso opprimente, non portava assolutamente a nulla, era perfettamente inutile, vuota: nessuno si poteva comunque ritenere puro, e nessuno avrebbe gioito di un'alleanza che era priva dell'elemento della gioia, il vino. Un'alleanza sterile, insomma.

Il primo dei segni, quindi, quello che inaugura la Nuova Alleanza di Dio con il suo popolo in Gesù di Nazareth, si basa sul superamento della Legge: chi vuol essere discepolo di Gesù, camminare con lui, e trovare la salvezza, dovrà “fare qualsiasi cosa egli dica”, anche le più sconvolgenti, come quella di stravolgere le gerarchie e dare più importanza ai servi che al capo del banchetto, o quella di mantenere il vino buono per ultimo, perché solo chi è rimasto sobrio lo possa apprezzare.

E sarà così, seguendo Gesù in quest'anno appena iniziato: solo chi non è sazio, solo chi ha fame e sete di salvezza, scoprirà i doni del suo amore. Chi è pieno di sé, delle proprie opere o delle opere di una religione che non salva, resterà escluso dal banchetto della Nuova Alleanza.

 

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