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TESTO Chiamati a esser belli...

don Angelo Casati  

Domenica dell'Incarnazione - 6a Tempo di Avvento (anno C) (23/12/2018)

Vangelo: Lc 1,26-38a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 1,26-38a

26Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te».

29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».

34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Forse era un giorno qualunque, un giorno come tanti altri, quello dell'angelo nella casa della ragazza di Nazaret. Che cosa stesse facendo non lo sappiamo. Si sentì come sfiorata. Era un angelo. Come se fosse sfiorata da una luce. Sorpresa e turbata nello stesso tempo. Il turbamento, o forse anche il rossore, l'angelo glielo aveva letto sul viso, il suo viso di adolescente. Anche se, a pensarci bene, la prima sua parola era stata un "rallegrati" e aveva aggiunto: "Tu che sei superamata".

Quel giorno - non sappiamo a che ora - forse anche le pareti di tufo, di una casa di gente povera, trattennero come il fiato per ascoltare le parole dell'uno e dell'altra. Quelle parole - lo possiamo immaginare - nel cuore della ragazza sarebbero risuonate per tutta una vita. A qualcuno le avrebbe poi confidate se sono giunte a noi E chissà come sarà stato rossore di viso quando raccontò di quella visita sorprendete alla cugina Elisabetta nella casa sui monti di Giuda. Era nell'età dei sogni. E uno - forse quello a lei più caro - lo stava costruendo.

Era fidanzata a Giuseppe. Non dico che l'angelo con le sue parole cancellasse quel sogno. Giuseppe mai e poi mai l'avrebbe abbandonata. Ma l'angelo - Dio attraverso l'angelo - le chiedeva qualcosa che era oltre, un oltre sino a quell'ora inimmaginabile. Qualcosa di inimmaginabile - starei per dire - non solo per lei, ma per la mente umana, per noi, inimmaginabile: generare Dio. "Ma come è possibile?": è la domanda, la domanda di Maria. Maria - contrariamente a quanto suggerisce un certo immaginario religioso - non è per nulla priva della forza di una domanda. Anche in questo sta la sua bellezza. Il suo atteggiamento, nei confronti di un Dio che chiede, non è passivo, non è servile.

Alla fine dirà: "Ecco la serva del Signore". Voi mi capite: serva, ma non servile. Questo chiede Dio. A Maria, ma anche a ciascuno di noi: di essere sì servi, collaboratori, ma non servili. E qui sta una delle tante sorprese: Dio chiede collaborazioni, per un sogno che va oltre. Ho usato il plurale "collaborazioni". Sì, per inciso vorrei dirvi che anche Giuseppe, che troppo spesso affrettatamente togliamo dalla scena, collaborò con Maria a quel sogno. L'angelo dunque svelò a Maria, nella casa, quale fosse il sogno di Dio su di lei, un sogno che non era certo il prodotto di una mente umana.

A volte succede che, con una dose abbondante di presunzione finiamo per imporre noi ad altri, come fossero sogni di Dio, i nostri sogni angusti, ristretti nelle nostre povere misure umane. Leggendo dell'angelo che svela a Maria il sogno di Dio su di lei, mi è venuto spontaneo pensare che accanto a chi si interroga su se stesso e su ciò che lo attende nella vita, sarebbe prezioso un angelo.

Lasciatemi dire, la leggerezza dell'angelo, che senza premere, ti aiuta a guardarti dentro e a sentire la voce di Dio, e, insieme, a scoprire la modalità, la tua modalità, con cui tu collaborerai al disegno di Dio sulla storia. E Dio chiede un grembo. Un grembo per nascere. E, badate, non per nascere superuomo, ma per nascere uomo. Per diventare un uomo chiede un corpo. A volte quando ci sentiamo dire che siamo chiamati a collaborare al disegno di Dio nella storia, pensiamo a una chiamata a chissà quale cosa, a chissà quali azioni. Il disegno è ospitare il divino nell'umano.

Un umano concreto che ha la piccola misura di un grembo di donna. Chiamati a ospitare il divino non in chissà quali astrazioni, né in chissà quali fumoserie dello spirito. No, nel corpo. Questa domenica ha nome di "domenica dell'incarnazione", del Dio che si fa carne. Non so se qualche volta ci fermiamo a pensare che cosa volle dire per Maria il sì all'angelo: nella sua vita non troviamo traccia di azioni di privilegio, eccezionali... Fu donna del sì nella vita di tutti.

All'esterno nulla di eccezionale La sua fede era eccezionale. La sua fede dava luce alle cose, le più comuni, di ogni giorno. Si trovò fin da principio a fare la cosa che vorrebbero fare tutti quando il cuore è gonfio: poterlo confidare a qualcuno. L'angelo le aveva parlato della cugina Elisabetta, incinta di sei mesi: tra donne si sarebbero capite.

"Si alzò" è scritto "e andò in fretta". I primi verbi di Maria dopo l'annuncio! Fu così, con una visita, che diede inizio al sogno che la abitava. Ritornò a Nazaret: e, ancora, il divino dentro gli eventi quotidiani. Portava in grembo un bambino e non poteva non leggere smarrimento dentro gli occhi - quelli che le stavano più a cuore di tutti - dentro gli occhi di Giuseppe, occhi interroganti sul mistero del suo corpo rigonfio. Il divino così, per tutta la vita, dentro l'umano.

E riandava - penso, riandò per tutta la vita, nelle ore tenere ma anche in quelli più buie - alle parole dell''angelo: "Rallegrati, tu superamata. il Signore è con te". Ho fatto sosta sulla parola "rallegrati" fino a sorprendermi che nel testo è legata all'esperienza di essere amati. L'allegria è dal sentirsi amati. Non vi capita - a me capita spesso - di incantarvi davanti ai ragazzi che se ne vanno per le strade abbracciati, gli occhi che sono un lago di allegria e la gioia che ti trasmettono!

Rallegrati perché c'è qualcuno accanto. Oggi, quasi a copia delle parole dell'angelo, nella lettera ai Filippesi abbiamo trovato lo stesso invito - in greco è lo stesso verbo -: "siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino". E' la vicinanza - pensate - è la vicinanza di Dio e, con la sua, ogni vicinanza umana, ogni amabilità che creano allegria. Mi è caro questo verbo greco dell'allegria, perché porta in sé non solo la radice dell'amore, ma anche della bellezza. La bellezza rallegra.

Non so se qualche volta ci capita di chiederci se siamo proprio belli quando pensiamo certe cose, quando diciamo certe cose, quando ci lasciamo andare a certi gesti, quando sosteniamo certe scelte. Siamo belli? Siamo amabili? Creiamo allegria o creiamo depressione? La radice della gioia, della gioia del natale è la vicinanza di Dio, è l'amabilità di Dio. Messaggio prezioso in tempi in cui i volti depressi sembrano carovane.

Ci è chiesto di essere belli, di creare grazia, allegria, bellezza. Come? Facendoci vicini, come ha fatto e come sta facendo, nel suo natale, il Signore.

 

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