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TESTO Commento su Matteo 9,36-10,8

Totustuus  

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (12/06/2005)

Vangelo: Mt 9,36-10,8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù, 36vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! 38Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».

1Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.

2I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; 3Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; 4Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.

5Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. 7Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.

Nesso tra le letture

"Riconoscete che il Signore è Dio; Egli ci ha fatti e noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo". È il tema della scelta di Dio a offrirci un nesso di unità tra le letture di questa undicesima domenica del tempo ordinario. Si tratta della chiamata di Yahveh a essere suo popolo e gregge del suo pascolo (salmo). Se Israele custodirà l'alleanza, il Signore sarà il suo Dio ed egli lo tratterà come sua proprietà tra tutti i popoli (prima lettura). Il vangelo, poi, ci parla di una nuova scelta, quella degli apostoli affinché annuncino la buona notizia, affinché dimostrino che in Gesù Cristo si sono compiute tutte le promesse fatte da Dio al suo popolo. Egli ha compassione di Israele, perché lo vede "come pecore senza pastore" (Vangelo). La sua misericordia è eterna e va di generazione in generazione. Paolo, nel testo della sua lettera ai romani, esprime la profondità di questa misericordia, perché Dio ci ha amati quando eravamo ancora peccatori. E se ha già avuto tanta miserciordia per noi, mentre eravamo ancora peccatori, quanta più ne avrà ora che siamo stati riconciliati con lui (seconda lettura). La realtà della scelta di Dio è per noi motivo di gioiosa speranza.


Messaggio dottrinale

1. L'amore e la compassione di Dio

D'altra parte, anche il tema della compassione e della misericordia di Dio, a sua volta, ritorna in questa undicesima domenica del tempo ordinario, e attraversa e penetra le letture. La compassione di Dio (hessed), non è una semplice afflizione per lo stato nel quale si trova l'uomo dopo la sua caduta. Certamente, questo è una condizione drammatica perché, una volta commesso il peccato, si apre davanti all'uomo un abisso di miseria e rovina che non conosce limiti. Dio, nella sua misericordia e nel suo amore, non restò indifferente alla situazione tragica e disperata dell'uomo. Le parole di Gesù esprimono misericordia al vedere le folle "stanche e sfinite, come pecore senza pastore", ma non si riducono a mero sentimento, bensì passano all'azione. L'amore quando è sincero, non può restare a guardare. Gregorio di Nissa esprime bene l'amore che Dio nutriva per la sua creatura, vedendola arrancare smarrita nel peccato:

"Per mezzo di chi (l'uomo caduto nel peccato) necessitava di esser chiamato di nuovo alla grazia del principio? A chi importava il risollevarsi di colui che era caduto, il rianimarsi di chi era perito, il rimettere in cammino chi era sviato? A chi più, se non al Signore assoluto della natura? Perché solamente a colui che dal principio ha concesso la vita toccava e ed era possibile rianimarla, pur se persa. Questo è ciò che ascoltiamo dal mistero della verità, quando ci insegna che al principio Dio creò l'uomo, e che lo ha salvato dopo la sua caduta" (Or Cat. VIII, PG 45, 39C).

Perciò, la compassione di Dio nasce dal suo amore e si manifesta in un'intervento salvifico, in soccorso di chi era così disperatamente disperso. È un amore che soffre quando vede colui che ama privato del bene originale; cioè, quando vede l'uomo privato dell'innocenza primitiva con cui era stato creato: la grazia delle origini.

Era tale la grandezza del disordine che si era introdotto, che solo Dio poteva salvare l'uomo. Questi è rigenerato per mezzo di una nuova nascita; questa rigenerazione eccede le forze della creatura stessa, rientra piuttosto nell'ambito della creazione. Solo colui che in principio diede la vita all'uomo, può restituirgliela ora, e restaurarla in modo conforme all'immagine primordiale. Solo Dio poteva risvegliare di nuovo l'uomo, e questo era opportuno. È opportuno perché è un'opera buona, e questa opera buona è coerente con il segno originale della creazione: Dio creò l'uomo per amore.

Mentre il peccato è descritto come "abulia", cioè una mancanza di energia nel bene, l'opera di salvezza è come una nuova vocazione, una nuova chiamata, come se Dio prendesse per mano l'uomo. Si tratta – e per questo è necessario il potere creatore – di di tornare all'uomo che ha perso il suo legame di parentela con Dio, la sua impassibilità e la sua immortalità, lo stato originario in cui era stato creato.

"Quale è, dunque, la causa per la quale la divinità si umilia assumendo una tanto vile condizione così che la stessa fede dubita di credere che Dio, l'essere infinito, imperscrutabile, ineffabile, colui che è al di sopra di ogni grandezza e al di là di ogni immaginazione, si mescoli con l'impurità della natura umana...?" si domanda Gregorio di Nissa. È tale l'umiliazione, la kénosis di un Dio trascendente che risulta difficile per la fede consentire all'Incarnazione. L'unione delle nature è stata così profonda che tutto ciò che succede nella natura umana è stato attribuito all'unica persona del Verbo: il nascere, il morire, il soffrire... Perciò, se cerchiamo la spiegazione della nascita di Dio tra gli uomini, dobbiamo ricorrere all'amore divino e al suo desiderio di dispensare bene. Solo se facciamo uso dei beni di origine divina che ci sono stati dati, possiamo riconoscere l'autore degli stessi. Riconosciamo il nostro benefattore dai beni ricevuti. Se, dunque, l'amore per l'umanità è segno distintivo della natura divina, ecco, abbiamo già la spiegazione che cercavamo, abbiamo già la causa della presenza di Dio tra gli uomini. È opportuno insistere su questa affermazione: "l'amore per l'umanità è segno proprio della natura divina". Qui è racchiuso il mistero della presenza di Dio tra gli uomini.

2. Dalla misericordia alla scelta

"Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore". Nel Vangelo la compassione è immediatamente precedente alla scelta. Cristo sente compassione non solo della situazione fisica della gente – e, infatti, invierà gli apostoli a guarire i corpi – bensì, soprattutto, della condizione spirituale e della salvezza eterna di quelle folle. Cristo vuole che il sangue che verserà per la salvezza di tutti gli uomini, arrivi a sanare tutti quanti, perché beneficino della sua redenzione. E per far questo ha scelto di aver bisogno di operai, numerosi; perciò scelse i Dodici.

Non è difficile capire perché ordina loro di predicare solo al popolo d'Israele, escludendo i gentili. In realtà, Israele era il popolo eletto il "regno di sacerdoti e la nazione santa" che il Signore scelse per sé e, pertanto, spettava a loro il primo annuncio della lieta novella. Nella scelta di Israele, vediamo l'amore completamente disinteressato di Dio: gratuito e di portata universale: Dio ha voluto amarlo, e l'amò e gli è stato fedele fino alla fine. Ma, allo stesso tempo, questo amore è un'immagine dell'amore che, in seguito, Dio donerà alla sua Chiesa, il suo nuovo popolo. Quando Cristo resusciterà, ordinerà ai suoi discepoli di portare il suo Vangelo a tutte le genti.


Suggerimenti pastorali

1. La missione e l'evangelizzazione

La missione apostolica dei laici consiste fondamentalmente nel vivere santamente, consacrando così il mondo a Dio (cf. Lumen Gentium, 34). Tuttavia, il laico può e deve, se ne ha la possibilità, collaborare attivamente all'evangelizzazione. Non si tratta di qualcosa di accidentale, bensì di qualcosa che attiene all'essenza stessa della sua vocazione di battezzato. È necessario che tutti ci lasciamo penetrare dall'amore di Cristo per l'umanità, così che anche uil nostro cuore, come il suo, sia infiammato dall'amore per gli uomini. Così nascerà, anche nei fedeli, la "compassione" che nel cuore di Cristo emerge al contemplare le moltitudini senza guida. È una necessità che sorge nella nostra stessa coscienza, e che è necessario non zittire. Il Papa, nell'enciclica Solicitudo rei socialis, dice che la solidarietà "non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti" (Lett. Enc. Solicitudo rei socialis, n. 38).

Certamente il Papa fa riferimento alla solidarietà di carattere materiale, ma quel che dice è applicabile e in modo molto profondo, ai beni dello spirito. È necessario sentire nella nostra anima la tristezza per la sofferenza materiale e spirituale del nostro prossimo. Nulla che sia propriamente umano può farci rimanere indifferenti.

2. Le vocazioni

Certo, il testo evangelico ci fa pensare immediatamente ai ministri dell'altare, i sacerdoti. Sebbene nella Chiesa si stia verificando un graduale ritorno alla crescita del numero delle vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, è ancora largamente inadeguato di fronte alle enormi necessità del mondo. Pertanto, è necessario pregare sempre, tutti insieme, affinché Dio mandi operai alla sua messe, e lavorare attivamente per collaborare alla rinascita delle vocazioni. Non si può sperare che le vocazioni nascano senza un concreto impegno da parte nostra. Perciò, anche nella nostra comunità, è opportuno ravvivare nei cuori il senso di missione della nostra vocazione cristiana: il tema delle vocazioni è una responsabilità di tutti e ci riguarda tutti, da vicino. Quanto bene possiamo fare nelle nostre famiglie, creando un ambiente favorevole alla nascita di nuove vocazioni! La mamma svolge sempre un ruolo importante: è educatrice del cuore dei suoi figli, anche nella fede. Con l'esempio dello speciale amore, totalmente disinteressato, della madre, il marito e i figli si aprono ad un altro amore di medesima indole: un amore disinteressato capace di mettere a repentaglio la propria vita per l'amato.

 

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