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TESTO Una logica differente del regnare

padre Gian Franco Scarpitta  

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) - Cristo Re (25/11/2018)

Vangelo: Gv 18,33-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Anche se al giorno d'oggi si preferisce contemplarne la figura prettamente “sociale” e “impegnata” quale può essere quella del fautore di miracoli, del guaritore e del sollecito uomo di misericordia che interviene a favore dei deboli e degli oppressi, non va dimenticato che Gesù Cristo è pur sempre il Signore e il Re dell'Universo. Questa fu probabilmente una delle intuizioni che mosse Pio XI a istituire la Festività odierna, che chiude un Anno Liturgico per aprirne immediatamente un altro. Istituendo la Solennità di Cristo Re dell'Universo, il pontefice in realtà voleva dissipare la pericolosa propaganda ideologica del laicismo allora imperante (come adesso), contrapponendo ad esso la Trascendenza assoluta di Gesù Signore e per ciò stesso l'irrinunciabilità della fede. Che tuttavia Cristo debba essere esaltato come Signore e Dominatore universale, che a lui si debbano i dovuti tributi di gloria e di maestà con appropriati culti non è fuori luogo nella medesima enciclica.

Gesù Cristo è Dio sin dall'eternità assieme al Padre e allo Spirito Santo, preesistendo sin dall'inizio dei secoli e per mezzo del quale tutto è stato posto in essere: “Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono”(Col 12, 13 - 20). Per volontà del Padre, a Cristo è stato dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, perché a lui si pieghino tutti gli esseri terrestri, celesti e sotterranei (Cfr Fil 2, 20) e a lui sono sottomesse tutte le cose, essendo al centro della creazione, nonché il Primo e l'Ultimo. In Cristo tutto il cosmo si ricapitola (Ef 1, 20) e ogni cosa a lui è sottomessa. Un Re universale insomma, peraltro rappresentato iconograficamente da importantissime icone come quella del “Pantocrator” del Duomo di Monreale. Un dominio quindi indiscutibile, che tuttavia vuole suggerire armonia e unità: nella sua regalità assoluta infatti Cristo riconcilia a sé tutto il creato, realizza la comunione nel cosmo e di questa comunione rende partecipe l'uomo. In lui tutto si armonizza e prende forma e l'universo intero scongiura ogni dispersione e ogni dissipazione. Cristo è il principio unificatore che armonizza anche gli opposti e crea coesione e complementarietà fra tutti gli elementi. In questa sua regalità anche noi, seppure sottomessi, siamo esaltati e chiamati a realizzare un ruolo di primaria importanza come apportatori della medesima comunione e armonia.

Come tuttavia rileva Alsem Grun, quando Gesù nei vangeli parla della sua regalità, lo fa sempre in rapporto alle se opere di amore e alla sua passione e morte di Croce. Emblematica è a tal proposito la risposta che egli da a Pilato: “Tu lo dici... Io sono Re. Il mio Regno non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei. Ora, il mio regno non è di quaggiù.”(Gv 18, 36 -37). Non si tratta cioè di un potere compatibile con le congetture terrene di regalità, di un dominio politico di coercizione delle masse o di predominio o di spadroneggiamento. Cristo non esercita la sua regalità nell'imposizione o nell'affermazione di se stesso. Piuttosto, le opere di misericordia attestano che il suo regno è una prospettiva di amore, di giustizia e di pace che interpella il cuore dell'uomo. Il Regno di Dio in Cristo si evidenzia nella resurrezione dei morti, nella guarigione di ammalati e di lebbrosi, del cieco nato, dell'emorroissa e in ogni opera a favore soprattutto dei poveri e degli emarginati. Il suo regno si realizza nel servizio e nella completa disposizione di sé e raggiunge il culmine soprattutto nella sofferenza e nella morte sulla croce, che è la massima espressione dell'amore. Il mondo giudaico si aspetta un re capace di scendere dalla croce, ma Gesù esprime la sua regalità restandovi appeso per la salvezza di tutti e la croce supera qualsiasi concezione umana della regalità e di governo. La croce è il vero regno perché consolida quell'armonia e quella coincidenza di cui si parlava, realizzando negli uomini comunione e solidarietà e ravvicinando tutte le distanze, per adesso “tutti sono uno in Cristo Gesù.” Regnare è servire, amare fino all'estremo e realizzare comunione e tutto questo esprime la realtà irrinunciabile del legno su cui Gesù è appeso. Esso è per ciò stesso lo strumento della testimonianza della verità perché nel sacrificio di Cristo siamo dischiusi alla verità tutta intera, quella impossibile a concepirsi con la raffinatezza dei ragionamenti umani, ma possibile per Colui che nulla reputa impossibile.

In questa dimensione del tutto rinnovata ed esaltante, noi siamo invitati non a subire un regime politico, ma a partecipare all'opera del Regno di Dio. Anche noi siamo destinati a regnare, ferma restando l'assoluta signoria indiscussa del Cristo Re dell'Universo. Siamo invitati ad entrare cioè nella medesima logica dell'amore e farla nostra, considerando l'importanza del sacrificio e dell'immolazione a vantaggio degli altri.

Da più di un mese porto un fissatore al braccio per una frattura scomposta all'omero in seguito a una brutta caduta. Dopo aver congedato alcuni ragazzini a dir poco discoli e irrequieti che frequentano la nostra chiesa e i nostri locali e con i quali a più riprese da tanto tempo sto cercando di avviare un itinerario, li stavo rimproverando aspramente per l'alterigia e la vanità con cui rispondevano alle mie rimostranze. Taluni si davano anche a dispetti e sbeffeggiamenti, rispondendomi a tono. Preso dalla rabbia e dalla concitazione, mi sono messo a correre dietro a loro, ma forse per un capogiro o un calo di pressione (?) mentre correvo mi sono sentito improvvisamente indebolito, in preda a un senso di vuoto, di debolezza... Non riuscendo a controllarmi né a frenare la corsa, mi sono visto sospinto in avanti e con il viso ho sbattuto contro la carrozzeria di un'auto parcheggiata. Cadendo poi sull'asfalto devo avere impattato il braccio destro che ha riportato una profonda frattura scomposta all'omero. Sottoposto ad intervento chirurgico in ospedale, mi trovo tuttora a gestire il fissatore esterno.

Durante la degenza in ospedale (nove giorni) mi sono chiesto se una simile esperienza possa in qualche modo sortire qualche effetto vantaggioso in ordine all'animazione di ragazzi difficili e particolarmente esuberanti, se determinati eventi possano in qualche modo risvegliare le coscienze o apportare adeguati cam
biamenti; in tutti i modi ho considerato come svolgendo determinati ministeri ci si debba aspettare anche esperienze sacrificate di simile natura. Almeno in determinati contesti, occorre che vengano messe nel computo.

Il servizio, l'abnegazione disinteressata legata all'immolazione e al sacrificio sono elementi irrinunciabili di qualsiasi ministero, particolarmente nei ruoli di governo e di responsabilità, anche in ordine a quelli che solitamente consideriamo i ruoli di “prestigio” o le posizioni di dominio sulla massa. Sono proprio quelle le posizioni nelle quali siamo chiamati a promuovere con responsabilità il bene comune, interessandoci del progresso di coloro che ci sono stati affidati, ma omettendo la logica del servizio, dell'immolazione e del sacrificio quei determinati ruoli non possono che configurarsi a scapito di noi stessi e degli altri. Impostare invece ogni governo o amministrazione nella ricerca disinteressata del bene degli altri, nell'esercizio continuo dell'amore e della carità, nel sacrificio e nella continua umiliazione è garanzia di successo in tutti i ruoli di responsabilità.

 

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