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TESTO Commento su Luca 23,36-43

don Walter Magni  

Domenica di Cristo Re (Anno B) (11/11/2018)

Vangelo: Lc 23,36-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 23,36-43

36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

A cosa fa pensare il titolo di questa festa liturgica che conclude un anno liturgico: nostro Signore Gesù Cristo re dell'Universo? Forse un titolo così altisonante, stando alla sua formulazione, tende ad incutere una certa distanza, un po' di soggezione. Eppure il Vangelo che abbiamo ascoltato è anzitutto un messaggio di vicinanza e di consolazione.

“Salva te stesso”
“Anche i soldati deridevano il Signore Gesù, gli si accostavano per porgergli dell'aceto e dicevano: ‘Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso'”. Così l'evangelista Luca descrive l'atteggiamento di scherno dei soldati di guardia nei confronti di Gesù. Come poteva un re essere ridotto in quello stato? Sopportare un tale scherno? Una vergogna così umiliante da essere deriso? Soprattutto confonde l'invito dei soldati: “salva te stesso”, che stravolge l'intenzione profonda che Gesù Si porta dentro giungendo alla fine. Lui, che “avendo amato i suoi li amò fino alla fine” (Gv 13,1) era sempre andato contro corrente. Per salvarci Si annienta, per regalarci la Sua stessa vita, per noi muore. Non salva Sé stesso, ma, come afferma s. Paolo, non avendo “conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2 Cor 5,21). L'autentico discepolo, il vero discepolo di Gesù, re crocifisso, è quello che, senza più badare a se stesso, semplicemente si dona. “Prendete mangiate, questo è il mio corpo (...). Prendete bevete, questo è il mio sangue: versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me”. Così recita la liturgia eucaristica alla quale partecipiamo la domenica. Non per salvare noi stessi, ma per continuare a salvare tutti coloro che il Signore, per amore, ci affida. Unico è l'amore che Gesù ci ha insegnato. “Ma ha poi una misura l'amore?” chiedevano un giorno a s. Bernardo, “sì, rispondeva, la misura dell'amore consiste nell'amare senza misura”.

“Costui è il re dei giudei”
Così dunque ha vissuto ed è morto Gesù, nostro re. E proprio questo ribadiva la scritta affissa sopra la Sua testa, come una corona: “Costui è il re dei Giudei”. Quasi un'ostentazione. Il bisogno evangelico di dire come le cose stanno. Rimarcando con quelle poche parole scritte su un cartiglio l'evidenza di un re crocifisso per amore. Oltre l'affermazione di un amore generico, vagamente universale. Questo re crocifisso è l'amante di un popolo che ha una storia e nome preciso. Quello stesso popolo giudaico che pure l'aveva visto nascere. L'aveva cresciuto e custodito come un figlio. Sino a provare nei Suoi confronti qualche aspettativa legittima. Senz'accorgersi, tuttavia, che dentro quella carne, la Sua stessa umanità, altro non c'era che Dio, l'Altissimo. L'indicibile Signore dell'universo che aveva osato semplicemente regalarceLo come Figlio: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito”. Tra loro Gesù, come Figlio di Dio, S'era consumato l'esistenza: tra desideri e affetti, ammirazione e invidia. E tutte quelle discussioni a riguardo della Sua identità che Lo porteranno dritto alla morte in croce. Come scriveva Hetty Hillesum nel suo Diario, stando nel campo di concentramento che poi l'avrebbe uccisa, forse “l'unica cosa che ancora possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini” (Diario 1941-1943, Adelphi, pp. 169-170).

La tenerezza di uno sguardo
E ancora una cosa ci resta da evidenziare, volendo raggiungere il cuore profondo e più vero di questa festa. È il valore di uno sguardo, carico di tenerezza e di amore, che solo resta dopo che tutte le parole sono state pronunciate e tutte le invocazioni sono state fatte e una risposta è stata sussurrata ancora dalle labbra di Gesù. Uno dei due che erano stati crocifissi con Gesù diceva, infatti, con tono implorante: “ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. E Gesù a rispondergli, forse con un filo di voce, ma col tono di un decreto che tutti i Suoi discepoli avrebbero cercato di attuare: “In verità io ti dico: oggi sarai con me nel paradiso”. Non c'è più alcuna distanza tra il re crocifisso e questo suddito che sin lì L'aveva suo malgrado seguito. Che fosse un malfattore il Vangelo di Luca lo sapeva bene, quando riporta che “uno dei due malfattori che erano appesi alla croce lo insultava...”. L'esito estremo di questo Vangelo che ormai non ha più parole sta tutto nella reciprocità di uno sguardo che tra i due intercorre. Quasi un abbraccio, che le braccia di entrambi forzatamente distese sulla croce vorrebbero dire. Convergendo per un verso tra loro, ma volendo abbracciare il mondo intero per un altro. Un vero e proprio spettacolo da guardare anzitutto, continuamente, come ancora ricorda il vangelo di Giovanni: “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37), mentre “tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto” (Lc 23,48).

 

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