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TESTO Una compassione da condividere

mons. Antonio Riboldi

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (12/06/2005)

Vangelo: Mt 9,36-10,8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù, 36vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. 37Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! 38Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».

1Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.

2I nomi dei dodici apostoli sono: primo, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello; Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello; 3Filippo e Bartolomeo; Tommaso e Matteo il pubblicano; Giacomo, figlio di Alfeo, e Taddeo; 4Simone il Cananeo e Giuda l’Iscariota, colui che poi lo tradì.

5Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; 6rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. 7Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. 8Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.

Proviamo per un attimo a leggere il cuore di Gesù, con il brano di Vangelo che ci propone Matteo.

"In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate il padrone della messe che mandi operai nella sua messe" (Mt. 9,36).

Gesù prova compassione nel vedere tanta gente che si affollava attorno a Lui, in cerca di speranza, di ragione di vita e non nascondeva il disagio: "erano stanche e sfinite". Non poteva Gesù usare due aggettivi più efficaci nel descrivere ciò che ciascuno di noi prova, quando la vita non offre un motivo per essere amata. Ci si sente in questi casi come un "deserto" dell'anima e non è tanto la paura a stroncare le gambe e quindi a interrompere il cammino, ma il non sapere più dove andare e a chi affidarsi.

Presto o tardi i tanti idoli cui ci si affida o i tanti cattivi maestri, che tracciano la strada da percorrere, come il benessere o il piacere o altro, mostrano il loro vero volto, fatto di niente.

Facile incontrare persone che, se trovano chi li ascolta, mettono a nudo questo insopportabile disagio. Un disagio che non provano le persone che hanno il cuore pieno di amore, di fede, di Dio. Non sono mai stanche, né sfinite.

Ricordo sempre con affetto mia mamma, che visse ben 99 anni. Donna di amore e di fedeltà a Dio ed alla famiglia, che prima di morire, in piena lucidità, mi disse: "Antonio, lo sai che anche alla mia età la vita è davvero un dono di Dio da gustare e vorresti non finisse mai...o attendi che continui in Cielo? Ma sono tanto felice anche qui che chiedo a Dio di farmi la grazia di vivere ancora un poco per stare con voi e gustare la gioia".

Ben diverso quello che mi diceva una persona che dalla vita aveva avuto tutto, soldi, pubblicità, fama e quanto forse anche noi vorremmo. "Sono stanca di vivere, - mi diceva - ho tutto, e questo tutto, a volte, anzi spesso, più che una gioia è un insopportabile peso. Ma a che serve avere tutto se poi il cuore è vuoto di qualcosa di diverso? Lei, diceva rivolgendosi a me, lo si vede guardandola negli occhi che è sereno, anche se ha nulla di quello che ho io. Ma "dentro" deve avere quello che non ho io, ossia una grande fede, un grande amore. Più la guardo e più mi mostra la vita non come un insopportabile deserto, ma come un giardino fiorito. L'avessi io per uscire da questa stanchezza del cuore!"

Credo che tanti di noi, abbiano accolto con stupore le parole che il nostro attuale Papa, Benedetto XVI, disse all'apertura del Conclave, in cui fu poi eletto Papa. Una elezione rapida, una scelta dello Spirito che certamente ha voluto dare senso e attualità alle parole di Gesù: "Pregate il padrone della messe che mandi operai nella sua messe". E davvero in quei giorni la Chiesa, e non solo, pare abbia ascoltato le parole di Gesù, abbia sentito la sua compassione in se stessa ed abbia chiesto un Pastore, che li sappia fare uscire dalla stanchezza che ci sentiamo addosso.

"Torno con la memoria, in questo momento, all' indimenticabile esperienza vissuta da noi tutti in occasione della morte e dei funerali del compianto Giovanni Paolo II. Attorno alle sue spoglie mortali, adagiate sulla nuda terra, si sono raccolti i capi di tutte le nazioni, persone di ogni ceto sociale, e specialmente giovani, in un indimenticabile abbraccio di affetto e di ammirazione. A lui ha guardato con fiducia il mondo intero. E' sembrato a molti che quella intensa partecipazione...fosse come una corale richiesta di aiuto rivolta da parte della intera umanità, che turbata da incertezze e timori, si interroga sul suo futuro. La Chiesa di oggi deve ravvivare in se stessa la consapevolezza del compito di riproporre al mondo la voce di Colui che ha detto: "Io sono la luce del mondo: chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita". Nell'intraprendere il suo ministero il nuovo Papa sa che suo compito è di far risplendere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo. Con questa consapevolezza mi rivolgo a tutti, anche a coloro che seguono altre religioni o che semplicemente cercano una risposta alle domande fondamentali dell'esistenza e ancora non l'hanno trovata" (Dalla Cappella Sistina).

Sul Card. Ratzinger, in quel momento si era già posato lo Spirito e lo aveva dato a noi, come nostro grande pastore, che certamente sente la compassione di Gesù e sa quanto sia grande la moltitudine della gente "stanca e sfinita".

Gesù non si ferma mai solo a osservare la nostra stanchezza come pecore smarrite. Non è da Lui che ci ama ad uno ad uno e se potesse, o meglio se noi glielo permettessimo, ci prenderebbe tutti sulle sue spalle, come è nella parabola della pecora smarrita.

Ce lo dice oggi il grande apostolo Paolo che, una volta convertito da Gesù sulla via di Damasco, diventa quell'apostolo delle genti che tutti conosciamo. "Fratelli, mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto, forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene. Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall'ira per mezzo di lui. Se infatti quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo, pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione" (Rom. 5, 6-11).

E Gesù subito "chiama a sé i dodici apostoli...e li inviò dopo averli istruiti:...Andate e rivolgetevi alle pecore perdute della casa di Israele. E, strada facendo, predicate che il Regno dei Cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" '(Mt. 9,10-8).

Siamo stati felici testimoni degli eventi, che possiamo definire pentecostali, con la malattia, l'agonia, la morte del grande Papa Giovanni Paolo II e l'elezione del nuovo dono dello Spirito alla Chiesa, che è Benedetto XVI. Il mondo si senti scosso nella sua rassegnata "stanchezza", e sentì che, con la morte di Giovanni Paolo II, tutti, senza eccezione, perdevano il Pastore che aveva vissuto di compassione, dando la vita per consolare. Quella umanità, con il fiato sospeso, che era in Piazza S. Pietro e in tutto il mondo, anche là dove la sofferenza è regina, come tante nazioni condannate quasi a non gustare la vita per la prepotenza di mercenari senza scrupoli, sentì il cuore "svuotarsi di speranza", perché si spegneva la luce della speranza. Davanti a quella tomba, che apparentemente poteva significare solo il mistero della morte, si sprigionava invece, ancora una volta, "la compassione di Gesù" e della Chiesa nel vedere "le folle stanche e sfinite, come pecore senza pastore". Quelle pagine di Vangelo sulla tomba, che continuavano a sfogliarsi, agitate dal vento, sembrava ripetessero le parole di Gesù "Andate in tutto il mondo...predicate che il Regno di Dio è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni". E quel Vangelo che sembrava aprirsi a tutti, senza distinzione, come un invito alla speranza, davvero oggi è più che mai Parola di speranza, per uscire dalla stanchezza della vita ed entrare nella gioia della fede in Cristo.

E' necessario che Dio anzitutto ci mandi tanti pastori che sappiano cercare chi è smarrito e sappiano fare dono della dolcezza e della serenità del Vangelo...di quei fogli che si offrivano a tutti sulla tomba del Santo Padre.

Parole che non appartenevano alla morte, ma erano invito alla vita.

E' necessario che ci rendiamo conto che tante volte quella che viviamo non è vera vita, ma è deserto del cuore dove non spunta la serenità e il bene. Occorre non avere paura di Cristo, come affermò il S. Padre: "In questo momento il mio ricordo ritorna a quando Papa Giovanni Paolo II iniziò il suo ministero pontificale qui in Piazza S. Pietro. Ancora e costantemente mi risuonano le sue parole di allora: "Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate, le porte a Cristo"... Il Papa parlava a tutti gli uomini, sopratutto ai giovani.

Non abbiamo forse paura tutti in qualche modo che, se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a Lui, egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico? Giovanni Paolo II voleva dirci: no! Solo in questa amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in questa amicizia si dischiudono le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in questa amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera...Non abbiate paura di Cristo: Egli non toglie nulla e dona tutto" (Dal discorso dell'inizio di pontificato).

E' allora segno di grande saggezza uscire da tutto ciò che suscita la compassione di Gesù, ossia la nostra stanchezza e sfiducia, e divenire comunità di uomini veri, giusti, santi, abbandonando alle spalle il gregge senza pastore.

E' difficile? Vale la pena di percorrere le vie del Calvario per conoscere la gioia della resurrezione e così dare tanto e vero senso alla vita, sempre.

 

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