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TESTO Tu pietra viva. Scelta!

don Angelo Casati  

Domenica della Dedicazione del Duomo di Milano, Chiesa Madre di tutti i fedeli ambrosiani (Anno B) (21/10/2018)

Vangelo: Gv 10,22-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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22Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. 23Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. 24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». 25Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. 26Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. 27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola».

C'è la poesia e c'è il vento, gelido, dell'inverno. Ed è curioso, direi intrigante, che a raccontare qualcosa, nel giorno che ricorda la dedicazione a Dio del nostro Duomo, da un lato ci sia la poesia del libro dell'Apocalisse e dall'altro la notazione dell'inverno nel brano di Giovanni. E i pensieri vanno tra poesia e inverno, alla fine poesia. Del tempio-costruzione si parla solo nel vangelo e le circostanze, starei per dire, non sono certo esaltanti: l'inverno sembra prefigurare ciò che sta accadendo dentro le mura.

Che cosa accade? "Di nuovo i giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo". Si tratta di Gesù. E poco avanti: "Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggi alle loro mani". Lascia il tempio. Stranezza. L'unico accenno, nelle nostre letture, a un tempio fatto di pietre è per dire che il Figlio di Dio è in fuga, il tempio è vuoto, pieno di personaggi, ma vuoto: gelo e solitudine, assenza di Dio. C'è da stropicciarsi gli occhi, c'è da capire.

E allora vengo al libro dell'Apocalisse. E mi chiedo che senso ha cantare la bellezza? Il brano canta la bellezza della città del futuro, dietro la quale c'è la fantasia inarrivabile di un grande architetto, che l'ha progettata, Dio. Un progetto, cui dovrebbero andare già da oggi i nostri occhi se nella vita vogliamo essere costruttori di bellezza e non deturpatori. Nel disegno dell'architetto: pietre preziose, mura da fascino, porte aperte notte e giorno, lo splendore di una piazza, quasi simbolo di convocazione.

"Poesia" - direbbe qualcuno - l'importante è fare, agire. Ma forse dimentichiamo che la parola "poesia" - dal verbo greco "poiein" - significa produrre, fare, creare. Quasi ci venisse detto che in assenza di poesia e di bellezza il nostro fare diventa un fare sguaiato, annoiato, grigio e vuoto, senza ebbrezza e senza passione. Un fare vuoto. Il vuoto. Il vuoto anche nel tempio. Ci può essere. Strano - mi dicevo anche - che nel giorno della dedicazione del Duomo si legga di una città nella cui piazza non c'è il tempio: "In essa" - scrive il libro dell'Apocalisse - "non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l'Onnipotente e l'Agnello sono il suo tempio". Come se andessimo in piazza duomo ed ecco è scomparso il Duomo.

Ma la ragione sta in questo: che il tempio terreno ha come scopo di immergerci in Dio, il vero tempio è Dio. Le guglie bussano al cielo per raccontare a chi alza gli occhi o entra nell'ombra della navate che ad abitare la chiesa e se stessi è il Signore. La domanda potrebbe allora suonare così: "Del Duomo, di qualsiasi edificio sacro, o di noi stessi, facciamo un monumento o una tenda della presenza di Dio?". Mi fa sempre molto pensare - quest'anno in modo particolare - il tempio vuoto e Gesù in fuga, in fuga da una religione ingessata, dove non si ascolta più la voce, la voce di Gesù, il vero pastore, la voce che fa ardere il cuore.

Perdonate, ma in questi giorni un amico mi scriveva di essere anche lui un po' in fuga: "Faccio grande fatica a frequentare la messa domenicale qui in parrocchia: mi pare che sia la solita litania - devi pregare - confessarti - le associazioni - le strutture parrocchiali - regole, etc,...". Voi mi capite, come mancasse l'aria, lo Spirito. Si dicono parole. Ma sono parole che non fanno ardere il cuore. Mentre di Gesù, che quella sera camminava lungo la strada e aveva colto tristezza nei loro occhi, i due di Emmaus si dicevano l'un l'altro: "Non ardeva forse in noi il nostro cuore, mentre conversava con noi lungo la via?" .

Le fughe dal tempio dovrebbero mettere in questione tutti noi. Me in prima persona. Non tutto dipende dalla secolarizzazione! Ma ora vorrei chiudere con una immagine in positivo, con una riflessione che parte dalle parole di Paolo ai cristiani di Corinto: parla di una chiesa fatta da uomini e donne, non sviliti da passività, ma luminosi in creatività. Una suggestione dietro l'altra: "Voi" dice "siete collaboratori, voi siete architetti, siete costruttori". E, di fascino in fascino, Paolo arriva a dire: "Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?". Pensate, tempio di Dio! Voi! Voi tempio "di pietre vive ed elette": canta oggi la nostra liturgia.

Capite, siete stati scelti, come pietre. Tutti insieme facciamo il tempio. Questa coralità mi affascina. Qualcuno di voi potrebbe giustamente dirmi che, nella chiesa, è una coralità che va ancora perseguita e, volesse il cielo, raggiunta! Personalmente - è una opinione personale da cui si può anche dissentire - la nostra è una coralità ancora lacerata: penso ai sinodi per esempio, dove le voci dei laici e soprattutto delle donne sono in grave, quasi insignificante, minoranza. Bisogna riscoprire la bellezza dell'essere tutti - nessuno escluso - il tempio di Dio. Voi mi perdonerete - qualcuno sa che mi lascio sedurre dalle immagini -. In questi giorni pensavo all'intonaco: noi intonachiamo muri, pareti, case, facciate. Io non ce l'ho con l'intonaco, ce ne sono di bellissimi.

Vi devo però dire che per me è un'avventura degli occhi, quando si scrostano gli intonaci e si arriva, negli edifici antichi, alle pietre vive. Al comporsi strano e meraviglioso delle pietre vive, quasi un mosaico, pietre di ogni misura, di ogni colore. Penso alla genialità, alla cura, all'amore, alla fiducia con cui qualcuno un giorno convocò una ad una le pietre e diede paziente all'una e all'altra dignità di appartenenza. Non importa - voi mi capite - se siamo in alto o in basso, fuori terra o nascosti nella terra, poco importa se la mia pietra è massiccia o è piccola e sbrecciata, così mi sento.

Non importa: con il tuo modo di essere, con i tuoi occhi e le tue mani, con il tuo viso, con la tua fede o con la tua ricerca, con la tua passione, sei il tempio di Dio. E lo sei, se sei in amalgama con tutti. Isolato non sei un tempio, non fai il tempio, fai la solitudine. La bellezza del tempio passa per la coralità. Le pietre insieme si sostengono quasi senza saperlo.

Il miracolo appare quando scrostiamo l'intonaco, Penso alla scoperta, alla meraviglia, il giorno in cui Dio scrosterà l'intonaco.

 

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