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TESTO L'arte di accarezzare

don Angelo Casati  

VII domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (14/10/2018)

Vangelo: Mt 13,24-43 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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24Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

31Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami».

33Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:

Aprirò la mia bocca con parabole,

proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 43Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!

Gesù - ce lo siamo detti molte volte - raccontava. Raccontava. E il risultato erano immagini, immagini e non dissertazioni teologiche. Raccontava dopo aver guardato. E immagini, a non finire, gli erano rimaste negli occhi. E le immagini gli parlavano. Chissà quante volte, guardando i campi, aveva osservato che tra il grano nel terreno si era insinuata silenziosamente della zizzania. Gli era capitato di indugiare a sorprendere il crescere silenzioso, lento ma tenace, del piccolo chicco di senape, lui si innamorava ai germogli. Nella sua stessa casa, quante volte - mi chiedo - si sarà fermato a osservare le mani di sua madre che impastavano farine e poi il sussulto della pasta per quel piccolo grumo di lievito. La sua era un'arte.

Un'arte che mi manca, forse manca a volte anche alla chiesa, l'arte di osservare, di osservare il quotidiano della gente, dove, proprio nel piccolo, può palpitare il brivido di un parabola. Proprio nel piccolo. Oggi farò fatica a legare i pensieri, anche perché i pensieri, i nostri, bussano anche a Roma dove viene iscritto tra i santi Paolo VI, iscritto Mons. Oscar Romero, dove è in atto un Sinodo che mette al centro dell'attenzione i giovani, il loro presente e il loro futuro. E il tutto mi parla della storia, la nostra storia. Il regno di Dio non cresce chissà dove, cresce nella storia. E allora inizio dalla prima parabola perché mi racconta la storia, la terra che abitiamo, l'aria che respiriamo. Me la racconta senza idealizzazioni: Gesù guarda il campo, c'è grano e c'è zizzania. Anche oggi.

Ma non si allinea - l'abbiamo ascoltato - agli sradicatori. "Raccogliendo la zizzania" dice "sradichereste anche il grano. Non tocca a voi. Toccherà alla fine del mondo. E comunque non a voi, ma agli angeli". E chiude il discorso in faccia a tutti coloro che, come ai suoi tempi, anche ai nostri, hanno il piglio degli sradicatori, dei profeti di sventura. Gesù ha uno sguardo diverso. Ebbene oggi, proprio dentro questo orizzonte, mi sorprendeva una sintonia tra tre Papi. Uno, papa Giovanni, che apre il Concilio dissentendo dagli sradicatori e dice: "Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori... A noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo"...

Poi l'altro Papa, pensate, Paolo VI, che chiude il Concilio, riconoscendo sì che nel terreno del mondo c'è anche l'ombra della zizzania, ma dicendo: "Invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette" E oggi papa Francesco che, aprendo il Sinodo dei giovani, diceva che "compito del Sinodo è quello di far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un'alba di speranza, imparare l'uno dall'altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani, e ispiri ai giovani - a tutti i giovani, nessuno escluso - la visione di un futuro ricolmo della gioia del Vangelo". E ringrazia.

E' bellissimo, parole che commuovono. Voi mi capite, i profeti di sventura, gli sradicatori, ci succhiano il sangue, il sangue e la vita e il futuro. Contrastiamoli Impegnandoci a far germogliare i sogni, a dare linfa al grano. Mi chiedo: non è che, esperti nell'arte di accusare, abbiamo dimenticato l'arte di incoraggiare? Oggi abbiamo letto parole di incoraggiamento anche nel libro di Isaia. A quelli che lodavano, rimpiangendoli, i tempi antichi, certo gloriosi, come il passaggio del Mar Rosso, Dio sorprendendo dice. "Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche. Ecco, io faccio una cosa nuova, proprio ora germoglia, non vi accorgete?".

E io mi accorgo? Mi sorprende il fatto che tutte e tre le parabole siano non nel segno dell'azzeramento, della spogliazione, ma della crescita: il grano che cresce, la pasta che si gonfia, il chicco di senapa che si fa albero. E la domanda è se ciò che io dico, faccio, progetto, in capo a una giornata, fa crescere o spegne. Parlo di cose concrete. E dovrei chiedermelo ogni sera. Chiedermi se le parole dette, i gesti compiuti, le iniziative intraprese avevano di mira una crescita dell'umanità, una crescita in umanità. Anche piccola, si va per cose piccole.

Posso sbagliarmi, ma c'è anche un altro filo che lega le tre parabole: lo sguardo tenero di Gesù per la fragilità. Che è una dimensione che appartiene alla vita: la vita è anche ferita, fragilità, piccolezza: la ferita della zizzania nel campo, la fragilità della pasta, la piccolezza di un chicco di senapa. E Gesù dà dignità e dà senso, dà, come dice il Papa, futuro. Il futuro del grano nel campo, della farina impastata, del chicco seminato nella terra.

Perdonate, io vado per immagini e quest'anno, leggendo la parabola, ho molto indugiato - confesso, è semplicemente una mia fantasia - sulle mani della ragazza di Nazaret, Maria, che lavorano accarezzandola la pasta e le fanno poi dono di un grumo di lievito. Mani cha accarezzano. La carezza. E non sarà che a fronte dell'arroganza, che spiana come un cingolato ogni germoglio, abbiamo bisogno di carezze?

Le carezze aiutano a fermentare, sfiorano la fragilità del volto. Senza irriderla, ma incoraggiandola. Proprio in questi giorni in un passaggio di una sua intervista in cui parlava anche di fragilità - una parola che gli è cara, oggi cancellata perché si celebra l'urlo e la forza - Eugenio Borgna, luminoso psichiatra, diceva: "Emozioni, fragilità, timidezze vengono calpestate e triturate nei ritmi demoniaci della catena di montaggio: la performance è una devastazione dell'umano. La fragilità non lo è. La fragilità significa sensibilità che porta infine alla caritas, alla solidarietà sino al sacrificio".

Io penso alle mani di Maria. Che accarezzano la pasta.

 

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