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TESTO E se lo disegnassimo sulle pareti dell'anima?

don Angelo Casati  

V domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (30/09/2018)

Vangelo: Lc 10,25-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 10,25-37

25Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Perdonate se andrò un po' divagando sui testi. Per altro bellissimi. Colmi di immagini. E vorrei iniziare dalle immagini. Sono le immagini, più che le formule, ad accendermi la mente e il cuore. Ad accendermi anche la vita. Un'immagine mi è rimasta negli occhi ascoltando le parole del libro del Deuteronomio. Dopo quarant'anni di deserto, gli israeliti stanno per entrare nelle terra promessa. Una terra, in qualche misura, da sogno. Ma la terra va abitata, con fedeltà al Dio liberatore: ed ecco che Mosè ricorda leggi e precetti che dovranno illuminare i passi per custodire gelosamente il dono della riconquistata libertà.

A colpirmi nel brano era l'ampiezza dell'invito a non scordare leggi e precetti, l'invito a raccontare: "Ti stiano fissi nel cuore, li ripeterai ai figli". E diventino - diceva Mosè - racconto, non solo in casa, ma anche "quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai". Fino a scriverli sugli stipiti delle case, sulle porte. Penso che ad alcuni di noi sarà capitato di notare sugli stipiti esterni di un appartamento di ebrei la mezuza, una piccola custodia che contiene due testi del Deuteronomio; e il primo è quello che oggi abbiamo ascoltato. Quasi come un invito a mettere in alto, a mettere in evidenza.

Come si scrive su un lavagnetta per non dimenticare. Leggevo e mi dicevo: "Forse ci sono anche pareti dell'anima, forse ci sono anche piccole lavagne del cuore". Mi piace l'immagine. Mi sono anche detto che nella piccola custodia non potevano certo essere ospitate tutte le leggi e tutti i precetti. Era immaginabile che lungo i tempi sarebbe sorto il problema di che cosa fosse, alla fin fine, la cosa più importante.

Al tempo di Gesù le scuole rabbiniche ne discutevano a non finire. Il dottore della legge ce lo dimostra. Anche se l'intento dell'interlocutore era tutt'altro che limpido, dobbiamo confessare che la sua era una domanda che circolava negli ambienti rabbinici del tempo: "Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna? E Gesù, a proposito della cosa più importante, mette il sigillo su due testi della Bibbia che il dottore della legge ha perfettamente identificato: "Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il tuo prossimo come te stesso".

La domanda era sul che cosa fare. "Fa' questo e vivrai". Io penso che il dottore della legge, chiedendo "E chi è il mio prossimo", non immaginasse quali sconfinamenti di pensieri avrebbe portato quella domanda. Perché la parabola, che nel nostro uso comune passa come la parabola del buon samaritano, se la leggiamo con attenzione è una parabola rivoluzionaria. Sì, innanzitutto perché, mentre il dottore della legge, riandando alle Scritture, aveva citato in successione l'amore di Dio e poi quello del prossimo, nella parabola, che insegna che cosa si debba fare, in un certo senso scompare Dio. E appare un uomo.

E' intrigante questa scomparsa. E' scomparso Dio nella parabola o si è nascosto? Mi sono detto che si è nascosto, quasi Gesù volesse fare un tutt'uno di Dio e dell'uomo, senza separazioni, senza divisioni. Quasi volesse - ed è palese nella parabola - mettere sotto accusa un amore di Dio che non sia indissolubilmente sposato all'amore dell'umanità, all'amore di una donna, di un uomo. L'uomo nella parabola non ha nome, o, se volete, ha tutti i nomi, i nomi di tutti coloro che nella vita sono stati lasciati per terra, di tutti coloro che nella vita si sono imbattuti nei predoni, di tutti coloro che nella vita vengono depredati, derubati di qualcosa: o del cibo, o del lavoro, o di una casa, o degli affetti o dei sogni. Derubati della loro dignità. Fanno tutt'uno con Dio.

Per insegnare questo, per metterci in guardia da una religiosità che dice Dio e non si ferma davanti a chi soffre, Gesù, con piglio quasi anticlericale, inventa il sacerdote e il levita della parabola. Che vedono e passano oltre. Vedono. La parabola annota puntualmente: "Per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre". Voi mi capite, vedere vediamo! Ma quante volte passiamo oltre? E quel malcapitato - sto immaginando - sente rumore di passi, gli passa nell'anima un brivido di speranza, ma poi i passi si allontanano.

Scrive Rosanna Virgili: "Sono tutte e due addetti alle cose sacre: toccano le cose di Dio nel tempio, ma non toccano la creatura di Dio che è sulla strada per non contaminarsi". Poi l'uomo sente altri passi, i passi rallentano: a fermarsi è un samaritano, uno di quelli considerati di spuria religione, uno di quelli che negli ambienti religiosi raffinati venivano guardati con disprezzo dall'alto in basso. Pensate, Gesù è Implacabile nella sua invenzione dei personaggi: "Si ferma" dice "un samaritano". Anche a lui, per disprezzo, avevano dato - e non una volta sola - il titolo di "samaritano". Si ferma il samaritano. Di lui è scritto: "Vide e ne ebbe compassione". Ne ebbe compassione.

E il verbo è di quelli che nell'etimologia dicono "stringimento di viscere". Gli si fece vicino. E diventa lui prossimo, prossimo a quell'abbandonato. La differenza - voi mi capite - la fa la compassione: "Vide e passò oltre... vide e passò oltre... vide e ne ebbe compassione". Voi mi capite, dipende da come si guarda: se il metro è quello di una legalità astratta, una purezza rituale, che ti impone di non toccare, o se, invece, è la compassione. Che ti fa andare vicino sino a toccare. Sono bellissimi i verbi del samaritano - lascio a voi rileggerli -. Ma tutto nasce da quello sguardo.

E infatti a Gesù che chiede chi è stato veramente prossimo, il dottore della legge risponde - traduco letteralmente -: "Chi ha fatto misericordia". La cosa da fare? La misericordia... Tutto il nostro brano è giocato sul verbo "fare". Che cosa fare? Che cosa scriviamo sugli stipiti delle porte, sulle pareti dell'anima? Che cosa fare? Alla fine Gesù ci dice che da fare è la misericordia, lasciarsi prendere dalla compassione. Mi è venuta una idea strana.

Mi dicevo: "E se sulle pareti - sulle pareti di ogni genere - come richiamo alla cosa da ricordare, disegnassimo un nome e un'immagine, quella del samaritano? E se alle generazioni future, aborrendo ogni clericalismo, raccontassimo la storia del samaritano? Così come il cuore l'aveva suggerita a Gesù?

 

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