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TESTO Parole che colorano la vita

don Angelo Casati  

IV domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (23/09/2018)

Vangelo: Gv 6,41-51 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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41Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Un invito percorre queste letture, l'invito è a mangiare "Alzati, mangia": così l'Angelo a Elia, nel profondo più profondo del deserto. E Paolo a ricordare che nell'ultima sua cena Gesù spezzò il pane e lo diede a mangiare, prese alla fine della cena il calice e lo passò perché ne bevessero tutti. Lasciando un mandato che ha attraversato i secoli e giunge a noi questa mattina: "Fate questo in memoria di me". Di pane e della necessità di nutrirsene parla anche Gesù. Ed ecco che nelle sue parole il pane di cui nutrirci è lui: "Sono io il pane disceso dal cielo".

Pensieri dunque sul pane. E subito vorrei dire: "pane, ovvero una questione di vita e di morte". E, sullo sfondo dei miei pensieri, ma - sono certo, anche dei vostri - quasi incancellabili. i "non sfamati della terra". Con destino di morte: non ce li togliamo dagli occhi. Nei nostri occhi i loro occhi e il perché che li abita. Vi devo confessare che in questi giorni ho provato disagio a pregare con un salmo e mi sono morte in bocca le parole, parole del salmo 37, là dove era scritto:

"Sono stato fanciullo e ora sono vecchio non ho mai visto il giusto abbandonato né i suoi figli mendicare il pane" (Sal 37,25).

Io sono vecchio, e vi devo confessare che ho visto purtroppo il giusto abbandonato e i suoi figli mendicare il pane. Mi chiedo - e voi mi capite - come dare verità al salmo, perché non mi bruci come menzogna sulle labbra. Come fare perché il giusto non si senta abbandonato e i suoi figli non siano costretti a mendicare il pane? O i salmi si pregano tanto per pregarli? E subito a chiedermi - per venire al brano di Elia - chi potrebbe essere oggi l'angelo mandato da Dio ai nuovi "Elia", stremati dalla fame, ma anche dalle fughe nel deserto. Sì, perché quella di Elia, nel deserto, era una fuga: cercato a morte da una regina.

La pagina - voi mi capite - si apre a una attualità impressionante, perché oggi nei deserti in fuga sono migliaia, migliaia di "cercati a morte", cercati a morte dalla fame e dalla violenza. Mi chiedo quante volte anche a loro, come ad Elia, sarà sembrata preferibile, augurabile, la morte: "Ora basta, Signore, prendi la mia vita". Può capitare anche a noi di sentirci a volte sopraffatti dalla sfiducia, dalla fatica di vivere, dalla paura e dallo sfinimento. Che grazia allora essere sfiorati nel sonno, nel sonno che assomiglia alla morte, dal fruscio di un angelo.

Le parole del racconto sono troppo belle, sono da custodire nel cuore, le ricordo: "Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: "Àlzati, mangia!". Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d'acqua". Penso - perdonatemi - che dovremmo nel mondo moltiplicare gli angeli. Il tocco è così leggero, ma anche così prezioso. Non ci fanno alzare certo i faraoni né il loro seguito. Ci fanno alzare queste presenze lievi. Che - pensate la bellezza - subito scompaiono, non aspettano da te un grazie, tantomeno un voto o un applauso. La focaccia e l'orcio d'acqua: perché di questo hai bisogno, di questo una moltitudine ha bisogno, lo splendore dell'essenziale, così lo chiama un mio amico.

Ma insieme - notate - una voce "alzati!, un tocco sul tuo corpo. So di forzare il commento. Elia mangia e si riaddormenta. Ha bisogno anche di una presenza, che rompa la sua solitudine. Ha bisogno di una voce che lo incoraggi. "Alzati e mangia, perché è troppo lungo per te il cammino". Mi direte che sono strano, ma io vorrei oggi avere qui tutti questi "angeli dei deserti", li vorrei mettere tutti sugli altari. Sanno avvicinare senza spaventare, sanno accarezzare un viso, toccare una spalla, danno forse il minimo che è nelle loro possibilità, focaccia e orcio d'acqua, danno parole di incoraggiamento. Per gente che ha ancora un lungo cammino.

Vorrei averli qui per ringraziare, anche se so che a loro non interessa. Ma vorrei averli qui anche per imparare, imparare ad essere l'angelo del deserto, l'angelo di Elia. Perché il dono di cui si ha bisogno non è solo la focaccia e l'orcio d'acqua, il dono di cui abbiamo bisogno per vivere è la persona, dell'altro, dell'altra. Ed era la cosa che non avevano capito i giudei con cui Gesù parlava nella sinagoga di Cafarnao. Lo cercano: il giorno prima, sul monte, al di là del lago, erano stati sfamati in cinquemila. Gesù si rivolge loro, dopo la traversata notturna sul lago.

Dice loro: "In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati". Erano rimasti al pane, che avevano mangiato sul prato del monte. Quel pane non li aveva rimandati a nient'altro. Saziati!. A chi dei cinquemila era balenato nel pensiero che il pane, quello che dà senso al vivere, era lui, il rabbi di Nazaret? Che non cercava applausi, anzi, a pasto concluso, quando ebbe sentore di possibili intronizzazioni -così diverso e così vero! - si era eclissato sul monte a pregare. Non gli interessavano gli applausi. Gli interessava che cercassero lui come pane. Lui aveva come passione la vita del mondo e sapeva che le sue parole erano vita per il mondo.

"Ma ci pensate" - sembra dire Gesù - "che noi non ci nutriamo solo di pane, non solo di cose, ma di persone. E che, se io diventerò per voi come un pane di cui nutrirvi, la vostra vita a poco a poco prenderà colore? Importanti - ce lo diciamo - non sono le parole che fanno clamore ma sono quelle colorate, come quelle di Gesù: colorano la vita. Il problema allora è di quali parole ci nutriamo. Fate attenzione dunque alle parole di cui vi nutrite. Perché le parole violente creano comunità violente, le parole dure creano cuori duri, le parole che trasudano sarcasmo creano comunità sprezzanti, le parole velenose creano cuori avvelenati. Oggi più che mai, oggi più di ieri, nello scialo delle parole, bisogna tornare a mangiare parole vere. Le parole di Gesù.

"Parole" - dice l'amico - "che diano gusto alla vita. Parole che mettano in cammino il mondo. Tirandoci fuori dalla stretta della paura. Parole accoglienti e ospitali. Parole dal corpo di carne. Parole con un cuore che batte" (Marco Campedelli).

 

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