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TESTO Essere discepoli di Cristo è portare con dignità la propria croce

padre Antonio Rungi

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XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (16/09/2018)

Vangelo: Mc 8,27-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 8,27-35

27Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». 28Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti». 29Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.

31E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. 32Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. 33Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà.

La liturgia della parola di Dio di questa XXIV domenica del tempo ordinario viene dopo la celebrazione di due importanti feste della devozione popolare, quella dell'Esaltazione della Croce e quella della Madonna Addolorata.
Proprio il Vangelo di questa domenica ci porta a riflettere sulla sequela di Cristo, mediante l'accettazione consapevole ed umile del mistero della Croce.
Tutto il testo del Vangelo è incentrato sull'imminente passione e morte in croce del Signore, che lo stesso Gesù presenta ai discepoli come prospettiva non lontana, ma prossima della sua vita.
Leggiamo, infatti, nel brano del Vangelo odierno che “Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Gesù intervista gli apostoli, coloro che stavano vicino a Lui dall'inizio del suo ministero pubblico per capire quali idea si erano fatti di Lui sia la gente che incontravano e con le quali parlavano e sia l'idea che essi stessi avevano elaborato nella loro mente e nel loro inconscio circa la sua missione.
La risposta di questo sondaggio è molteplice, in quanto alcuni considerano Gesù Giovanni Battista, altri Elia o qualcuno degli antichi profeti.
Sapevano che non era esattamente così, in quanto i soggetti richiamati erano dei tempi passati o dei tempi presenti, ma non erano certamente Gesù.
La risposta quindi attiene non tanto all'identità anagrafica e storica, ma alla missione e al ruolo che Gesù stava svolgendo in quel contesto di itineranza evangelica. Ovvio, quindi che Gesù interpelli i diretti interessati alla sua missione, nella quale erano stati coinvolti, cioè i Dodici. E la risposta collegiale e collettiva, unanime nei contenuti è espressa da Pietro, a nome di tutti: “Tu sei il Cristo, il consacrato, l'inviato dal Padre, il Messia”.
Accolta questo atto di fede degli apostoli, Gesù può adesso liberamente parlare e alla luce del sole, senza mezze misure o metafore di ciò che lo attende, e cioè della sua passione e morte in croce. Infatti “cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere”.
Di fronte a questa sconvolgente rivelazione “Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo”. Un discepolo che rimprovera il Maestro nel momento in cui dice tutta la verità, dice ciò che accadrà tra poco. Una cosa assurda allora e sempre.
Gesù non può considerare valilo questo loro modo di pensare ed intendere la sua missione, per cui “voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Era evidente che tra i discepoli e Gesù c'era un distacco, perché non avevano compreso appieno la sua missione e la croce che affiorava all'orizzonte per Gesù, secondo loro era una sconfitta e non una salvezza.
E' l'occasione per Gesù per fare catechesi e per far capire meglio cosa significhi per un suo discepolo seguirlo davvero e senza condizionamenti o mezze misure.
Per cui, convoca la folla e i suoi discepoli e usa questo linguaggio esplicito per chiedere loro una vera ed sentita adesione alla sua persona e alla sua missione: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Seguire Gesù è prendere la croce, è donare la vita per gli altri, è uscire fuori dal una visione di chiusura con se stessi e con gli altri per aprirsi all'amore, alla gioia del dono.
San Giacomo apostolo ci aiuta a comprendere questa vocazione di servire e di donarsi, di passare dal dire al fare, dalla fede teorica alla quella pratica che si fa carità e disponibilità verso gli altri.
L'apostolo, infatti, ci rammenta “a che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo?. Assolutamente no. Per cui, “se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta”.
Di conseguenza, se siamo persone di fede, devono pure agire in conformità a quanto credono. Non si può solo proclamare, annunciare ed insegnare, è necessario agire ed operare per il bene degli altri.

In fondo è quello che ci viene suggerito anche nel brano della prima lettura di questa domenica, nel quale è presentato uno dei testi più espressivi riguardanti il Servo sofferente di Javhé che Isaia ci descrive in termini drammatici, pensando a Gesù, al Crocifisso, al Redentore che salva mediante la croce e la valorizzazione del dolore umano: Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”.
E' la fa fotografia dell'Ecce homo, è l'anteprima di molti secoli prima di Gesù condannato a morte e che si avvia umiliato nella sua dignità verso la croce e il Calvario. Ma è anche segno di speranza e di incoraggiamento, in quanto nella prova c'è la consapevolezza che “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso”.
Nel dolore Dio è sempre con noi, in quanto il dolore di Dio si è trasformato in amore e la croce di ogni uomo, alla luce della redenzione di Cristo, si trasforma in salvezza e amore.

Rendiamo grazie a Dio e affidiamoci a Lui con queste semplici ed umili parole di preghiera e di impetrazione: “O Padre, conforto dei poveri e dei sofferenti, non abbandonarci nella nostra miseria: il tuo Spirito Santo ci aiuti a credere con il cuore, e a confessare con le opere che Gesù è il Cristo, per vivere secondo la sua parola e il suo esempio, certi di salvare la nostra vita solo quando avremo il coraggio di perderla”. Amen.

 

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