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TESTO Quelli che scoprono germogli...

don Angelo Casati  

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II domenica dopo il martirio di S. Giovanni il Precursore (Anno B) (09/09/2018)

Vangelo: Gv 5,37-47 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 5,37-47

37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. 40Ma voi non volete venire a me per avere vita.

41Io non ricevo gloria dagli uomini. 42Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. 43Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. 44E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?

45Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. 46Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. 47Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

Risuona più volte, nelle letture che oggi abbiamo ascoltato, il nome di Mosè. Era il nome cui si appellavano frequentemente i Giudei; accadde anche quel giorno, in piena polemica con Gesù che aveva guarito - ed era sabato! - un paralitico. Succede, succede più di quanto si pensi, succede che ci si appelli a grandi nomi del passato e poi si proclami semplicemente l'opposto di quello che quei nomi dovrebbero ricordare. Strumentalizzandoli. Diremmo, dissacrandoli. E dovremmo insorgere. Quando avviene. E purtroppo avviene. Di Mosè e delle Scritture - e di chissà quant'altro! - si può fare un nome vuoto, una bandiera fasulla, da agitare, dietro cui nascondersi.

Voi mi capite, appellarsi a una tradizione, per rimanere immobili, fermi, inchiodati. Può succedere anche con le Scritture sacre. Ecco che cosa rimproverava Gesù a quel gruppo di Giudei. E adagio a ritenerci totalmente immuni noi! Diceva: "Voi scrutate le Scritture pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me". Mi colpisce il verbo: "non volete venire a me". Siete fermi là. A quello scritto deprivato della sua anima, a quel nome, Mosè, diventato un nome. Hanno davanti agli occhi il Messia, Mosè ha scritto di lui, e loro no: proclamano e non si muovono. Eppure c'era e c'è una differenza, che la lettera agli Ebrei tiene a sottolineare: Nella casa Mosè è stato servitore, Gesù nella casa è il Figlio. A cui affidarsi in pienezza, di cui seguire la voce e le orme.

Che strano, verrebbe da dire: appartenere a un popolo di camminatori e finire sedentari, peggio immobili. Pensate Mosè, grande traghettatore di tribù, dall'Egitto, attraverso un deserto, cammino di quarant'anni, verso la terra promessa. Pensate come in quella grande traversata le situazioni evolvessero di giorno in giorno e come si dovesse fare i conti, senza recriminare, con il "nuovo" di ogni giorno. Se no, ti fermi e muori. Nel deserto. E Dio? Dio era il Dio dei cammini, non era un fantasma immobile, leggendo il brano dal rotolo di Isaia mi veniva da dire che Dio, anche se qualche volta sembrava indurirsi, quasi farsi immobile, nella sua ira, poi non resisteva, e riprendeva a camminare con il suo popolo. E così fa con noi. Il lontano discepolo di Isaia ricorda a Dio questa che è la sua natura più profonda e glielo ricorda con parole di una bellezza e di un'audacia emozionanti: "Non forzarti all'insensibilità, perché tu sei nostro padre... tu, Signore, da sempre sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore".

Nelle parole è custodita una perla preziosa, preziosa per noi: il profeta ricorda a Dio, ma anche a tutti noi, che a renderti immobile è l'insensibilità. A metterti in cammino l'essere padre, essere figli, essere fratelli, sorelle, la relazione. Se questo è il tuo orizzonte, tu sfuggi all'immobilità, che viene dal disamore. E' il disamore che ci fa immobili. Il profeta rilegge la storia del suo popolo che è una storia di cammini. Importante rileggere la storia e trovare segni. Importante anche per noi oggi. E ognuno possa rileggere il suo cammino, e il cammino degli altri, quello per esempio dei popoli, che oggi camminano. Oggi camminano, pensate, come allora gli israeliti.

Sarebbe un dono, penso, se in una misura, se pur piccola, anche noi sapessimo rileggere la nostra storia, lunga la mia, molto meno la vostra, ma sono certo, ricca di segni, segni del Dio camminatore, compagno di viaggio. Il profeta avverte che Dio stesso li ha accompagnati nel viaggio: "egli stesso li ha salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e portati su di sé, tutti i giorni del passato". "Su ali di aquila", secondo un testo del Deuteronomio. E qui si legge: "portati su di sé". Ebbene ricordo la bellissima interpretazione rabbinica di cui un giorno ci parlava Rav Laras, allora rabbino capo a Milano. Si chiedeva perché nel testo si dice "sulle ali", e non "sotto le ali" dell'aquila. L'aquila non porta forse gli aquilotti sotto le ali? Rispondeva: "Sopra le ali perché, se qualcuno tentasse di colpire con le frecce, raggiunta dalle frecce sarebbe lei e non l'aquilotto che porta sopra le ali".

Una bellissima immagine di Dio: ferito lui, piuttosto che noi. Una immagine che è diventata realtà struggente con la vita di Gesù, il figlio di Dio: si lasciò ferire lui, piuttosto che noi. Nel giardino, quando andarono per catturarlo, disse loro: "Prendete me, ma lasciate liberi costoro!". Ferito lui, ma non noi. Non si è sottratto al cammino. Pensate che operazione strana facciamo noi quando immobilizziamo la fede. La fede che ci vuole, per statuto, un popolo di nomadi e rimaniamo con gli occhi fissi a un passato, a volte fatto di nomi e di tradizioni vuote.

Come succedeva ai giudei che contestavano il rabbi che guariva di sabato. Non rispettava la tradizione! Immobili. Quando - pensate - avevano - e già lo dicevamo - il "nuovo" davanti ai loro occhi, il nuovo cui aprire gli occhi, il rabbi di Nazaret, il Signore Gesù. Dio non è fermo al passato, fa cose nuove. Pensate quale passato glorioso sia stato per gli ebrei l'esodo dall'Egitto. Ebbene il pericolo era anche di fermarsi a quel ricordo. Nel rotolo di Isaia troviamo queste parole che suonano come un invito pressante ad accorgersi di quanto Dio oggi sta operando:

Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque perenni: "Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche!. Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?" (Is 43,16.18-19).

Io, vi confesso, dovrei ricordarmi più spesso che Dio opera, opera oggi, fa cose nuove. Sono troppo superficiale. Prego occhi per scorgere dove oggi nel silenzio sta germogliando una cosa nuova. Mi fermo, un pensiero mi passa nel cuore: che bello sarebbe se dei cristiani si potesse dire: "Sono quelli che scoprono germogli!".

 

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