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TESTO Nella Decapoli del nostro mondo

padre Gian Franco Scarpitta  

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (09/09/2018)

Vangelo: Mc 7,31-37 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 7,31-37

31Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. 32Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. 33Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». 35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. 36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano 37e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

In pieno territorio pagano identificato con la regione della Decapoli sul Mare di Galilea, Gesù, che è la Parola di Dio fatta carne, invita tutti gli uomini ad aprirsi alla parola e alla novità. Lo fa intervenendo prodigiosamente su un sordomuto, che grazie al dire e al suo tatto recupera le facoltà sensoriali e viene al contempo sospinto ad “aprirsi” all'ascolto e alla comunicazione. Effatà, cioè apriti, è l'esortazione che Gesù gli rivolge mentre combina su di lui parole e segni. Il segno attesta la presenza di qualcosa di immediatamente vicino o presente, come il fumo che ci dice che nelle vicinanze c'è del fuoco. A differenza del simbolo che rappresenta una realtà globale o un'idea generale (la bandiera indica lo Stato); il segno che Gesù opera con le mani e con la saliva sulle parti offese del sordomuto attesta che Dio è presente in questo preciso istante e nella persona dello stesso Signore realizza una guarigione fisica. In Cristo Dio opera oltre che con il segno anche con la parola, che ha la sua efficacia perché essa stessa oltre che a proferire realizza e attualizza. La guarigione di questo povero malcapitato impossibilito a parlare e a udire avviene quindi nella simbiosi fra parole e segni esplicativi che ne esprimono il messaggio. E il sordomuto recupera vista e udito.

Solitamente noi diciamo che il termine “effata”=apriti sia una sola esortazione rivolta al sordomuto e per esteso a tutti coloro che si collocano davanti alla parola di Dio. Benedetto XVI in una sua omelia faceva però un'osservazione importante: è stato innanzitutto Dio ad “aprirsi” all'uomo facendosi Verbo, ossia Parola Incarnata. E' stato lui che nel sul Figlio Gesù Cristo ha comunicato all'uomo la Parola, rivelando tutto ciò che aveva da dire e sempre nell'umiliazione del Figlio che si è fatto uomo Dio si è umiliato al punto di “ascoltare”, di aprirsi e interiorizzare. Come si sa infatti Gesù, nonostante fosse egli stesso la Parola fatta carne, da Dio - Uomo si è abbassato fino a farsi obbediente, servo e sottomesso e di conseguenza si è disposto all'ascolto del Padre, aprendosi alla sua Parola di verità. Proprio in forza di questa sua umiliazione, Gesù adesso può dire al sordomuto: apriti, ossia disponiti all'ascolto e alla comunicazione, invitando così a prestare attenzione e ad assimilare facendo tesoro di ogni Parola che ci venga proposta. Ciò tuttavia non è sufficiente quando all'ascolto non fa seguito la condivisione e la comunicazione ed è impensabile dover solamente ascoltare senza comunicare. Nella persona di questo sordomuto Dio ci vuole quindi ricettivi, ma non passivi. Ci esorta all'ascolto accompagnato dalla comunicazione costruttiva ed edificante. Un autore anonimo ammonisce: “La comunicazione parte non dalla bocca che parla, ma dall'orecchio che ascolta” e Dio, che si è dimostrato capace di ascoltare e di parlare invita l'uomo a fare altrettanto.

Nel territorio della Decapoli ci invita ad accogliere, assimilare, ascoltare la Parola di Dio che ha mostrato già la sua efficacia e ci invita conseguentemente a condividerla e a donarla. Come affermava Paolo, non si può tacere una volta assimilato un messaggio divino e non lo si può limitare ai nostri interessi: occorre parlarne ad altri: “Non è per me un vanto annunciare il Vangelo. Necessità mi spinge e guai a me se non predico il vangelo”(1Cor 9, 16). Anche Geremia, pur proponendosi di non predicare più nel nome di Dio per paura dei nemici, non riesce a trattenere un fuoco interiore che lo sollecita a questo (Ger 9,20)

Nella prima Lettura il profeta Isaia denuncia che il mancato ascolto della Parola è stato causa di condanna per gli Israeliti, condannati all'esilio di Babilonia; comunica poi un messaggio di speranza: la liberazione è vicina e vicino è anche il Signore che la realizzerà, tuttavia non senza l'attenzione e l'ascolto alla sua Parola che è indispensabile alla salvezza. Ascoltare e mettere in pratica è sinonimo di salvezza, ma torna irrinunciabile la necessità di annunciare e comunicare in seguito all'attenzione e all'ascolto.

E' risaputo che il segno dell'effatà= apriti viene ritualizzato dopo il sacramento del Battesimo di ogni bambino, al quale il sacerdote, tracciando il segno di croce sull'orecchio e sulla bocca, augura al nuovo arrivato nella figliolanza divina di poter ascoltare presto la sua parola e di professare presto la sua fede in lui. Il sacramento del Battesimo in effetti ci ha aperti alla Parola e predisposti al suo ascolto, mentre tuttavia attorno a noi si imposta la vita sulla vacuità di parole futili con le quali si rumoreggia e non si ha nulla da dire. Nel consorzio sociale odierno siamo avvinti dalla vanità del frastuono e della propaganda, con innumerevoli parole che si perdono per aria o non raggiungono i loro destinatari. Manca di fatto la propensione all'ascolto e restiamo nella condizione iniziale del personaggio sordomuto prima dell'intervento di Gesù: siamo isolati e inerti e la Parola non prende corpo. Aprirsi, ascoltare e comunicare è l'auspicio che dovremmo rivolgere a noi stessi nella Decapoli dei nostri tempi.

 

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