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TESTO Un Dio debole

don Maurizio Prandi

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (19/08/2018)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Sono influenzato dal tema e dai contenuti del campo adulti che il Vicariato di Fontanabuona come sempre propone e che quest'anno aveva questo bel titolo: La beatitudine della fragilità; una intuizione questa che trovo in linea con quanto il vangelo in queste domeniche ci dice e con l'affermazione che Gesù fa parlando di sé: io sono il pane, questa è la mia carne.
Questa parola: carne che l'evangelista mette in bocca a Gesù, indica ciò che è più proprio dell'uomo, ovvero la sua caducità, carne è ciò che è destinato a morire:
carne è l'uomo nella sua finitezza,
carne è l'uomo nella sua fragilità,
carne è l'uomo nella sua debolezza!

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui. In quale Dio vivo? E quale Dio vive in me? La vita del mondo viene da una condizione molto precisa, una condizione che Dio ha assunto e non è (anche se oggi va molto di moda questo) la condizione della forza, dell'efficienza. Gesù ci ha rivelato il volto di un Dio per nulla o poco efficiente! Lo dico (e ripeto a dir la verità) con le parole di Ivo che ogni tanto ci regala perle di saggezza:
- don Maurizio, lo sai che Gesù ha fatto miracoli per due anni all'incirca? Me lo ha detto un vescovo un po' di tempo fa...
- sì si Ivo... aveva ragione quel vescovo!
- Ecco don Maurizio... non trovi che sia un po' poco per essere Dio?

Non mi sento di dare torto ad Ivo. Un po' poco per essere Dio, ma Gesù è quella carne lì, è la nostra carne, non un'altra. Lo so che non è una risposta, ma è quella carne precipitata giù dal ponte, non un super eroe che volando sostiene tutto. Faccio la comunione, mangio quel pane e quel pane è un pane debole. Non c'è nessun privilegio nel fare la comunione, ma certamente una consapevolezza da recuperare: faccio la comunione da debole e non da forte. Ci cibiamo, (scrive don Daniele Simonazzi), di un pane debole, come debole è l'amore. L'Eucaristia non serve per combattere il nemico, per vincere, per maledire il nemico, no. Per capire bene che pane sia quello che ricevo devo guardare la vita di Gesù tutta intera e soprattutto devo guardare chi riconosce in quel pane la vita di un Dio debole. Lo capiscono, lo riconoscono coloro che sono come quel pane: gli ammalati, i poveri, i bambini.

Mi rendo conto che sono sempre le stesse domande che mi pongo ma non essendo stato ancora capace di dare una risposta chiedo aiuto. Faccio la comunione, ok ma: davanti ai deboli come sto? Davanti ai poveri come sto? Di più: sono capace di stare davanti ad un povero, ad un debole. Faccio la comunione e quali sono le mie scelte? Quel Dio nel quale io dico di credere, è davvero Dio o è una mia idea, una mia proiezione che viene da mie convinzioni su una presunta onnipotenza che poi dovrebbe essere la principale caratteristica di Dio?
Ci sono tanti bimbi che alla fine della messa vengono in sacrestia a chiedere il pane di Gesù e io sono contento perché hanno capito che fino al giorno della prima comunione quello è pane e poi diventa corpo, ma pensandoci bene quella risposta che rimandiamo nel tempo è una risposta davvero decisiva e molto, molto molto impegnativa: ci cibiamo di un pane che è Gesù nella sua condizione di debole (don G. Dossetti) e dovrebbe essere chiaro a me, ai catechisti, alle famiglie, che è quel Gesù lì che la chiesa propone, non un altro. Che l'unico sacerdozio possibile è quello vissuto nella debolezza, che l'unico amore possibile è quello vissuto nella debolezza; non me ne capisco e quindi dovrei stare zitto, ma non credo che ci si sposi da forti, che si ami da forti: è la debolezza di Gesù che ha consentito ai discepoli di essere pienamente se stessi poco a poco eh? Ma ce l'ha fatta, l'hanno seguito veramente consegnando la loro vita per lui. Incontreremo domenica prossima Gesù in questa condizione di debole perché desideroso che l'altro viva in pieno la sua libertà; pensate se quella sera nel cenacolo Gesù avesse consegnato spade e lance e benedetto le armi dei discepoli: lo avrebbero salvato e chissà che vittoria strepitosa, armi benedette da Gesù in persona! Ma io avrei paura di un Dio così! E invece no, ha messo nelle mani dei suoi discepoli un po' di pane e un po' di vino.

La debolezza (e concludo), è quella cosa che consente all'altro di essere se stesso, consenti a chi ami di essere pienamente se stesso! Ma se ti mostri forte con chi ami, se Dio si mostrasse forte con me la mia reazione sarebbe solo: paura ma se Dio è quel pane lì, e se quel pane è la carne nella sua condizione di fragilità e debolezza, allora Dio non può far paura.

Ieri ho proposto la preghiera “Il mio Dio fragile” e oggi vi propongo le parole di un grande cristiano, il pastore Dietrich Bonhoeffer, che con il suo Credo apre qualche squarcio di luce in tempi bui e difficili.
Io credo
che Dio può e vuole far nascere il bene da ogni cosa,
anche dalla più malvagia.
Per questo egli ha bisogno di uomini
che sappiano servirsi di ogni cosa per il fine migliore.
Io credo
che in ogni situazione critica
Dio vuole darci tanta capacità di resistenza
quanta ci è necessaria.
Ma non ce la dà in anticipo,
affinché non facciamo affidamento su noi stessi,
ma su di Lui soltanto.
In questa fede dovrebbe esser vinta ogni paura del futuro.
Io credo
che neppure i nostri errori e i nostri sbagli sono inutili,
e che a Dio non è più difficile venirne a capo,
di quanto non lo sia con le nostre supposte buone azioni.
Sono certo che Dio non è un fato atemporale,
anzi credo che Egli attende preghiere sincere e azioni responsabili
e che ad esse risponde.

 

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