PERFEZIONA LA RICERCA

FestiviFeriali

Parole Nuove - Commenti al Vangelo e alla LiturgiaCommenti al Vangelo
AUTORI E ISCRIZIONE - RICERCA

Torna alla pagina precedente

Icona .doc

TESTO Comunione: vita eterna nello Spirito Santo

diac. Vito Calella

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (19/08/2018)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,51-58

51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Nella liturgia della Santa Messa, il gesto di prendere un pezzettino di pane azzimo, oggi ridotto ad una cialda detta particola, che particola non è, e di mangiarlo, credendo di manducare veramente il corpo di Cristo, è un gesto comunissimo e velocissimo. Il gesto di prendere il calice e bere un po' di vino, credendo di bere veramente il sangue di Cristo, è quasi sempre riservato, per motivi pratici, ai soli ministri ordinati presenti sull'altare. Anche questo bere spesso è vissuto in modo affrettato.

Eppure è proprio in quel momento così semplice e immediato che noi «abbiamo la vita eterna e saremo risuscitati nell'ultimo giorno (Gv 6,54); noi dimoriamo in Gesù Cristo e lui dimora in noi (Gv 6,56); noi viviamo per Lui così come Lui è stato inviato dal Padre e vive per il Padre (Gv 6,57)»

Umanamente ripetiamo questo gesto da «inesperti» e da «privi di senno», cioè da stolti. Eppure la Parola di Dio ci dice che la «Sapienza ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città» (Pr 9, 3) dicendo a tutti noi, inesperti e stolti: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il mio vino che io ho preparato» (Pr 9,5). Dopo aver mangiato e bevuto siamo invitati ad «abbandonare la stoltezza, e andare diritti per la via dell'intelligenza e vivremo» (Pr 9,6). Al banchetto della Sapienza ci andiamo tutti da inesperti e da stolti. Dopo aver mangiato il suo pane e bevuto il vino che la Sapienza ha preparato, sembra che quel pane e quel vino ci diano la forza di abbandonare la stoltezza e procedere diritti nella via dell'intelligenza. Ma viene rispettata la nostra libertà. Siamo noi a decidere di abbandonare la stoltezza e procedere nella via dell'intelligenza, non confidando nelle nostre forze, ma nella forza che ci viene da questo banchetto.

Noi cristiani possiamo dire, alla luce del mistero dell'incarnazione e soprattutto illuminati dalla morte, sepoltura e risurrezione di Gesù, che la figura personificata di donna Sapienza del libro dei Proverbi è prefigurazione del Cristo risorto che ci dona il suo Santo Spirito. La vita eterna che riceviamo mangiando e bevendo il suo corpo e il suo sangue nel pane e nel vino consacrati, è lo Spirito Santo. La via dell'intelligenza di cui parla il libro dei Proverbi è per noi prendere progressivamente consapevolezza che il dono dello Spirito Santo c'è sempre stato in noi, è un dono offerto a tutta l'umanità a partire dal giorno in cui avvenne una volta per tutte la morte di croce, la sepoltura e la risurrezione di Gesù. Tutto è già santificato dalla presenza dello Spirito Santo in noi e in tutte le persone e cose che ci circondano. Noi, da stolti, non ce ne rendevamo conto. Tutta l'umanità è già sotto il segno della salvezza perché lo Spirito Santo è già stato donato a tutti. Noi, da stolti, non ce ne rendevamo conto.

“Fare la comunione” è l'atto del cambiamento di sguardo verso la nostra vita, verso tutta la realtà del mondo che ci circonda. Questo cambiamento di sguardo è l'abbandono della stoltezza della nostra autosufficienza e l'entrare nella via dell'intelligenza, cioè nell'essere consapevoli del dono dello Spirito Santo per la nostra esistenza, che diventa una esistenza eterna, se ci crediamo nella sua forza.

Nel momento del mangiare il Corpo di Cristo, sentendomi membro vivo del Corpo di Cristo, mi sento inviato a vivere per Cristo, in nome di Cristo per le strade del mondo, «facendo buon uso de tempo» (Ef 5, 16a) che mi è dato da vivere con un «comportamento da saggio e non da stolto» (Ef 5, 15b). La mia vita etica, sobria, non schiava della «sfrenatezza, del non controllo di me stesso» (Ef 5, 18b), di fronte alle mie pulsioni istintive ed egoistiche, è una vita «ricolma dello Spirito Santo» (Ef 5, 18c), perché insieme ai fratelli e sorelle della mia comunità «cerchiamo di comprendere insieme qual è la volontà di Dio» (Ef 5, 17b) in un atteggiamento comunitario e orante della Parola di Dio, scandito dal canto di «salmi, inni, canti ispirati» e con «gratitudine per ogni cosa» che avviene nella nostra vita( Ef 5, 20a), anche se spesso «i giorni sono cattivi» (Ef 5, 16b).

La comunione eucaristica ci fa vivere per Cristo. Per la forza dello Spirito la comunione eucaristica ci fa vivere una autentica vita etica nel nome di Cristo, che diventa una vita di carità e ci porta a incontrare chi soffre più di noi come si incontra la stessa carne di Cristo, quella carne di cui ci alimentiamo al banchetto del suo Corpo e del suo Sangue.

Nel momento del mangiare il Corpo di Cristo io prendo consapevolezza di essere in comunione con tutti coloro che, in questo momento, nel mondo intero, hanno scelto di fare della morte e risurrezione di Gesù il centro della loro fede. Scompare l'«io», si afferma il «noi». Insieme a tutti loro, in una profonda consapevolezza / intelligenza di comunione, io mi sento di appartenere al Corpo di Cristo, che è la Chiesa. Il Cristo risorto non può che essere nel suo corpo che è la Chiesa. Il rimanere in Gesù e lui in noi non è un fatto intimistico, che si risolve in un rapporto io-tu. Io mangio e bevo il corpo e sangue di Cristo perché il dono dello Spirito Santo non mi fa essere più solo, ma membro vivo del corpo di Cristo che è la Chiesa. E questa comunione rimane in eterno, perché oltrepassa i legami di fraternità della mia comunità cristiana, mi fa sentire in comunione con tutti i cristiani del mondo. Oltrepassa i confini di questo mondo perché l'essere corpo di Cristo include anche la comunione con tutti i santi, con tutti coloro che ci hanno preceduto e sono nella piena ed eterna comunione con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. L'essere Corpo di Cristo è già vivere la vita eterna qui in questo mondo ed è promessa di risurrezione per ciascuno di noi nell'ora della nostra morte, quando passeremo a far parte della comunità dei santi.
La comunione eucaristica fa la Chiesa Corpo di Cristo.

Possiamo allora celebrare davvero con profonda gratitudine la festa della trasformazione della nostra vita in vita eterna, in vita di comunione, perché «per Cristo, con Cristo, in Cristo» già diamo gloria al Padre misericordioso, nell'unità dello Spirito Santo, per i secoli dei secoli.

 

Ricerca avanzata  (53922 commenti presenti)
Omelie Rituali per: Battesimi - Matrimoni - Esequie
brano evangelico
(es.: Mt 25,31 - 46):
festa liturgica:
autore:
ordina per:
parole: