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TESTO Lasciarsi mangiare

don Maurizio Prandi

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (05/08/2018)

Vangelo: Gv 6,24-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Siamo ancora nell'ambito della durezza e della piccineria del cuore. Nel senso che Gesù si trova di fronte ad una folla che lo cerca e lo cerca unicamente perché è stata saziata. Una folla cerca Gesù perché ha risolto un problema: ha dato da mangiare a molta gente. Lo si cerca perché si vorrebbe continuare a mangiare, a saziarsi. Domenica scorsa ricordate cercavano di catturarlo, possederlo, per farlo re: avere con sé o dalla propria parte uno che in potenza è capace di risolvere il problema della fame nel mondo può far comodo, non c'è che dire!

Gesù ha presente l'equivoco, l'errore, ma non lo giudica, anzi cerca di aiutare a capire bene cosa sia importante, essenziale. Invita le persone a mettersi incammino (chi viene a me...), in viaggio; è quello che durante il mese di giugno e luglio abbiamo chiamato il cammino della fede, l'andare a lui. Una nota importante mi pare questa: Gesù insiste sul fatto che il primo passo lo ha fatto Dio, che in Gesù ci è venuto incontro: sono disceso dal cielo e questo cammino, questa ricerca di lui non deve avere incertezze, intoppi. Mi piace che Gesù voglia aiutarci e non rispondendo alla domanda che gli viene fatta, ci segnala che la ricerca può anche essere superficiale: Rabbì, quando sei venuto qua? Gesù passa oltre perché davvero quella è una domanda inutile! Ciò che importa, ciò che dà significato alla ricerca o all'incontro, non è il quando Gesù è arrivato: ciò che importa sono le motivazioni, il desiderio che mi spinge a cercare Gesù. Ma lui è bravo e prova ad educarmi, orientando la mia ricerca nella giusta direzione, ovvero i segni che lui compie, tutta intera la sua vita.

Di più: la folla si richiama alla manna e a Mosè evidenziando che la propria ricerca è orientata al passato. Gesù ci tiene a specificare che l'importanza della manna sta proprio nel fatto che pre-figura il vero pane, ovvero la sua Parola e la sua Persona. Chiamati a cercare Gesù, non il passato; siamo esperti di passato: si è sempre fatto così! Ma non teniamo di conto che la misura è quello che ci ricordiamo noi o quello di cui siamo convinti noi. Chiamati a cercare Gesù, vuol dire che dobbiamo essere aperti alla novità e non fare della nostra esperienza di fede un ri-edizione di qualcosa che è stato fatto.

La folla è interessata ad un pane “materiale, temporale”, un pane che delude; lui si propone come il pane della vita. Mi piace molto questo, forse piace un po' meno alla folla e a tante persone ma Dio non dà cose, Dio da se stesso; è fatto così: gli chiedi una cosa che ti serve e lui ti spiega che meno di se stesso lui non può dare, e ti tocca accontentarti; mi piace tanto questo passaggio perché non si parla qui di messe da dire, è forte il riferimento eucaristico ma quello che davvero conta è il legame con la vita, con la mia vita, con la vita delle persone che mi sono care e quelle che mi sono affidate. Ed è importante che io capisca che questo pane né lo merito, né lo conquisto, né lo compro: posso soltanto chiederlo. È questa la nostra condizione: uomini e donne che chiedono, che mendicano; molto ma molto meglio che sentirsi padroni, sentirsi importanti, sentirsi depositari della verità: dacci sempre questo pane è l'antidoto contro l'arroganza. L'evangelista, leggevo in un commento di don Daniele Simonazzi, sa che la sua comunità, proprio in riferimento all'eucaristia, stava scivolando, slittando; la stava vivendo come un rito vuoto e pone in bocca a Gesù una domanda molto semplice: siccome il mangiare e il bere sono due cose essenziali per poter vivere, io vi sono necessario? Come vivete la vostra fede, come qualcosa di necessario come il mangiare e il bere, come sostanza della vostra vita o come una variante?

Possiamo vivere questo momento comunitario come l'obbedienza ad una norma, ad una regola, ok! Ma io sono una regola per voi e voi per me? Noi siamo una regola, una norma, un precetto gli uni per gli altri? Oppure siamo necessari gli uni gli altri proprio come il mangiare e il bere che ci sono necessari per vivere? Vivo con due ragazzi musulmani che abbiamo (uso la prima plurale perché se non fosse stato per chi prova a sfiorare con me il cammino della fede non avrei mai avuto il coraggio di prendere questa decisione) accolto in canonica alla Costa, e con loro si parla anche di Dio. Ogni tanto mi viene in mente quello che don Daniele scriveva: il Dio dei musulmani non è un Dio che si fa mangiare è un Dio a cui obbedire e basta. Un tempo anche nella chiesa (ed è una valutazione mia questa), avevamo provato ad annunciare un Dio così: devi obbedire e bisogna ammettere che è molto più semplice avere un Dio al quale obbedire che avere un Dio del quale vivere o per il quale vivere. Domenica scorsa ho celebrato un matrimonio dove è apparso chiaro durante un colloquio che ci si sposa non per ubbidirsi ma per vivere l'uno dell'altro; così come quando ad un prete viene affidata una comunità questo non si deve pensare come un uomo solo al comando! Vivere di Gesù, e di tutte le persone che con la loro vita sono segno di questo lasciarsi mangiare: questo possiamo chiedere oggi, gli uni per gli altri, nella nostra messa.

 

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