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TESTO Di pane e lavoro

padre Gian Franco Scarpitta  

XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (05/08/2018)

Vangelo: Gv 6,24-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. 25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».

26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Si mette ulteriormente a fuoco in questa Domenica la tematica del pane della vita come dono che non può che scaturire dal Signore. Dio infatti assiste l'uomo nella perenne necessità materiale di alimenti, non omettendo però di appagare la sua inconsapevole fame spirituale di verità e di assoluto. La storia del popolo d'Israele fuggito dall'Egitto ci ragguaglia del fatto che solo Dio soddisfare le necessità materiali dell'uomo: mentre nel deserto ci si lamenta della mancanza assoluta di generi alimentari anche semplici e frugali, quali le cipolle di cui ci si poteva nutrire in Egitto, Dio interviene a sfamare il suo popolo prima concedendo carne che al tramonto viene elargita sotto forma di quaglie, ma soprattutto con il dono della “manna” dal cielo. Inaspettatamente al mattino la gente nota che uno strato di rugiada nasconde della materia che non si sa come identificare, ed esclama: “Man hu”= che cos'è? Si tratta di resina proveniente dalle piante di tamerisco coagulata e resa sotto forma di pane. Di questo cibo il popolo si nutrirà a lungo e trarrà la forza per proseguire il suo cammino. L'episodio si ripeterà, sotto certi aspetti, nella già citata esperienza di Elia, che viene nutrito dai corvi inizialmente con pane al mattino e carne alla sera fino a quando non moltiplicherà egli stesso il piccolo pugno di farina che si trasformerà in pane e focacce per se stesso, per la vedova che lo ospita e per il suo figlioletto (1Re 17, 3- 10). In questi e in altri casi biblici, il pane è l'alimento “del mattino”, cioè dell'inizio della giornata, e può configurarsi come il cibo della quotidianità, fermo restando che la sua provenienza è sempre divina. Il pane con cui ci si nutre è sempre dono della Provvidenza e ad essa sarebbe necessario affidarsi, mostrando anche gratitudine a Colui che è all'origine di ogni sostentamento materiale. Chissà se ci ricordiamo davvero di rendere grazie a Dio perché possiamo metterci a tavola tutti i giorni? La nostra preghiera di lode e di ringraziamento non dovrebbe essere di natura formale o approssimativa, ma dovrebbe davvero considerare l'entità del dono di cui sempre siamo beneficiari.

La seconda sezione della preghiera del Padre Nostro, che noi recitiamo nella versione di Matteo, inizia con una serie di richieste rivolte a Dio, riconosciuto come il Santo e il Giusto, tutte petizioni che riguardano le nostre necessità irrinunciabili. Fra queste quella del “pane quotidiano” che noi domandiamo che ci venga concesso “tutti i giorni.” Come cioè il popolo d'Israele peregrino nel deserto ottenne dai favori divini la “manna” e il pane per il suo sostentamento che Dio concedeva loro giorno per giorno, così noi chiediamo al Padre nostra Provvidenza che ci conceda il pane “quotidiano”. A dire il vero quest'ultimo lemma ha comportato non poche difficoltà nella sua traduzione oggettiva. Secondo alcuni “quotidiano” significherebbe “al di la' della sostanza” (epi ousia), secondo altri indicherebbe il pane “sostanziale”, necessario, quello di cui abbiamo bisogno “in ogni giorno che viene”. Sia quel che sia, il termine ci invita a considerare che occorre confidare nella Provvidenza quanto alle nostre necessità materiali e che non va omessa preghiera di petizione e di ringraziamento ogni qual volta possiamo nutrirci del pane di tutti i giorni.

Certamente “dacci il nostro pane quotidiano” non legittima in alcun modo l'apatia e l'indolenza nel procurarci il cibo necessario: il sostentamento della nostra vita va guadagnato con l'impegno e l'abnegazione sul lavoro e a nessuno è concesso mangiare senza aver prima guadagnato il pasto. Dio non è il fornaio di nessuno e occorre lottare per vivere, lavorare per guadagnare il cibo tutti i giorni. Resta tuttavia certo e definito che è comunque Dio a concedere all'uomo di che nutrirsi tutti i giorni e che per qualsiasi alimento occorre pregare e rendere grazie. Il terribile divario fra il nord e il sud del mondo, fra l'esasperata ricchezza e l'inaudita miseria che miete ogni giorno tante vittime umane non sono una smentita del fatto che Dio sia Provvidenza. L'esistenza di situazioni di povertà e di inopia assoluta, la carenza di pane in tantissime popolazioni sottosviluppate dovrebbero renderci consapevoli di quanto noi possediamo e improvvisamente potremmo anche non possedere. La povertà dilagante nel mondo dovrebbe accrescere in noi la consapevolezza che davvero il pane è un dono di Dio e mentre ne rendiamo grazie non dovremmo farne uso improprio, ma condividerlo con quanti non ne hanno. Di fronte alle situazioni di penuria nel mondo non si dovrebbe reagire con la messa in discussione della Provvidenza, ma rimboccarci le maniche per renderci strumento effettivo di Essa. Ringraziamento e condivisione sono quindi le esortazioni che ci vengono rivolte ogni volta che ci si trova di fronte ad ogni forma di pane.

Ma ancora una volta il pane materiale indispensabile per la vita di ogni uomo viene associato al “pane vivo disceso dal Cielo” che è Cristo. Lo stesso Gesù, che ribadisce la sicurezza del sostentamento quotidiano, raccomanda tuttavia che ci disponiamo ad assumere Lui stesso come alimento di vita.

La mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui" (Gv 6, 52 - 53) esclama Gesù esattamente dopo aver compiuto il prodigio della moltiplicazione dei pani e con queste parole associa per l'appunto, ancora una volta, pane e carne. Mentre infatti invita tutti a mangiare la sua "carne", definisce se stesso "pane vivo disceso dal cielo", mangiando del quale non si avrà più fame. In parole povere Gesù ci invita a mangiare di lui, non soltanto nel senso metaforico di assimilare in tutto la sua persona e il suo messaggio, ma anche nel reale senso di "masticare", "addentare" e consumarlo quale cibo infinitamente duraturo e alimento di vita. Dove potremo mai mangiare la sua carne? Nella sua presenza reale e sostanziale nell'Eucarestia, definita pane degli angeli che non deve mai mancare. In essa la sua presenza, nelle sembianze di pane, è reale e sostanziale e nell'assumerla noi siamo nutriti così della sua carne e del suo sangue perché il pane eucaristico consacrato è Gesù Cristo Figlio di Dio nella sua integrità. Mangiare del Corpo del Signore equivale ad assumere un alimento di efficacia abnorme che ci sospinge con fiducia nei percorsi della vita quotidiana.

Magiare la sua carne è quindi necessario e irrinunciabile quanto consumare il pane che Dio concede ogni giorno alle nostre tavole. Occorre però accostarvisi non senza la prerogativa importante della fede, che ci dischiude ogni possibilità orientandoci verso ciò che per noi è impossibile ma che è semplice e fattibile per Dio. Cioè che Egli stesso si faccia nostro alimento e che ci inviti inesorabilmente a mangiare di lui.

 

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