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TESTO Commento su Marco 4,26-34

fr. Massimo Rossi  

XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (17/06/2018)

Vangelo: Mc 4,26-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 4,26-34

26Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; 27dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. 28Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; 29e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».

30Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».

33Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

“Umilio l'albero alto e innalzo l'albero basso, faccio seccare l'albero verde e germogliare l'albero secco...”: la profezia di Ezechiele richiama in modo singolare la parabola del chicco di senape raccontata dal Signore; ma anche, e forse di più, richiama il canto del Magnificat che san Luca inserisce nel suo Vangelo, laddove Maria canta che il Signore “ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi...”.

E sì, dobbiamo proprio riconoscere che il Vangelo è decisamente in controtendenza rispetto a ciò che appare nella realtà: colui che sembra benedetto dal destino, che prolifera, magari a spese dei poveri, non è detto che sia veramente benedetto da Dio e che possa mantenere in attivo il suo bilancio e vederlo crescere fino alla fine e ancora dopo...

Non si tratta soltanto di una legge del contrappasso, per la quale non si può godere due volte, e chi è nell'abbondanza oggi, domani - o in un'altra vita - gemerà negli affanni... In verità, il Vangelo contiene una famosa parabola, che ha per protagonisti un ricco proprietario-faccendiere e il povero Lazzaro; e la morale è proprio questa: il ricco epulone che viveva negli agi e banchettava tutti i giorni lautamente, finisce all'inferno; il povero Lazzaro, invece, dopo una vita di stenti, dimenticato da tutti, viene portato dagli angeli tra le braccia di Abramo (cfr. Lc 16).

Già questo avvertimento suona abbastanza intimidatorio, da persuadere i ricchi sempre più ricchi e sempre più egoisti, a cambiare vita...

Ma, dicevo, le parabole del Vangelo di oggi spostano per così dire l'attenzione su ciò che in natura non attira l'attenzione, su ciò che non brilla, che non ha doti appariscenti, ma possiede potenzialità nascoste, una forza interiore che a suo tempo si sprigionerà e darà frutti, e produrrà risultati che nessuno avrebbe mai immaginato.

Avviso per tutti i fragili, i deboli, i brutti anatroccoli, i calimeri, gli sfigati, pardon, i poco dotati - almeno nelle loro convinzioni! -: invece di passare la vita a invidiare quelli che gli va tutto bene, almeno così sembra, che hanno successo nel lavoro e in amore, che camminano sempre a testa alta, sicuri di sé, ma soprattutto sicuri dei loro soldi, forti del loro potere...e pure belli e affascinanti... Cari uomini e donne di vetro e dalla scarsa autostima, il Vangelo di oggi è per noi! la parabola del chicco di senape è per noi!

La descrizione di Isaia del servo di Jahvè, il quale non aveva apparenza né bellezza per attirare gli sguardi degli uomini, tanto era sfigurato per essere d'uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell'uomo, è la profezia di un Messia lontano anniluce dai canoni tradizionali della forza, antieroe per eccellenza...

Questa domenica ci viene offerta l'opportunità di scommettere nuovamente su di noi; o meglio, sulla fede, che in noi può compiere autentici prodigi e renderci forti come una roccia.

A proposito di roccia, la parabola che conclude il discorso della montagna del Vangelo di Matteo (capp.5-7), fa proprio riferimento all'uomo divenuto saggio, per avere ascoltato le parole di Gesù e averle messe in pratica: costui ha costruito la sua casa sulla roccia della fede, e sulle virtù, materiale rigorosamente antisismico... Ebbene, quella casa resisterà a qualunque sollecitazione naturale e non; perché è stata costruita sulla roccia sicura della Parola di Dio. Ad una sorte opposta va incontro colui che non ha voluto ascoltare gli insegnamenti di Cristo e ha rifiutato di costruire la sua vita sul fondamento del Vangelo.

Ma la Parola che oggi Gesù rivolge a noi, dice anche dell'altro: ci ricorda - sarebbe, meglio dire: ci insegna - che la ricchezza dell'uomo, quella vera, dell'uomo che ama Dio e che da Dio è amato, non è soltanto una ricchezza nascosta, discreta, da scoprire nel profondo di noi stessi...
Il Vangelo parla in questi termini del Regno di Dio.

Sono molte le parabole sul Regno di Dio, sul Regno dei Cieli, e tutte lo presentano come qualcosa di nascosto, di poco attraente, che si può addirittura scoprire per caso...

Insomma, per il Vangelo - persone, fatti, avvenire - la legge dell'apparenza non vale!

Questa volta i sensi esterni non hanno voce in capitolo; con buona pace dei più illustri e onesti rappresentanti della scienza, l'osservazione empirica, la conoscenza sperimentale non sono in grado di raggiungere l'oggetto ultimo del nostro desiderio, la felicità eterna: siamo rimandati ad un'altra percezione, ad una ricerca condotta con altri strumenti!

Peccato che ai nostri giorni non c'è spazio, non c'è attenzione, non c'è apprezzamento per ciò che non ha un valore appariscente, per ciò che non aiuta a distinguerci dalla massa degli eguali...

Da quando anche l'arte e lo spettacolo ci hanno derubato delle figure di eroi ed eroine, che ci facevano sognare, e propongono modelli di uomini e donne comuni, alle prese con i nostri stessi problemi di tutti i giorni, non c'è rimasto più nulla che vada oltre il tran tran stanco e consunto della vita. Per fortuna, ogni mezzo secolo, dieci anni più, dieci anni meno, qualche principe, o principessa, si sposa...

Malati anche noi di sensazionalismo, anche noi siamo tentati di immaginare il paradiso a tinte forti, ispirati dalla fantasia degli artisti... Allora, proviamo a semplificare l'immagine del Paradiso. Dicono che la perfezione si raggiunga “per via di levare”...

Vediamo un po': via le nuvole rosa, via i gironi concentrici che delimitano gli alloggi di Santi... Via i cori celesti... via le gerarchie angeliche - serafini, cherubini, arcangeli, troni, dominazioni e chi più ne ha, più ne metta... -; via le danze dei beati vestiti a festa ed eternamente giovani,...
Che cosa resta?
L'essenziale! La contemplazione eterna di Dio!

Ma questa è l'unica cosa che non riusciremo mai ad immaginare, l'unico caso, forse, nel quale l'immaginazione appunto non è in grado di sostenere il desiderio...

Nessun artista, per quanto ispirato, potrà raffigurare la contemplazione di Dio.

Allora? come facciamo? Non ci resta che ripiegare su una realtà che tutti conosciamo bene, ed elevarla all'ennesima potenza. E questa realtà è l'amore.

Banale? Sdolcinato? Chi pensa che gli affetti siano tutte smancerie da adolescenti, costui non è mai stato innamorato per davvero. E non sa che cosa si è perso!!

San Paolo scrive che quando saremo di là, nella vita eterna, la fede e la speranza non saranno più necessarie... solo l'amore resterà. Se state vivendo, se avete vissuto una storia importante, beh, il Regno di Dio è molto, molto di più... e vale la pena desiderarlo più d'ogni altra cosa al mondo, più d'ogni altro affetto.

E che questo desiderio orienti tutta la nostra vita!!

 

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