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TESTO Commento su Es 24,3-8; Sal 115; Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26

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Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno B) (03/06/2018)

Vangelo: Es 24,3-8; Sal 115; Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-26 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 14,12-16.22-26

12Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». 13Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. 14Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. 15Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». 16I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.

22E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». 23Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. 24E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. 25In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».

26Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

C'è, nelle letture di questa domenica - che la sapienza della Chiesa vuole dedicata al Corpo e al Sangue di Cristo (festa più nota un tempo come “Corpus Domini”) - un disegno logico che occorre mettere in evidenza.
Dio e il suo popolo Israele hanno stretto un patto di alleanza. Questo patto viene ratificato mediante un sacrificio cruento, ai piedi del monte Sinài. Siamo nel Primo Testamento, libro dell'Esodo. Mosè è il sacerdote che, a nome di tutto il popolo, versa sull'altare parte del sangue dei giovenchi sacrificati, leggendo il libro dell'alleanza.
Nella lettera ai cristiani di origine ebraica, al capitolo nono, l'Autore ci avverte che non più Mosè, ma Gesù, è il sacerdote che offre il sacrificio. Il sangue versato non è più quello degli animali, ma quello di Cristo stesso. Viene qui abbozzata non solo una nuova teologia, ma anche una nuova antropologia.
Nel Vangelo (Marco 14), siamo all'ultima cena di Gesù con i suoi: non si tratta solo della consumazione comune di un pasto, di una cena fraterna tra amici, ma dell'ultimo convito liturgico della Pasqua ebraica che Gesù celebra con i suoi. In questa occasione Cristo offre Sé stesso come sacrificio, consegnando alla Chiesa il compito di attualizzarlo nella storia futura. Siamo dunque nella nuova Pasqua.
I cristiani hanno sempre risposto all'invito di Gesù radunandosi assieme pere celebrare l'Eucaristia. La Messa, annuncio della gioia e della nuova speranza pasquale, si colloca dunque nell'itinerario delineato dalla Chiesa. È il nuovo sacrificio, il nuovo rendimento di grazie. È cena fraterna che utilizza tuttavia il simbolo come veicolo per comunicare una realtà profonda che Dio ci svela, ma anche per realizzare un legame profondo con tutti coloro che accolgono questo mistero di comunione (e anche con quelli che, per ragioni diverse, non sono in grado di accoglierlo).
Questi gesto simbolico, che è la Messa, è un atto pasquale: è l'atto pasquale per eccellenza; è il sacramento del passaggio: movimento ascensionale dalla morte alla vita, dal non-essere al più-essere, dalla dispersione all'aggregazione, dalla caduta verso la pluralità alla riconciliazione nell'unità. Dalla disumanizzazione alla ominizzazione (come direbbe Teilhard de Chardin).

Credo che sia importante, in quanto cristiani, ritrovare questo disegno semplice e grandioso a un tempo. Perché della Messa, simbolo da vivere e da realizzare in comunità e nel quale gravitare tutta la nostra esperienza di vita, abbiamo fatto troppe volte un rito, un atto di culto spesso standardizzato e stanco, regolato dalla rigida legge delle lancette dell'orologio e basato su una regia in cui attori e spettatori giocano un ruolo differenziato e predeterminato.
È pur vero che, dal preconcilio a oggi, è stato compiuto un notevole cammino per entrare nella logica della celebrazione dell'Eucaristia, più che a enfatizzarne l'obbligatorietà della partecipazione domenicale. La strada da percorrere, tuttavia, è ancora lunga: per molti di noi “andare” a Messa non significa ancora entrare nello spirito del sacrificio. Né va dimenticato che la Chiesa, comunione nel Cristo dei credenti, non è immune dalle dinamiche che regolano le relazioni interpersonali tra di noi. Oggi questo modello di relazione sta purtroppo diventando sempre più quello del riflusso nel privato; e questo non ci consente di lamentarci per quanto ci dicono le ricerche di sociologia religiosa sulla partecipazione domenicale alla Messa. Non si entra nello spirito della Messa fino a quando non costruiremo una comunità che ne senta il bisogno e non veda l'ora di potersi sedere attorno a quella tavola. Una comunità che si presenta al Cristo nella coscienza piena della sua desolante e desolata povertà e della sua corresponsabilità nei confronti di tutti i fatti quotidiani che fanno regredire l'essere umano dalla tensione verso la vita alla dissoluzione verso la morte.
La Messa non ha molto senso, e rimane un rito nei confronti del quale molti non avvertono più alcun interesse, se chi vi partecipa, e cioè un insieme di persone che vivono accanto senza conoscersi, che si incontrano senza salutarsi, divise da scelte politiche diverse o da rapporti professionali che le pongono spesso in condizione di conflitto istituzionalizzato, non decidono finalmente di costituirsi in comunità autentiche, accettandosi nelle loro diversità. Solo così potranno recitare assieme il kyrie eleison, chiedere a Dio pietà per i bambini che muoiono di fame e straziati dalle guerre, per le armi che nessuno vuole deporre e al possesso delle quali nessuno è disposto a rinunciare, per le politiche egoiste e fanatiche del “Prima gli italiani...”, per gli stranieri in fuga dalle loro terre inospitali e che muoiono annegati nei nostri mari, per l'imbarazzante incapacità di gestire la politica da parte di molti governanti.
Bella questa Eucaristia in cui ognuno di noi si prende carico dei problemi e dei drammi del mondo. Rendendoci conto, con la nostra tensione alla speranza, che il Cristo sta attraendo tutto e tutti a Sé, e che l'Eucaristia è il Centro, il momento privilegiato di questo movimento ascensionale.

Traccia per la revisione di vita.
- Che cos'è per me l'Eucaristia? Una devozione privata? Il sostegno della comunità dei credenti?
- Quale aiuto dà l'Eucaristia alla crescita della nostra famiglia? Quali sono gli impegni che prendiamo partecipando all'Eucaristia?
- Quale aiuto do ai miei figli (o ai miei nipoti) nel prepararli alla loro “prima Comunione”?

Anna e Luigi Ghia - Direttore di «Famiglia Domani»

 

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