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TESTO Impreparati. Dunque prontissimi

don Marco Pozza  

Pentecoste (Anno B) - Messa del Giorno (20/05/2018)

Vangelo: Gv 15,26-27; 16,12-15 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 15,26-27; 16,12-15

26Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.

12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.

Li ha colti impreparati. Di sorpresa, rattrappiti come delle talpe dentro a quel cenacolo che loro hanno trasformato in tana: comodo, fortino contro gli agguati, un che di sicuro per della gente insicura. Impreparati, eppur assai preparati alle notizie buie: «Sei pronto? - scrive Olga Sedakova nella sua poesia L'angelo di Reims - Alla peste, alla fame, al terremoto, al fuoco, all'incursione dei nemici, all'ira che si abbatte su di noi?» Gli apostoli erano tutta gente addestrata per gli imprevisti, allenatasi a reggere l'urto delle notizie tetre, preparata all'annuncio di faccende tristi e polverose. Dopo la morte del Maestro - "Crocifisso il Capitano, si prepari l'intera squadra!" - gli animi s'erano afflosciati, la promessa sembrava scaduta, l'eccitazione delle prima chiamata aveva lasciato il posto all'anestesia del Golgota. "E' stato un sogno meraviglioso, adesso è tutto finito. Portiamoci a casa la pelle, poi che ognuno torni ai suoi vecchi mestieri": dev'essere stata più o meno questa la confidenza fattasi dagli Undici all'indomani di Pasqua.
Pronti a fare i conti con lo struggimento, la nostalgia, il rimbrotto rinfacciato al passato.
Lui, il Maestro, dopo quei fatti non stette con le mani in mano. Si tirò su bene le maniche e, per cinquanta giorni, apparve a destra e a manca, a piccoli gruppi e a cinquemila in un colpo solo, dentro e fuori casa, in giardino e sulla collina, a mani bucate e col sorriso negli occhi. Tentò di rianimare quella truppa: "Vedete, era tutto vero! Son risorto: abbracciatemi, toccatemi, carezzatemi" A nulla valse quell'ambaradan di gioia: troppa, non ci credettero per troppa gioia. Non perché era poca, non per la tristezza: non credettero per troppa gioia. Fu a causa della troppa gioia che quella gente era debolissima. Glielo rinfacciò loro Cristo, giorni dopo l'Ascensione: «Molte cose ho ancora da dirvi ma per il momento non siete capaci di portarne il peso». In parole povere confessò loro che non poteva fare un aumento di capitale della gioia a motivo della loro scarsa propensione a farsi sorprendere dalla gioia. Troppo pessimisti, troppi musi lunghi, troppi "era meglio quando si stava peggio": la loro incredulità era di ostacolo al Cristo per riuscire a fare quello che sognava fare per loro, con loro, in loro: far esplodere la gioia. Il suo annuncio, perciò, quasi non lo capirono: «Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità (...) dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future». Ciò che capirono, fu che non potevano credere a quello che Lui annunciava loro: che un giorno sarebbero stati capaci di superare loro stessi, fino a stupire il mondo, mandandolo in confusione con la loro prestante debolezza.

Quando arrivò - perché arrivò, com'era stato detto anzitempo - la fiumana di Spirito fu inarginabile: li sbalzò fuori dal cenacolo come da una giostra, li mandò dritti allo sbaraglio. Li colse impreparati di fronte a quelle fiammelle di fuoco che erano mitragliate di adrenalina, scariche di sorpresa. C'è da giurarci che, in tutto quel tempo, neanche la Madre sua rimase mani-in-mano: si era adoperata a far sì che la fiammella non si spegnesse. Che la gioia non venisse buttata fuori dai confini del paese. Muta e discreta, li interrogava col semplice suo sorriso: «Io ti dico: tu sei pronto ad una felicità incredibile?» (O. Sedakova). Alle peste e alla fame erano prontissimi, alla gioia un po' meno. Una gioia-incredibile, poi, manco l'avevano pensata. Erano come case scoperte, vasi a cui manca il tappo, porte senza serrature. Non avevano calcolato - forse a motivo di disgrazie piombate loro addosso precocemente - che il difficile di tutta la faccenda era farsi trovare pronti dalla gioia, dalla Risurrezione, dalla sorpresa che giunge inaspettata. Fu così che, porte chiuse, Dio li colse impreparati. Il fare trovare impreparati, però, è la specialità della gioia: «Avere studiato non aiuta, né l'essere buoni e bravi, come molti credono, ma solo non essere all'altezza e saperlo e starci lo stesso. Cioè amare» (L. Muraro). Pentecoste è festa-patrona della gente impreparata.
Quando Lo pensi sconfitto, Dio scatta in contropiede. E ti ribalta la partita.

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