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TESTO E sia vento di nuove fioriture!

don Angelo Casati  

Pentecoste (20/05/2018)

Vangelo: Gv 14,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi.

Perdonate. Forse l'abbiamo spenta. Dico, la festa di Pentecoste. Oso dire questo perché la festa è abitata da un'ebbrezza, da colori, da canti, da danze. Oggi bisognerebbe uscire dalle chiese, dai cenacoli. Come uscirono i primi discepoli il giorno di Pentecoste. E fare festa sulla piazza. Loro finirono sulla piazza. Ma per una festa vera! Perché, vedete, si può uscire sulle piazze per una festa che è finta festa, perché non è festa dentro. Ecco lo Spirito richiama il "dentro", il dentro dell'anima. Si può venir via vuoti da una festa. Ecco, "come veniamo via?" mi sembra una buona domanda. Vale per tante cose e non solo per la festa.

Come veniamo via da una piazza, da una casa, da un incontro? Con un senso di ebbrezza o di vuoto? Ho detto "ebbrezza" pensando al racconto degli Atti. Purtroppo la liturgia ha tralasciato il versetto che racconta la reazione della gente al vedere i discepoli uscire e parlare. E ognuno, straniero che fosse, capiva! E' scritto che tutti erano stupefatti e perplessi e si chiedevano l'un l'altro: "Che cosa significa questo?". Altri invece li deridevano e dicevano: "Si sono ubriacati di vino dolce". Dunque avevano un po' l'aria degli ubriacati. "Stava compiendosi il giorno di Pentecoste!": è scritto. Verbo intrigante questo "stava compiendosi". E perdonate se leggo così. Era come se la festa aspettasse un compimento, come se le mancasse qualcosa e dovesse finalmente sbocciare. La festa dello sbocciare. Infatti da principio era stata una festa legata all'arrivo della mietitura, il seme era arrivato al compimento, era diventato spiga. Ed era mietitura. Era festa sull'aia. Si danzava.

Poi, per gli ebrei era diventata la festa di un altro compimento, il compimento dell'esodo. Dicono i rabbini che da una custodia rocciosa del monte Sinai era fuoriuscita la Torah, il libro che tracciava le orme verso la libertà. Si danzava, abbracciandosi al Libro, festa del compimento. Che chiedeva ulteriore compimento: il Libro chiedeva di sbocciare, chiedeva fioriture nella vita. "Si stava compiendo la pentecoste" è scritto del giorno in cui il vento invase la casa. Come se la festa dovesse avere un altro compimento con il dono dello Spirito, promesso ai suoi da Gesù. Discese lo Spirito. Quello spirito che Gesù, morendo sulla croce, consegnò al mondo, morendo fuori dalla città: "emise lo Spirito", è scritto. E' il compimento dell'avventura terrena di Gesù, la presenza di Gesù ora non è più legata a una terra, non è più legata a una stagione. Con il suo Spirito dilaga come vento, come soffio di vita, in ogni terra. in ogni stagione del mondo, in ogni cuore.. "Si stava compiendo la Pentecoste".

Mi sono detto che anche oggi deve compiersi la Pentecoste. Anzi ogni giorno dovrebbe compiersi in ciascuno di noi. Quante cose attendono in noi di essere portate a compimento! Quanti germogli intisichiti, in pericolo di inaridirsi per sempre. Che attendono il vento creatore per fiorire. Pentecoste come creazione. Non è forse vero che in un inno della nostra liturgia cantiamo: "Vieni, Spirito creatore"? Come se la creazione non fosse finita. Devono accadere nuove creazioni. In me, in te, nella chiesa, nel mondo. Sotto la spinta dello Spirito: noi lo chiamiamo "Spirito creatore". E non è forse vero che abbiamo bisogno di essere continuamente ricreati? In agguato il percolo di essere come boccioli di fiori che non sbocciano, inaridiscono e cadono inesorabilmente, tristemente, a terra, senza futuro.

Lo Spirito al contrario ci abita per nuove fioriture. Ebbene, sotto la spinta di questa immagini, non posso non chiedermi quando e come io mi rivolgo allo Spirito. Mi chiedo se mi succede, almeno qualche volta, di sentirmi dentro visitato e abitato? Quante volte sto in ascolto dello Spirito che mi abita? Quello spirito che un inno chiama "dolce ospite dell'anima"! Un ospite - mi chiedo - ignorato? Come non ci fosse? Come se non avesse nulla da dirmi, nulla di decisivo, di bello, per la bellezza mia e del mondo che abito? Lo Spirito fa bellezza. Crea bellezza, allontana dalla volgarità. Ignorato? Ma non sarà anche per questo che i germogli perdono linfa e si intristiscono in me e non arrivano al frutto? Ebbene sì, c'è tanto dentro di te! Tanto di prezioso. C'è tanto ancora di incompiuto, in attesa di frutti. Lascia che ti investa il vento dello Spirito.

La Pentecoste - vi dicevo - è la bellezza dei frutti che maturano, che profumano la terra. Pensate, gli ebrei si preparavano alla Pentecoste, leggendo, nelle settimane precedenti, pagine del Cantico dei Cantici, pagine in cui all'amore di due innamorati sembra rispondere un fiorire, in un tripudio, della terra: frutti, erbe, profumi, colori, attese, abbandoni. Anche noi, nel nostro rito ambrosiano - nei giorni scorsi - siamo riandati a quelle pagine ed ieri l'altro abbiamo letto dal Cantico: "Di buon mattino andremo nelle vigne; / vedremo se germoglia la vite, / se le gemme si schiudono, / se fioriscono i melograni. / Le mandragore mandano profumo; / alle nostre porte c'è ogni specie di frutti squisiti, / freschi e secchi: / amato mio, li ho conservati per te. / Così io sono ai suoi occhi / come colei che procura pace!"( Ct 7, 13- 14; 8, 10), Sì, abbiamo bisogno dello Spirito per nuove fioriture in noi. E non solo in noi. La nostra è una stagione che per certi aspetti a qualcuno richiama la Babele: tutti parlano e nessuno ascolta, e le parole più sono urlate più sono vuote, parole che vengono usate per dire l'opposto di quello che suonano, parole dette e subito smentite.

Sembrano lontani i tempi in cui si diceva: "è un uomo di parola, e una donna di parola". Voi mi capite, in mezzo a tanta desolazione, diventa accorata una invocazione allo Spirito. Vorrei ricordare Ermanno Olmi. Ci ha lasciati pochi giorni fa. Ricordo la sera in cui, nel febbraio dell'anno scorso, proiettarono in Duomo il suo docufilm sul Cardinale Martini. La sua voce era già indebolita, alla fine disse che nel libro della Genesi, è scritto che Dio dà all'uomo e alla donna il compito di dare un nome alle cose. Aggiunse. "Io penso che sia arrivata la stagione in cui dobbiamo rinominare le cose perché le cose hanno perduto il loro vero nome" Sia Pentecoste anche oggi.

E lo Spirito ci aiuti a rinominare le cose: la politica, la città, la chiesa, l'altro, l'altra, un fiore, una piazza, un dolore, una festa. Anche questa festa,

 

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