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TESTO Il pane che libera

don Fulvio Bertellini

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A) (29/05/2005)

Vangelo: Gv 6,51-58 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,51-58

51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Il valore umano del cibo

Uno scienziato ha profetizzato che tra qualche decennio sarà possibile riversare su un supercomputer tutto ciò che sta memorizzato nel nostro cervello. Allora sarà possibile una vita cerebrale praticamente eterna: l'uomo avrà scoperto l'immortalità. Ma sarà ancora vita l'esistenza di un cervello bionico staccato dal corpo? E' questa l'immortalità che desideriamo?

Per il momento, siamo ancora legati a un corpo. Spesso lo dimentichiamo, riducendoci ad appendici di un televisore o di un computer, o a manovratori di automobili o altri attrezzi. A volte è una malattia che ci ricorda che siamo anche un corpo - non soltanto lo possediamo o lo usiamo. E può essere un risveglio traumatico. Molto meno traumatico - anzi decisamente piacevole - è il fatto che tutti i giorni mangiamo. In maniera discreta, amichevole, diremmo pure saporita, il cibo tutti i giorni ci ricorda che siamo esseri umani, fatti di corpo e anima inseparabilmente uniti. Tutti i giorni il cibo ci ricorda che siamo inscindibilmente legati al mondo naturale - fatto di piante e animali che vengono uccisi, trasformati, in fondo in fondo distrutti - per dare a noi da mangiare. E tutti i giorni il portafoglio che si svuota per comprare da mangiare ci ricorda che siamo inscindibilmente legati a un ambiente umano, che ci permette di esistere.

La dipendenza

Si potrebbe aggiungere che tutti i giorni noi dimentichiamo - più o meno volontariamente e consapevolmente - che milioni di esseri umani non hanno la nostra stessa possibilità di guadagnare e di mangiare. Il cibo potrebbe quindi ricordarci il nostro peccato, la cui radice fondamentale è l'avidità insaziabile. Il cibo non è mai un fatto puramente materiale, tecnico, economico. E' sempre profondamente umano. L'Antico Testamento non può fare a meno di confrontarsi con la questione del mangiare, ed elabora la teologia della manna nel deserto, e dei frutti della Terra promessa. E Gesù non può fare a meno di confrontarsi con lo stesso problema.

Il nodo fondamentale è quello della dipendenza. Il dover mangiare per vivere è una delle esperienze fondamentali in cui ci rendiamo conto del nostro limite di uomini. Dipendiamo dal cibo, e quindi dipendiamo dalla pioggia e dalla siccità, dalla grandine e dal bel tempo; e nel momento in cui il progresso ci illude di esserci affrancati dal capriccio delle stagioni, eccoci ributtati nel capriccio della recessione e dell'inflazione. Oggi abbiamo da vivere ma domani non lo sappiamo. Da qui la paura. Da qui l'avidità e l'egoismo.

Il legame

Non è però un esito scontato e inevitabile. L'esperienza di Israele nel deserto mostra come il popolo viene chiamato da Dio a vincere la paura del limite, ad accettare la sua creaturalità, ad allearsi con il Dio della vita. Visto in negativo, il limite dell'uomo si chiama dipendenza, povertà, insufficienza. La Parola di Dio insegna però un modo diverso di guardare alla creatura umana e alla sua condizione: siamo strutturalmente aperti al legame, alle relazioni: si tratta di una ricchezza, non necessariamente di una mancanza. Il peccato consiste proprio nel rovesciare il valore del limite, senza vedere che siamo creati per stabilire legami di armonia con il mondo, con le altre persone, con Dio. La libertà non è svincolarsi dalle relazioni, ma la facoltà di creare relazioni. "Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio": il pane da solo non basta a saziarci. Occorre una parola che sveli il senso delle cose. Che faccia vedere il loro aspetto buono, che insegni a gustare il sapore dell'esistenza. Gesù è la rivelazione definitiva di questa parola. Ma non si accontenta: vuole essere anche nostro cibo.

Il pane vivo

Gesù si presenta come il pane vivo: ciò significa che la sua stessa persona, la sua stessa presenza in mezzo agli uomini in qualche modo ci conduce ad appagare il nostro desiderio e la nostra fame più profonda. Non perché si limita a darci da mangiare: più profondamente, Gesù fa riscoprire la fiducia nel Padre, annulla la paura da cui nasce l'avidità, fa riscoprire nel legame con i fratelli non la catena che impedisce la nostra felicità, ma l'ambiente vitale in cui avviare lo scambio dell'amore. Chi mangia di questo pane - ovvero chi crede in Gesù - "vivrà in eterno", entra cioè in una nuova dimensione di esistenza, quella stessa vissuta da Dio.

La mia carne per la vita del mondo

Quello che sembra un discorso pacifico, capace di introdurre all'armonia e alla rappacificazione è in realtà un discorso profondamente drammatico: l'esperienza di Gesù, pane vivo, si scontra con l'avidità, l'egoismo insaziabile, cieco e sordo, che caratterizza l'uomo peccatore, alla ricerca di una sua autosufficienza, incapace di fidarsi di Cristo. Per essere fedele fino in fondo alla sua identità di "pane di vita", Gesù deve donare la sua vita. A questo allude l'espressione "dare la carne per la vita del mondo", e così pure la menzione del "sangue". Chi crede in Gesù deve entrare in relazione con il suo gesto di dono radicale e con la potenza della sua risurrezione. Altrimenti Gesù resterebbe un maestro, un predicatore, una guida spirituale. Non il Salvatore. L'obiezione dei Giudei "Come può costui darci la sua carne da mangiare?" rivela il loro scetticismo nei confronti di Gesù, che diventa anche il nostro stesso scetticismo. Che cosa può fare lui per noi?

Vero cibo e vera bevanda

Gesù non solo muore e risorge per liberarci dal nostro peccato, ma rende continuamente accessibile e disponibile il suo mistero di amore. Gesù non solo ci insegna ad amare, ma si offre a noi nell'Eucaristia come sorgente continua di amore. Ed è per questa via che gli uomini possono abbattere il loro limite, il limite della loro corporeità, il limite della loro vita fisica, il limite della morte. Il pane e il vino che diventano corpo e sangue di Cristo nascondono un altro miracolo, ancora più sorprendente: noi che diventiamo a nostra volta corpo e sangue di Cristo, partecipi della vita divina; i nostri corpi e le nostre esistenze umane che diventano segno vivo del suo amore, liberamente capaci di inventare relazioni nuove, di legarsi come fratelli, di vivere, come Figli del Padre, una vita che non ha fine.

Flash sulla I lettura

"Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere". Il duro cammino nel deserto ha lo scopo di abituare il popolo alla libertà, all'autentica libertà. Una libertà che noi, come Israele, concepiamo come semplice possibilità di autodeterminazione: la possibilità di fare tutto ciò che vogliamo. La prova del deserto smaschera la pretesa di autonomia e indipendenza assoluta: la semplice assenza del pane fa emergere la radicale povertà e dipendenza dell'essere umano. Così Dio che "fa provare la fame" al popolo non va visto come un crudele torturatore, ma come colui che provvidenzialmente educa rendendoci coscienti del nostro limite.

Anche un'altra forma illusoria di libertà viene lucidamente svelata nel cammino del deserto: la pretesa di non fare i conti con il proprio passato. "Ricordati" e "non dimenticare" sono i due verbi chiave del brano che ascoltiamo. Mentre troppo spesso si pretende di azzerare la propria storia, dimenticando tutto quello che in essa è dono di Dio.

La persona umana schiava del proprio bisogno non è libera. E ugualmente la persona che si priva della sua storia non può costruire una storia di libertà. La Parola di Dio è ciò che ci libera dal bisogno e ci porta a costruire una storia di liberazione, che coinvolge noi e i nostri fratelli.

Flash sulla II lettura

"Il calice della benedizione che noi benediciamo...": probabilmente si fa qui riferimento alla forma più antica di celebrazione dell'Eucaristia, chiamata ancora con il nome di benedizione. Anche l'ordine (prima il calice, poi il pane) sembra rispondere a una fase iniziale che rispecchiava la successione degli elementi nella cena pasquale ebraica.

"Non è forse comunione con il sangue di Cristo?": al di là della vicinanza rituale con l'ebraismo, emerge però fortissima la coscienza che si tratta di un rito completamente nuovo, che mette in comunione con ciò che Gesù ha fatto per noi sulla croce.

"Noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo": la novità non consiste soltanto nel memoriale della croce, ma ha una forte conseguenza nei riguardi della comunità: la comunione con il corpo di Cristo diventa comunione fraterna, produce una realtà nuova, un "corpo solo": un nuovo organismo vivente che coinvolge tutti i credenti che partecipano alla celebrazione. L'unità raccomandata dall'Apostolo non è quindi soltanto un espediente tattico, del tipo "se siamo uniti vinciamo". E' invece un fatto oggettivo, determinato dalla partecipazione alla croce di Gesù, resa possibile dal calice della benedizione e dal pane spezzato.

 

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