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TESTO Commento su Marco 16,15-20

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Ascensione del Signore (Anno B) (13/05/2018)

Vangelo: Mc 16,15-20 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 16,15-20

15E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. 16Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. 17Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, 18prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

19Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.

20Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

COMMENTO ALLE LETTURE

Commento a cura di Ottavio De Bertolis

“Colui che discese [dal cielo] è anche colui che ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose”; come l'acqua irrora la terra, così Gesù riempie del Suo santo Spirito tutto il creato, inaridito dal peccato e dalla morte, e diffonde su ogni creatura, quasi espandendola senza fine, la sua stessa risurrezione, la vittoria che il Padre gli ha donato sulle potenze infernali del male e della morte. L'ascensione è il compimento della Pasqua, e in questo senso è solennità maggiore della Pasqua stessa: infatti è l'estendersi della risurrezione dal corpo fisico di Cristo, quello che fu glorificato dalla volontà del Padre per mezzo dello Spirito vivificante, al suo corpo mistico, a tutta la Chiesa, a noi sue membra, e infine a tutta la creazione. Cristo conduce in cielo, cioè nel mondo di Dio, quindi all'adozione a figli, alla grazia, al poter vivere come Lui ha vissuto, quegli uomini che erano usciti dal cielo, dal paradiso perduto, dal giardino dal quale Adamo ed Eva, nel racconto del Genesi, erano stati cacciati. L'obbedienza del Figlio ha guarito la disobbedienza del servo, e l'ultimo Adamo ha riscattato il primo Adamo. L'ascensione è il ritorno di tutti noi a quella patria perduta; Gesù si è abbassato fino a dove eravamo noi, ci è, per così dire, venuto a prendere lì dove eravamo noi, per riportarci dove era ed è Lui, accanto al Padre. In questo modo è finito il regno della colpa ed è stato iniziato fin da ora il regno di Dio, la sua signoria sul nostro mondo e sulla nostra storia.

“Il Signore regna, esulti la terra - dice un salmo - nubi e tenebre lo avvolgono, giustizia e diritto sono la base del suo trono”. Sembra in effetti che regnino altri sedicenti “signori” nelle nostre vite, e di questi tiranni noi sentiamo spesso il peso e la schiavitù, ma Colui che davvero è sopra di tutti, cioè che è il vero Signore, è Gesù, e con Lui il Padre. Le nubi e le tenebre alle quali allude il salmo sono appunto tutte quelle oscurità e opacità che a volte ci circondano: oltre esse, c'è la giustizia e il diritto di Dio, cioè il suo farsi presente nelle nostre vite con la potenza del suo Spirito, nella Parola, nei Sacramenti, nella vita di grazia che ci accompagna ogni giorno, che riportano la sua giustizia, dove c'è l'ingiustizia del peccato nostro e degli altri su di noi, il diritto dove ci sono le righe storte delle nostre esistenze, e la vie interrotte delle nostre relazioni tra di noi, spezzate o cancellate. La giustizia di Dio, o il suo diritto, termini sinonimi, è infatti la sua salvezza, il farci figli dove eravamo diventati estranei, a Dio e tra di noi. E così noi siamo glorificati in Lui, e Lui è glorificato in noi.

Il Vangelo ci mostra i segni di questa vittoria, con le parole simboliche, ma non per questo meno reali, della Scrittura. A noi sarà dunque dato di “scacciare i demoni”; chi vive in se stesso la comunicazione della risurrezione del Figlio, la sua stessa signoria sul male e sulla morte, è vittorioso sulle forze demoniache intorno a lui, e diviene portatore della vittoria stessa di Gesù, che si servirà di lui come di un tramite. Così i credenti cacciano i demoni della solitudine con la loro carità, della tristezza e dell'abbandono con l'umile servizio del prossimo, dell'angoscia e della depressione con la testimonianza della loro fede. Considerate le vite dei santi, e vedete se non è stato proprio così; e quel che hanno fatto loro, lo possiamo, e dobbiamo, fare anche noi.

Possiamo anche parlare lingue nuove: se il mondo parla la lingua di sempre, quella dell'interesse personale che non crea amicizie, ma solo utili alleanze, noi possiamo costruire relazioni disinteressate e fedeli. Se molti concepiscono il mondo come una torta dalla quale prendere la fetta più grande, noi possiamo, sostenuti dalla potenza del Cristo Signore che dai suoi cieli ci riempie della sua grazia, dividere la nostra, e saziarci ancora maggiormente. Se per tanti è inevitabile parlare il linguaggio antico del cinismo e della disperazione, noi possiamo parlare il linguaggio nuovo della fede, della speranza e dalla carità, e dimostrare che il cielo non è chiuso o lontano, ma si è aperto su di noi e per noi. Possiamo parlare il linguaggio nuovo della preghiera e della vita interiore, in un mondo che è connesso solo con se stesso.

Possiamo prendere in mano i serpenti; fare cose che richiedono coraggio e che noi non riusciremmo a fare, se lasciati alle nostre sole forze, e riuscire a tenere in mano qualche cosa di viscido e di sfuggente, cioè dominare quei pericoli striscianti o quelle serpi che sempre stavano al nostro calcagno. Chi crede sperimenterà non di diventare un superuomo investito di magici poteri, ma che, rimanendo quel che è, con tutte le sue debolezze, contraddittorietà e perfino peccati, la potenza di Dio opererà in Lui, al di là di quanto si potrebbe ragionevolmente pensare. Così Paolo dirà che Dio ha scelto ciò che è debole, ignobile e disprezzato, dagli altri o anche da te stesso, per ridurre a nulla le cose che sono apparentemente potenti e vittoriose, perché nessuno possa gloriarsi davanti a Dio: e questo siamo precisamente noi, disprezzati da molti, e forse anche da noi stessi. Infatti i veleni del mondo non ci uccidono. L'Eucaristia è l'antidoto ad ogni male, che ha in sé la capacità di spegnere il potere avverso del demonio e delle forze da lui dirette: così noi ci accostiamo alla mensa del Signore non per essere trasformati in semidei, ma per ricevere la forza e il sostegno del nostro cammino, fino a quando non rientreremo in quel cielo che Gesù ci ha di nuovo aperto. Insomma, come Gesù opera in noi guarendoci e vivificandoci, così anche noi, riempiti di quella vita, possiamo trasmetterla: imporranno le mani ai malati, e questo guariranno.

E in tal modo Gesù ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri. Ma non interpretate queste parole in senso solamente clericale, come se riguardassero solamente la gerarchia della Chiesa. Ci riconosciamo tutti inviati, cioè “apostoli”, in questo mondo per essere segno dell'amore di Gesù per gli uomini, perché Lui parli e agisca per mezzo nostro; così è profeta chi annuncia, con la vita prima che con le parole, quella vita nuova e bella che Gesù ci ha donato; è evangelista chi fa risuonare esplicitamente, in un mondo vuoto, il nome di Gesù, la testimonianza esplicita di Lui, proposto e indicato presente nell'infinita bellezza della sua parola; siamo pastori quando conduciamo al buono e al bello della vita, ai pascoli verdeggianti dell'amore di Dio rivelato da Gesù, e maestri non di altro se non di umiltà, mansuetudine e pazienza. E così il mondo e la storia tutta si riempie di Gesù, dell'amore infinito dello Spirito, del Nome dolcissimo del padre, anche con la nostra cooperazione. Siamo così compagni di Gesù, partecipi delle sue fatiche e della sua consolazione, scegliendo e desiderando per noi quel che Lui per sé ha scelto e desiderato.

 

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