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TESTO Non guardarmi non ti sento

don Cristiano Mauri  

Martedì della V settimana di Quaresima (20/03/2018)

Vangelo: Gv 8,21-30 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Gesù si trova ancora a dibattere con un gruppo di interlocutori che resistono alla sua parola. Il tema è la sua identità, affrontato qui sotto l'angolatura della sua morte ormai vicina.
L'avvio della controversia è dato da una tesi iniziale per cui la sua scomparsa prossima susciterà una ricerca tra i suoi avversari.
A riguardo troviamo un'affermazione molto forte, nei termini della minaccia di un giudizio: «morirete nel vostro peccato».
Il termine «peccato» usato al singolare indica l'incredulità che porta alla lontananza da Dio e così alla morte, qui intesa non solo in senso materiale ma come distanza da Colui che è fonte della vita e rottura di ogni rapporto con Lui.
I Giudei fraintendono pensando a un suicidio e ciò consente di procedere con un ulteriore chiarimento.
Gli avversari di Gesù continuano a confinare la loro intelligenza, la loro volontà, i loro criteri di decisione, le loro logiche di vita solo all'interno dell'orizzonte mondano immediato.
Perciò non possono capire quanto Gesù dice, visto che la suo origine è al di là di questo mondo.
Non credere all'«Io sono» di Gesù significa negare che la realtà divina è manifestata in lui.
Costoro vivono senza mai alzare lo sguardo al cielo e cercando ogni risposta nei loro ragionamenti mondani.
In ciò stanno «nel peccato», vivendo una vita separata da Dio e autonoma rispetto alla sua volontà. Così facendo, la comunicazione tra loro e Gesù è impossibile.
La domanda dei Giudei «Tu chi sei?» sa palesemente di incredulità.
La reazione di Gesù lo dimostra, evidenziando come il problema non sia l'oscurità delle sue parole, chiare fin dall'inizio, ma la loro disponibilità ad accoglierle.
Giovanni insiste nel marcare l'incapacità di comprendere degli avversari di Gesù: continuano a non vedere in lui colui che parla del Padre.
In un'ultima spiegazione Gesù li rimanda alla propria morte: ciò che ora non sono in grado di capire sarà loro perfettamente chiaro quando sarà crocifisso («innalzato»).
Riconosceranno in lui la rivelazione di Dio, poiché la sua obbedienza al Padre è perfetta e anche in quell'ora non sarà lasciato solo ma in sarà in stretta comunione con lui.
L'effetto è sorprendente: nonostante il malinteso e l'incredulità, gran parte dei Giudei aderisce alla parola di Gesù.

Non guardarmi non ti sento.
Parlano due lingue differenti Gesù e i Giudei.
L'uno tiene insieme la terra e il cielo, gli altri si ostinano a tagliare fuori un pezzo della realtà.
E così dimezzano il vocabolario, guardano le cose con un occhio solo, ascoltano con un orecchio tappato.
Gesù insiste nel dialogo, ripete i concetti, moltiplica le immagini.
La domanda che si sente rivolgere dopo tutti i discorsi fatti - «Tu chi sei?» - è da far cadere le braccia.
Colpisce che sia il preannuncio della crocefissione a risolvere la controversia, almeno con alcuni.
Come se la Croce piantata in mezzo a quell'incomunicabilità/incredulità - in mezzo a quella prospettiva di peccato e di morte - abbia fatto da ponte tra le due sponde apparentemente inavvicinabili.
Simbolicamente l'immagine è molto bella.
E suggerisce il fatto che l'offerta della propria vita da parte di Gesù è effettivamente un ponte gettato a chi sembra destinato alla “morte”, perché possa entrare nella vita.
La Resurrezione è il sigillo che accogliendo quel dono nella vita si entra.
E l'immagine della Pasqua che simbolicamente “risolve” l'incomunicabilità/incredulità tra Gesù e i Giudei è affascinante.
Mi chiedo se tutto questo non abbia qualcosa da dire anche alle nostre ordinarie situazioni di incomunicabilità.
Perché credo sia esperienza comune che in alcuni casi non è affatto sufficiente la disponibilità al dialogo e l'impegno a trovare un terreno comune con l'altro.
Lungi da me l'intenzione di sminuirne l'importanza ma il dialogo, a volte, non è per nulla risolutivo, anzi in certe situazioni è solo l'occasione per creare ulteriori grovigli se non ferite più profonde.
Non intendo offrire una ricetta risolutiva dei casi di conflitto, ci mancherebbe.
Solo mi fermo a rifletterci insieme al Vangelo.
E mi chiedo, ripensando alle occasioni in cui non sono riuscito a risolvere certe incomunicabilità, quanto ero pronto a cercare “la vita dell'altro” sopra ogni cosa e quanto fossi disposto a mettere in gioco la mia.
O almeno, quanto avrei voluto esserlo davvero.
Soprattutto, però, mi domando se mai sono stato capace di comunicarla, di farla sentire, di esprimerla in qualche modo quell'intenzione di vita.
Forse non avrebbe risolto nulla, sul piano pratico. O forse, invece, sì.
Ma certo, credo, avrebbe parlato di Pasqua, di vita che vuol vincere la morte.
E, in un modo o nell'altro, magari, avrebbe salvato entrambi.

 

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