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TESTO Ciò che ti rimane

don Maurizio Prandi

V Domenica di Pasqua (Anno B) (29/04/2018)

Vangelo: Gv 15,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Ascolteremo lo stesso brano di vangelo per due volte in questa settimana e lì per lì pensavo questo: che i due verbi al centro del vangelo, tagliare e potare, sono due verbi che istintivamente allontano da me perché non li sento, come dire, positivi. Quello che si diceva l'altra sera però, commentando il vangelo comunitariamente, mi aiutava. Stefano diceva che potare non è amputare! Si pota per dar maggiore vigore, si pota per rinforzare, si pota, e le parole che seguono ne sono un'esemplificazione, perché si vuole guardare in avanti, perché si ha uno sguardo proiettato al futuro, perché il domani sia migliore e più rigoglioso che mai!
Leggevo, tempo fa, alcune parole di mons. Bregantini che mi sono piaciute molto: “Lo sanno benissimo i nostri contadini: un albero, se non lo poti, muore. Se lo poti rinnova la sua forza per un raccolto più abbondante. E' la logica della vita, così come ce l'ha descritta il vangelo: Chi ama la propria vita la perde e chi perde la propria vita per il vangelo la ritrova. Ma potare è un'arte difficile ed è fonte di sofferenza, lenta da apprendere; è Dio il potatore della nostra vita: Ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti maggior frutto. Lui sa quando e cosa potare. Dio conosce quali cose dobbiamo lasciare e quando ne è il momento. Ed anche il perché. Perché la potatura non è mai fatta per “tagliare soltanto”. E' fatta soprattutto per ridare nuova vitalità. Certo, il contadino, quando taglia, non guarda il ramo che cade. Spesso anzi, taglia proprio il ramo più grosso, lasciando un esile tralcio che tende al cielo. Ma in quel tralcio fragile, il contadino, con gli occhi della “fede”, già intravede l'abbondanza dell'uva matura. Chi non è contadino si stupisce, perché vede solo il presente, non si rende conto, non sa spiegarsi certi tagli. Solo il contadino capisce, non perché vede, ma perché “intravede” con gli occhi della fede”.

Anche il verbo rimanere ci ha colpito molto, quasi una supplica da parte di Gesù, una preghiera. Si tratta di rimanere in una relazione, in una comunione nella quale capiamo che la stessa vita che percorre la vite percorre anche i tralci. Rimanere in quella relazione significa anche ricevere le attenzioni, lasciarsi curare, custodire, lavorare da Dio Padre che è il contadino, l'agricoltore (a qualcuno piaceva molto questo volto di Dio: un contadino, uno che si prende cura). Rimanere allora, molto semplicemente, lo possiamo anche tradurre così: essere vicini. Ognuno di noi può pensare al desiderio che spesso abbiamo quando chiediamo a persone care di rimanere con noi: rimani ancora un po' qui con me. Che bello avere il coraggio di rivolgerle ad un altro queste parole che, (penso a me), con difficoltà pronuncio perché potrebbero essere anche un'ammissione di fragilità o un desiderio di tenerezza. Non si tratta però di essere sdolcinati, ma di dire e riconoscere il bisogno di vicinanza, di comunione, di sostegno reciproco. So che il contesto generale del brano di vangelo che in questa domenica la chiesa ci consegna è più ampio, ma mi piace particolarmente questo: è lo stesso Gesù a dire prima rimanete in me, quasi a confessare questo bisogno che anche lui ha.

Poi c'è quella frase: da sé stessi non si può portare frutto; pensate che i programmi televisivi sono pieni di modelli di persone che si sono fatte da sé! Io-io-io-io... però, da sé stessi dice Gesù, non si può! Ed è vera a tal punto questa cosa che anche Gesù, da solo, non può far nulla! Lui rimane fedele a quell'affermazione, anche quando dalla croce ha ascoltato quell'invito: Salva te stesso! Ma non l'ha fatto, è rimasto là sulla croce. Quello che in questo brano di vangelo ci chiede, cioè di rimanere, lui l'ha vissuto fino alla fine. La comunione di Dio con la condizione degli uomini viene espressa proprio da quel verbo: rimanere!

Cosa è che rimane? Ciò che rimane è anche ciò che avanza, ciò che è in più; cosa rimaneva quel giorno sul Calvario per chi passava di là? Tre appesi in croce, tre che dovevano averla combinata grossa per finire così! Don Daniele Simonazzi scrive questa cosa, che mi piace molto: non siamo utili gli uni per gli altri; siamo quell'amore che ci è rimasto, non abbiamo nient'altro. Tuo marito, tua moglie è ciò che ti è rimasto. A volte, aggiungo io, sono i poveri, sono le persone sole, sono i rifiutati, ciò che ti è rimasto in una comunità.
Attenzione però, perché nella logica del vangelo, se le persone non sono ciò che ci rimane, diventano ciò di cui ci serviamo (don D. Simonazzi).

 

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