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TESTO Lodate il Signore e proclamate le sue meraviglie

don Walter Magni  

V domenica T. Pasqua (Anno B) (29/04/2018)

Vangelo: Gv 17,1b-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. 2Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. 3Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. 4Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. 5E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.

6Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. 7Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.

9Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. 10Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. 11Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.

Ci sono passi del Vangelo che non chiedono tanto di esercitare l'intelligenza, ma la predisposizione del cuore. Passaggi e parole di Vangelo che si fanno spazio dentro di noi, in modo discreto e paziente. Come pioggia leggera che feconda la terra arida; come raggi di sole che irrompono negli anfratti più oscuri del cuore. Proviamo a riprendere solo alcune espressioni, alcune parole del brano evangelico proposto in questa liturgia.

“Alzati gli occhi al cielo”
Va registrato anzitutto un gesto di Gesù. Sta scritto che “alzati gli occhi al cielo” si mise a pregare. Non è solo un movimento degli occhi, una direzione dello sguardo. È più una tensione del cuore. Che dice una nostalgia delle origini, il desiderio di tornare alla fonte del proprio essere. Così, mentre ancora i Suoi discepoli si guardavano smarriti, respirando un'aria di tradimento, Gesù conclude il Suo discorso di addio alzando gli occhi al cielo. Invitando tutti a fare come Lui. Come seguendo la direzione del Suo sguardo, prima di mettersi a pregare e pronunciare qualche parola. Un cartello, posto all'ingresso di una chiesa valdese riportava questa scritta: “Le pecore talora si smarriscono perché brucano l'erba senza mai alzare lo sguardo” (chiesa valdese di Torre Pellice). Mentre per Gesù alzare gli occhi al cielo era invece un gesto abituale. Premessa, introduzione normale alla Sua preghiera. Così come i salmi Gli avevano insegnato: “A te alzo i miei occhi, a te che siedi nei cieli” (sl 123,1). Prima di una guarigione (Mc 7,3) o della resurrezione di Lazzaro (Gv 17,1). O come in quell'episodio di moltiplicazione del pane e dei pesci, quando, “alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione” (Mt 14,19). Sino allo sguardo levato al cielo durante l'Ultima cena, prima di benedire il pane spezzato e il vino versato. Scriveva Alda Merini: “Non mettetemi accanto a chi si lamenta senza mai alzare lo sguardo, a chi non sa dire grazie, a chi non sa accorgersi più di un tramonto. Chiudo gli occhi, mi scosto di un passo. Sono altro. Sono altrove”.

“Padre è venuta l'ora...”
E mentre lasciamo che Gesù guidi il nostro sguardo verso il cielo, viene alla mente, un'indicazione della nostra liturgia eucaristica. Quando il celebrante, poco prima di proclamare il prefazio, esorta col gesto delle braccia alzate, tutta l'assemblea dicendo: “in alto i nostri cuori”, mentre tutti rispondono convinti: “sono rivolti al Signore...”. Così Gesù prosegue nel Vangelo, avviando una lunga preghiera, dicendo, con tono di attesa filiale, la parola Padre: “Padre è venuta l'ora”. Una parola che potremo ripetere anche noi una volta e una volta ancora. Sostando magari come stupiti. Quasi scavando la parola, sin quasi a risentire lo stesso intimo affetto di Figlio che sta dentro l'originale aramaico “Abbà”: Babbo, Babbino mio. Perché lo sguardo al cielo di Gesù non è di circostanza. Semplicemente vuole portarci al cuore di una relazione. Nelle trame delicate e calde di un rapporto che già prelude a un abbraccio. Come quando, guardandosi negli occhi, sentiamo di poter dire d'essere l'uno di fronte all'altro, l'uno dentro l'altro, senza temere d'essere feriti o traditi. E intanto già ti prende la voglia di tuffarti in Lui, assaporando il gusto di sentirti come intrecciato, per un tempo che non si può contare.
Teresa di Gesù Bambino, racconta nel suo Diario, che quando pregava il Padre nostro, si fermava alla prima parola e non le riusciva più d'andare avanti. Come se solo quella parola le bastasse.

“Questa è la vita eterna”
E ancora un'espressione Gesù ci regala, quando definisce che “questa è la vita eterna”. Quanto è sobrio e indeterminato il Vangelo nel descrivere l'aldilà, rispetto al ricco immaginario, elaborato da tanti artisti e teologi, lungo la storia della Chiesa. Anche questo oggi dovrebbe dirci qualcosa. Nel Vangelo di domenica scorsa Gesù diceva, con semplicità e immediatezza ai Suoi: adesso “vado a prepararvi un posto”. Cos'è mai la vita eterna alla quale ancora oggi Gesù allude? Bello sarebbe uscire finalmente da un credito eccessivo dato all'immagine di un posto, di un luogo, collocato geograficamente da qualche parte dell'universo. Per dare spazio piuttosto ai dinamismi più umani di una relazione. A partire da quella che Gesù intrattiene col Padre Suo; e a seguire, anche la nostra. Di noi in Lui e di Lui in noi, per sempre. Come fossimo nella trama di un dialogo che non ha fine e che già su questa terra è cominciato. Anche l'ultima espressione di questo Vangelo assomiglia a un testamento che ormai ci lega a Lui, senza lasciarci più. Perché “questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”. E' Gesù, dunque, il nostro posto, il luogo di un appuntamento. Come una relazione d'amore, senza fine. Sicuri, come ci ha detto Paolo nell'Epistola ai Corinzi, che ci stiamo semplicemente riferendo ad una sapienza che non è di questo mondo: “sapienza (...) che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria”.

 

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