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TESTO Il criterio dell'appartenere

don Maurizio Prandi

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (22/04/2018)

Vangelo: Gv 10,11-18 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

La quarta domenica di Pasqua, quella chiamata del Buon Pastore tradizionalmente è dedicata alle vocazioni; per questo, senza pretendere di esaurire questo tema così bello ed importante abbiamo, come comunità, affidato ad un segno ai bambini più piccoli che frequentano il nostro catechismo: il sale. È la domenica della consegna del sale, come dire che rispondere alla chiamata che ognuno ha scritto dentro di sé, è dare sapore alla vita. Ognuno dà il suo sapore, ognuno dà il suo gusto; diventare “qualcuno”, non vuol dire la fama o il successo, o il rimanere scritti nei libri di storia: diventiamo qualcuno nella misura in cui diamo il nostro sapore alla vita.
Gesù, ci dice il vangelo, è uno che ha dato sapore alla vita vivendo, (sapete che è un'espressione che a me piace particolarmente) non una bella vita, ma una vita bella! Alcune, spero semplici, sottolineature:

1) Gesù, pastore buono e bello
Gesù pastore buono questa parola che si può tradurre anche con bello, a seconda del contesto; dipende da dove Gesù tradurre bello oppure buono. Quello che è importante, scrive don Daniele, per Gesù è essere sempre al posto giusto, al proprio posto, dove deve essere! Essere al posto giusto ti permette di vedere bene. Il pastore è al posto giusto e vede le pecore; il mercenario no, è al posto sbagliato perché (come diceva qualcuno alla condivisione sul vangelo) ha il cuore altrove ed è capace di vedere soltanto il lupo. Uno è una bella persona, scrive don Daniele, perché è dove deve essere. Gesù è una bella persona per questo! Gesù è un pastore buono non perché ha la pecorella sulle spalle come nei santini; è pastore buono perché è dove deve essere. Sono chiamato a pormi questa domanda allora: qual è il mio posto? Sono dove devo essere?
Gesù è un pastore buono, si diceva venerdì sera alla condivisione, perché il vangelo mi dice che pensa a me e mi protegge, perché gli sto a cuore, mi vede, mi conosce, mi chiama, mi guida, e per me dà tutto quello che ha: la sua vita; legato a questo, Gesù è un pastore buono perché mi rivela il volto di un Dio che non dà regole, ma la sua stessa vita.

2) Gesù, pastore che dona la vita
Dono la mia vita dice Gesù, offro, depongo, do. Dare la vita, dare vita, non è soltanto morire in croce perché ci sono tanti modi dare vita. Faccio un piccolo esempio riferendomi alla festa di Prima confessione, quando un papà mi ha detto che voleva ringraziare per il momento di preparazione vissuto insieme, perché entrare in quell'aula e vedere i genitori con i loro bimbi seduti in braccio e sapere poi che parlavano di quello che era scritto sul foglietto: ti chiedo scusa perché... grazie perché... mi fido di te perché... è stato un momento di bellezza. Secondo me, in piccolo, tanti genitori hanno fatto esperienza di quello Gesù dice nel vangelo: gli ho dato la vita e ogni giorno gli dono la mia, gli offro la mia vita, ma anche la riprendo di nuovo, perché la ricevo da mio figlio, da mia figlia, che... scusami, grazie, mi fido di te...

3) Gesù, pastore del recinto aperto
Vivere è guidare, vivere è condurre fuori. Possiamo intendere così la vita, oppure possiamo pensarla come un recinto chiuso; per usare un'espressione di queste ultime domeniche: un piccolo fortino dove mi sento al sicuro. Mi permetto qui di incollare quanto don Gero, ora vescovo a Savona, ha detto durante l'omelia della festa della Madonna della Misericordia, perché lo trovo davvero significativo: Certo, siamo tutti tentati di “bastare a noi stessi” e “non dipendere da nessuno”; vorremmo essere senza debiti e senza mancanze, e la proposta antica del Seduttore continua ad affascinarci. Forse, però, la parabola della autosufficienza assoluta inizia a mostrare le sue crepe, e cominciamo a intuire che non si vive senza gli altri e senza l'Altro. “E' vero: l'altro ci scomoda sempre. Perché il suo esserci apre una ferita-feritoia alla nostra supposta autosufficienza. Eppure, la logica moderna dell'immunitas -tenere l'altro a debita distanza- rimane insoddisfacente. Socialmente, perché non sa ricreare le ragioni dello stare insieme, ed esistenzialmente, perché l'uomo non può vivere senza affezionarsi” (Magatti al Convegno ecclesiale di Firenze). E a risvegliarci della tentazione diabolica dell'autosufficienza risuonano anche le parole di un grande testimone del Vangelo, Arturo Paoli: “l'altro non è un estraneo, l'altro è la mia obbedienza, la mia religione, il mio amore a Dio, il mio cammino”. E ricordiamo con gratitudine la testimonianza indomita e appassionata di San Giovanni Paolo II, che fin dal primo giorno del suo ministero petrino ha gridato al mondo di non aver paura di aprire le porte a Cristo e ai fratelli! Di non aver paura di aprirsi all'Altro (con la maiuscola!) e agli altri!
Questa faticosa bellezza della relazione, i bimbi che vivono la liturgia della Parola insieme ai loro catechisti, la stanno esplorando con un semplice lavoretto: il disegno di un recinto e una domanda: per chi si apre il mio recinto? Chi lascio entrare nella mia vita? Forse, e qui vale anche un po' per noi tutto questo, una chiamata che riceviamo oggi come chiesa è proprio questa: vivere la faticosa bellezza della relazione contro la tentazione di non chiedere mai e di non dare niente a nessuno! (don Gero).

4) Gesù, pastore che conosce le sue pecore
Credo dia molta speranza sapere che Gesù conosce ognuna delle sue! Intanto, conosce! Sa la mia storia, sa delle mie paure, delle mie fragilità, delle mie ferite, ma sa anche dei miei sogni e della mia forza: che bello! E poi, ancora una volta ripeto che nel testo in greco non c'è scritto pecore ma è forte il riferimento all'appartenenza; il criterio non è il nome, il criterio è l'appartenenza. Scopriamo chi siamo veramente soltanto se siamo capaci di capire di chi siamo? A chi apparteniamo? Io sono, scrive don Daniele Simonazzi, in quanto appartengo. Ci sono persone che non hanno nessuno; le incontri, magari durante la benedizione delle famiglie e quasi ti fa paura questa mancanza di radici, di riferimenti, di legami. Stando al vangelo non si può dire che non hanno nessuno perché a qualcuno appartengono. Avete conosciuto don Daniele e lui scrive proprio della bellezza di quando, magari dal Pronto Soccorso lo chiamano e gli dicono: c'è uno dei suoi qui, lo venga a prendere don Daniele! Non importa come si chiami, deve bastare sapere che è dei tuoi; il suo nome è: dei tuoi! Sono stato giovedì da don Massimo, che abbiamo conosciuto nella Settimana Santa, che per questi ragazzi che non hanno nessuno ha fatto una casa, una comunità: una casa anche per te! Ero a tavola con Fares ed altri quattro ragazzi egiziani, due lavorano tagliando erba e tre si preparano all'esame di terza media: siamo della comunità di don Massimo dicono.

Ancora una volta Dio ci viene incontro con il suo volto, un Dio buono e bello, un Dio che depone la sua vita, che ci chiama alla faticosa bellezza della relazione, che ci chiama a costruire la sua chiesa perché ci conosce e sa di cosa siamo capaci.

 

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