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TESTO Commento su Giovanni 21,1-14

don Cristiano Mauri  

Venerdì fra l'Ottava di Pasqua (06/04/2018)

Vangelo: Gv 21,1-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Giovanni introduce l'episodio dell'epilogo utilizzando il verbo «manifestarsi», cosa che non fa nelle altre apparizioni del capitolo 20, nelle quali utilizza il linguaggio dei discorsi d'addio e definisce la presenza pasquale come una «venuta».
La terminologia della manifestazione è però usata ampiamente nel resto del suo vangelo per indicare l'attività di Gesù come rivelazione della realtà divina. Il Risorto sul lago sta per rivelare qualcosa.
Siamo sul mare di Tiberiade, il che ci richiama il capitolo 6 con l'episodio della moltiplicazione dei pani e il grande discorso sul pane di vita, unico altro episodio che Giovanni colloca sulle sponde del lago. Il legame tra i due brani va tenuto presente per comprendere il pasto col Risorto.
Si parla di sette discepoli - simbolo consueto di pienezza - che si ritrovano per pescare. La cosa sorprendente è che sembrano tornare alle occupazioni quotidiane come se l'incontro con il Risorto non fosse già avvenuto e come se non avessero ricevuto alcun mandato missionario.
I loro tentativi di pesca sono infruttuosi e le parole del Risorto che chiede loro da mangiare lo sottolineano in modo evidente. I discepoli che non hanno riconosciuto il maestro vivono una situazione di carenza.
La barca, la pesca, un gruppo di sette danno al brano un forte carattere ecclesiologico: c'è a tema il rapporto del Risorto con la comunità dei discepoli e la modalità del realizzarsi di tale relazione.
È Lui a venire in aiuto di sua iniziativa. Grazie al suo comando la pesca è così abbondante da sfiancare letteralmente i pescatori. La misura del miracolo è straordinaria. Il Risorto si presenta come Colui che porta abbondanza dove c'è precarietà e pienezza dove c'è carenza.
Nel momento del riconoscimento, il Discepolo Amato appare come modello del credente esemplare che ha una particolare intuizione e conoscenza di Cristo («È il Signore»), mentre Pietro prende il monopolio dello zelo e dell'amore per il suo maestro.
Tornati a terra, i discepoli trovano un pasto già pronto, di pane e di pesce. Il legame con l'episodio della moltiplicazione è forte e palese e la terminologia di forte impronta eucaristica che viene utilizzata lo approfondisce ulteriormente. Il frutto della loro fatica - comunque “graziata” dall'intervento del Risorto - viene unito a ciò che già era preparato.
Tutto è parte di un'unica mensa che è la mensa del dono.
Il Cristo di Giovanni appare come un ospite che invita i suoi a ricevere il pane che li nutrirà. Una mensa ricca, frutto di grazia e dell'iniziativa di Gesù, un cibo di vita che condensa l'offerta di salvezza che ai suoi è donata.
I discepoli sono descritti come coloro che sono ospitati dal Signore, dentro una relazione che li nutre e dà loro la vita in abbondanza. La pesca fatta dà a questo essere ospitati un colore fortemente attivo e per nulla passivo. Sono “protagonisti” attivi dell'ospitalità che ricevono.
Ecco la rivelazione che il «manifestarsi» prometteva.

Prese il pane e lo diede loro.
Preparare per qualcuno. Trovare pronto e lasciarsi servire.
Nei tempi della vita sono esperienze che si alternano. Qualcuno potrà avere un bilancio che peserà più da una parte. Altri sperimenteranno l'opposto.
A volte si è più portati a sottolineare l'importanza del dedicarsi al servizio altrui, altre a evidenziare la bellezza di sperimentare la generosità di cui un amico ci onora.
Le si considera normalmente esperienze alternative, l'una l'opposto dell'altra, spesso finendo con il contrapporle. Sentendoci magari in colpa se ci vediamo troppo serviti e poco servi, oppure masticando un po' di rabbia se ci vediamo sempre col grembiule ai fianchi, senza mai la possibilità di goderci la cura altrui.
L'una e l'altra cosa però - ospitare ed essere ospitati - sono parte e manifestazione di una stessa realtà: l'impegno da parte del Risorto di colmare la nostra esistenza di una Vita ricca e abbondante.
Separarle è la vera “ferita” che ci deforma un po' lo sguardo, finendo col toglierci serenità.
Sapere che «c'è più gioia nel dare che ricevere» (At 20, 35) è un buon antidoto al pericolo dell'egoismo e della pigrizia nel donare. Ma ascoltare che «se non ti laverò i piedi non avrai parte con me» (Gv 13, 8) ci ricorda che accogliere il dono di Dio è la via della salvezza e della santità.
C'è abbondanza, pace, gioia, ricchezza, soddisfazione, bellezza, realizzazione tanto nel lasciarsi carezzare dal bene dell'altro quanto nell'offrire la nostra carezza.
C'è pienezza di Vita nell'ospitare quanto nell'essere ospitati. La stessa pienezza, la medesima Vita. Curare, lasciarsi curare è fare esperienza dello stesso Dono.
In questa grande «economia del donare/donarsi e ricevere» c'è il farsi presente del Risorto che dà la Vita in abbondanza.

 

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