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TESTO Commento su Luca 24,13-35

don Cristiano Mauri  

Mercoledì fra l'Ottava di Pasqua (04/04/2018)

Vangelo: Lc 24,13-35 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Il brano dei due di Emmaus, attraverso una sapiente corrispondenza tra diverse parti del testo, è costruito in modo “concentrico” così da dare particolare rilievo a una parte del racconto.
Troviamo infatti: A. Andata a Emmaus - B. Tristezza e incontro con Gesù - C. Dialogo - B. Riconoscimento di Gesù e gioia - A. Ritorno a Gerusalemme.
Il cuore dell'episodio è lo scambio tra il Risorto e i discepoli, e questo speciale modo di costruire la narrazione ci invita a soffermarci soprattutto su quello per coglierne tutto il significato.
Lo sfondo su cui avviene il dialogo è quello del «cammino».
Per indicarlo, Luca usa lo stesso verbo con cui ha descritto in 9, 51 la decisione ferma di Gesù di salire a Gerusalemme, cioè il suo avanzare determinato verso il compimento della volontà di bene del Padre suo.
L'andare dei discepoli è dunque già compreso dentro il procedere dell'amore di Dio nella storia degli uomini, per quanto i loro passi siano ciechi.
Sollecitati da Gesù che chiede di raccontare, i due fanno un preciso e puntuale sunto di quel che l'evangelista ha raccontato fino a quel momento. Luca ci aveva già informato della fragilità e dell'incapacità di comprendere dei due: gli «occhi impediti» - letteralmente - erano l'immagine di un'intelligenza “inabile”.
La descrizione degli eventi è perfetta ma priva della sua dimensione di annuncio. I fatti sono gusci vuoti, precisi, perfetti ma freddi e muti. Luca ci fa sentire l'effetto tremendo di una storia sganciata dalla sua componente evangelica: la speranza, affondata nel passato, è solo un pallido ricordo («speravamo»).
Colpisce molto il fatto che si possa sapere e dire tutto di Cristo e del suo operato senza fare di ciò un Vangelo.
La reazione di Gesù è una vera e propria sfuriata. Non li rimprovera per non averlo riconosciuto, nemmeno per non aver creduto agli annunci della resurrezione. L'accusa è attorno alla comprensione delle Scritture. I discepoli sono stati «privi di intelligenza» davanti ad esse e con un «cuore lento» (la fede chiede intelletto e affetto, i due difettano di entrambi).
Quel che non hanno colto e non hanno avvertito, è la corrispondenza in termini di compimento tra profezia delle Scritture e fatti accaduti. Tutta la Scrittura (legge e profeti) riguardava Gesù e anticipava gli eventi dandone anche la chiave di lettura.
La relazione tra la promessa presente nelle profezie e il suo compiersi richiede una spiegazione.
Ciò che Gesù offre ai due è, letteralmente, una «traduzione». L'espressione usata da Luca richiama l'idea di una distanza da coprire, uno scarto da colmare, un passaggio da compiere da una sponda a un'altra.
Non pare che i due capiscano immediatamente la spiegazione. Occorre un gesto che li introduca a comprendere quella particolare modalità di presenza del Risorto che sarà una presenza-assenza: allo spezzare del pane, mentre Lo riconoscono, Egli scompare alla loro vista.

Non ci ardeva forse il cuore?
L'incontro con il Risorto non cambia i fatti della storia che i due discepoli conoscevano. Gli eventi restano gli stessi, i protagonisti anche, le evidenze sono le medesime.
A cambiare sono il cuore e l'intelligenza. Lo sguardo e la comprensione.
Ciò che era fallimento diviene successo. Colui che era apparso inaffidabile ora risulta fedele. Quel che sembrava debole ora si rivela forte.
E così i fatti - gli stessi identici fatti - mostrano una quarta dimensione oltre alle tre solite della loro realtà materiale, quella del compimento.
Il cuore che arde è l'intuizione interiore che quel che si è sperimentato e che ancora si sperimenta è una storia «viva», a favore del compiersi della vita.
Il Risorto ci chiede di stare dentro le nostre vicende personali guardandole sempre e comunque come storie che procedono verso un compimento e che portano dentro di sé il seme quotidiano di tale meta.
La fede nel Risorto non cambia certo la forma delle cose che affrontiamo o abbiamo affrontato. Qualche volta, forse. Ma certo sempre ne trasforma la sostanza, riuscendo persino a fare della morte una vita.
Accogliere la parola che ci annuncia Gesù come compagno vivo della nostra strada ci libera dalla stoltezza e ci accelera il cuore.
Sapere che nello scorrere degli eventi che costellano il mio cammino personale c'è un compimento che accade è una notizia buona, un Vangelo, che mi chiama a farmi alleato serio e responsabile dell'ordinario - a volte così banale, spento, ripetitivo, insensato, vuoto, frustrante, deludente, logorante - in cui vivo.
Il quotidiano non è anzitutto il luogo della croce da portare, ma del compimento da scoprire.
Solo per questa speranza si possono anche affrontare le croci.

 

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