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TESTO Commento su 2Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21

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IV Domenica di Quaresima - Laetare (Anno B) (11/03/2018)

Vangelo: 2Cr 36,14-16.19-23; Sal 136; Ef 2,4-10; Gv 3,14-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 3,14-21

14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, 15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.

16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. 17Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.

19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. 21Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Le letture di questa domenica si inseriscono nello schema di fondo dell'anno B che sottolinea che Dio ci ama e ci aiuta a capire il senso delle contraddizioni che il peccato comporta.
Dio ci ama, ma ci ama a modo suo: ha permesso l'esilio del suo popolo per educarlo. Rileggendo la storia, Israele si era conformato alla mentalità dei popoli pagani, all'idolatria. Dio, che guida la storia, permette che si allontanino da lui, ma poi interviene per raddrizzare le cose. Questo atteggiamento pone delle domande di fondo: i cristiani devono difendere la propria identità oppure...? I cristiani hanno coscienza di essere un popolo profetico? Chi vince il mondo? Dio vede e provvede: come? La nostra fede può vincere il mondo? Se sì quale fede?
Oggi celebriamo la quarta domenica di Quaresima definita della gioia. Infatti nell'antifona d'ingresso alla celebrazione eucaristica leggiamo: “Rallegrati, Gerusalemme, e voi tutti che l'amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell'abbondanza della vostra consolazione” (cf. Is 66,10-11). La liturgia prevede anche in questa domenica di indossare paramenti liturgici di colore rosa, a sottolineare questo atteggiamento di gioia: l'amore di Dio è la fonte della nostra gioia, di ogni gioia, di ogni consolazione.

La prima lettura tratto dal libro delle Cronache ci racconta il dramma di Israele, la distruzione del tempio di Gerusalemme e la deportazione in Babilonia, a seguito dell'infedeltà, alla rinuncia della propria identità e per non aver ascoltato la voce dei profeti che da sempre Dio invia al suo popolo perché si ravveda e si converta. Però Dio non si perde d'animo e susciterà il suo spirito in Ciro, re di Persia, che ridà al suo popolo la speranza del ritorno: l'ultima parola è sempre il perdono, e questa è la lieta notizia!

È su queste note che san Paolo, nella sua lettera agli Efesini, riprende questo tema e ci ricorda che “Dio è ricco di misericordia” e ci ha fatto rivivere con Cristo, da morti che eravamo per le nostre colpe. Paolo ribadisce che la vera fonte di tutta questa bellezza è la bontà gratuita di Dio, alla quale possiamo accedere grazie al suo dono della fede. Per questo siamo resi capaci di attuare le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.

Nel Vangelo troviamo il racconto dell'incontro di Gesù con Nicodemo, nel quale forse ciascuno di noi si ritrova un po' rappresentato: un uomo credente, che conosce la Parola di Dio, ma è pieno di dubbi. E' un dialogo tra due modi differenti di vedere la vita, con una diversa interpretazione.
Gesù gli dice che “Dio ha talmente amato il mondo da mandare suo figlio a salvare il mondo”. Questa frase diventa la chiave di lettura del progetto divino sull'umanità. Il nostro Dio che ama desidera la nostra felicità più di quanto noi stessi la sappiamo desiderare. La vita è una cosa seria e la felicità un percorso che richiede fatica e costanza: la croce di Gesù testimonia, se ancora ce ne fosse bisogno, fino a che punto Dio è disposto ad amarci e a collaborare alla nostra gioia. In questa prospettiva non è tanto Dio a giudicare, quanto piuttosto l'uomo stesso, con la propria vita, con il rifiuto o l'accoglienza dell'amore che troviamo in Cristo. L'uomo si costruisce dentro di sé la salvezza o la condanna, diventa luce o tenebra. È la fede che opera il giudizio ed è l'uomo a giudicare se stesso con il suo comportamento. Nell'ultimo versetto (v. 21) l'Evangelista usa un'espressione interessante: “fare la verità”. Per noi la verità è una nozione da apprendere, ma per il mondo biblico invece, e in particolare per Giovanni e Paolo, la verità di Dio non è tanto da conoscere ma da fare, cioè è il piano salvifico di Dio da accogliere nella propria vita e da costruire insieme con Lui.
Gesù crocifisso, il Figlio innalzato come il serpente nel deserto dell'Esodo, diventa il riferimento centrale di tutta l'umanità: noi non siamo cristiani perché amiamo Dio, ma perché crediamo che Dio ci ama. Rinascere allora è dire di sì al progetto che Gesù ci chiama a vivere, vuol dire accettare l'amore di Dio che passa anche attraverso le difficoltà, ai momenti non sempre facili, e sapere sempre rivolgere il nostro sguardo a Lui che, innalzato sulla croce, ci attira a se e ci insegna la via dell'Amore totale. Gesù ci invita ad essere luce, cioè mettere noi, le nostre paure, i nostri desideri, le nostre esigenze in secondo piano e dedicarci a chi ci sta vicino in famiglia, al nostro partner, ai nostri figli e a tutti coloro che abbiamo deciso di accogliere nella nostra vita con il sì nel giorno del nostro matrimonio.

Per la riflessione di coppia e di famiglia:
- Questa coscienza che Dio ci ama comunque e diventa la nostra salvezza, nei momenti difficili e anche in quelli belli ed è il nostro punto di riferimento, ci appartiene oppure facciamo fatica a concretizzarla?
- San Paolo ci dice che siamo chiamati a fare il bene seguendo le opere che Dio ha preparato per noi. Siamo convinti che il bene dipende più dalla grazia che dalle nostre opere?
- Noi siamo Nicodemo quando? Quando vediamo i nostri figli come ci comportiamo con loro di fronte ai dubbi, alla ricerca di testimonianza...? Come genitori come ci mettiamo di fronte alla diversità dei nostri figli, li vediamo come strade nuove per arrivare a valori autentici... oppure?

don Oreste, Anna e Carlo - CPM Torino

 

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