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TESTO Commento su Gen 22,1-2.9.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31-34; Mc 9,2-10

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II Domenica di Quaresima (Anno B) (25/02/2018)

Vangelo: Gen 22,1-2.9.10-13.15-18; Sal 115; Rm 8,31-34; Mc 9,2-10 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 9,2-10

2Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro 3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. 4E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. 5Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 6Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. 7Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». 8E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.

9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. 10Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

L'episodio della trasfigurazione di Gesù, che Marco descrive nel nono capitolo del suo Vangelo e che la Chiesa propone al nostro ascolto in questa seconda domenica di Quaresima, può essere analizzato da varie prospettive. Da parte mia, non essendo un teologo, vorrei tralasciare almeno provvisoriamente una chiave di lettura teologica: senza tuttavia lasciare sotto silenzio che la contemporanea presenza sul Tabor di Mosè ed Elia insieme con il Cristo trasfigurato, fornirebbe l'opportunità, particolarmente suggestiva e meritevole di un approfondimento, che sia la Legge che la profezia entrano come sintesi nella prospettiva di Gesù e quindi nella storia della nostra salvezza.
Il Vangelo è pedagogia e formazione permanente per tutti gli uomini e le donne di buona volontà: può e deve essere oggetto di studio e di (seria) esegesi, ma lascia indubbiamente spazio a quella capacità evocativa (ed educativa) della Parola che a tutti, anche ai non «esperti», lo Spirito suggerisce.
A colpirmi in questa pagina di Evangelo è un apparentemente piccolo dettaglio: l'ingenua ed emotiva reazione di Pietro alla eccezionalità dell'avvenimento; il riconoscere, da parte sua, quanto fosse bello sostare in quel luogo; e subito - con l'impulsività e l'empirismo del lavoratore che lo contraddistingue - l'idea di costruire tre tende per prolungare la sosta.
Non è difficile immaginare la reazione di Gesù. Egli non cede mai a tentazioni allettanti ed alienanti: lo ha dimostrato tenendo testa alle proposte del Tentatore, lo dimostra oggi nel confronto con l'uomo sul quale ha scommesso l'unità e la comunione della Chiesa lungo la Storia.
Per un cristiano può essere allettante (e tuttavia alienante) la ricerca del potere, il voler essere ad ogni costo maggioranza; il messianismo di chi ancora sogna l'assoluto evangelico incarnato in strutture temporali; l'inconfessata speranza di chi organizza Family Day (et similia)...sono queste le strade attraverso le quali passa e si consolida (ma davvero avrà un futuro...?) l'integralismo ancora presente nel nostro tempo.
Esperienze alienanti: perché mi sottraggono (cioè, appunto, mi alienano) dalla realtà quotidiana nella quale ho la ventura di vivere e mi inducono alla terribile tentazione di porre le due esperienze - quella quotidiana e quella religiosa - su due piani diversi e non comunicanti; perché mi impediscono di cogliere che il problema vero, per un cristiano, non è tanto quello di portare lo spirituale nel profano, quanto piuttosto di scoprirlo in esso e di farlo emergere; perché fanno leva sulla emotività che sempre alberga in noi, emozionandoci (giustamente) per i bellissimi canti di alcune nostre liturgie domenicali, senza che neppure ci sfiori il dubbio che si tratta di assemblee di gente privilegiata, che sta bene, e che magari si sente anche felice; ma che non sono assemblee né complete né riconciliate se non scendiamo dal monte, se non abbandoniamo l'idea delle tende in cui si sta bene e se non facciamo entrare nelle nostre vite e nelle nostra assemblee i drammi e la disperazione della gente che sta male; del cassintegrato che preferisce il suicidio alla vergogna della disoccupazione; del drogato che percorre tutte le carrozze di un treno per trovare i soldi per acquistare la sostanza; della prostituta per fame; di quei due ragazzi che si amano e che convivono e non si sposano perché hanno perso la speranza in un futuro; dell'anziano istituzionalizzato nella solitudine e nell'angoscia più totale.
Certo, costruire la tenda sul monte può essere gratificante e donare un'euforia strana: finalmente ho trovato il «mio gruppo», i «miei amici» esclusivi, e questo mi basta... ma questo mi impedisce di scendere dal monte delle illusioni e di condividere con tutti la mia esperienza di risorto.
Capita anche per due innamorati. Per loro, esiste anche il momento in cui si guardano negli occhi senza parlare, e neppure vengono sfiorati dalla gran confusione che c'è attorno a loro, gente che corre... corre... mentre si baciano appassionatamente incuranti di chi li osserva. Ma questo è un momento eccezionale: senza rinunciare a volersi bene dovranno poi fare i conti con la quotidianità, con la banalità dell'esistenza umana. Ma rientrare nella routine non è sempre una cosa spregevole dal momento che si tratta della condizione normale delle persone con cui viviamo. Cercare una casa, fare due calcoli per vedere se i soldi di cui disponiamo ci consentono di sopravvivere non solo per due settimane al mese, affrontare i problemi della malattia che ci colpisce quando meno ce lo aspettiamo; aver figli, allevarli, mandarli a scuola, gestire le loro crisi... Il cristiano non è uno che banalizza queste realtà, che quasi di esse si vergogna considerandole un sottoprodotto dell'esperienza, ma che invece in esse si compromette con tutta la sua serietà di uomo e di donna, sapendo che esse entrano nel gran mistero della salvezza, nel progetto di liberazione.

Traccia per la revisione di vita
- La nostra famiglia è “puntuale” nel cogliere i “segni dei tempi”?
- Conserviamo nel nostro cuore la capacità di meravigliarci (delle cose belle che vediamo, del volto e del corpo del nostro partner, dell'ingenuità di un bimbo, dei ricordi belli che ci possono guidare nel nostro esodo)?
- Siamo rassegnati al dato, all'esistente, oppure siamo capaci di mantenere delle “visioni”, di coltivare delle utopie, di combattere perché queste utopie possano essere realizzate?
- Siamo disposti a “scendere dal monte” e ritornare in mezzo alla “gente”, cioè ai nostri fratelli in ricerca con noi?
- Anche noi ci chiediamo, come gli Apostoli, che cosa significa risorgere dai morti?

Luigi Ghia - Direttore di “Famiglia Domani”

 

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