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TESTO Adagio, adagio, verso un pozzo...

don Angelo Casati  

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II domenica di Quaresima (Anno B) (25/02/2018)

Vangelo: Gv 4,5-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 4,5-42

5Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».

27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui.

31Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».

39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Da anni ormai, quando indugio a rileggere questo racconto del vangelo, della donna al pozzo, mi sfiora il timore, sempre, che le mie pallide parole possano violarlo. Forse anche per questo oggi, più delle altre volte, andrò per sussulti. E' come se sfiorassi l'atmosfera in cui avvenne. Pensate, i colori, i suoni, il bisbiglio delle parole e il sole, caldo sole, fiammeggiante, di mezzogiorno. E penso al giorno misterioso in cui o uno o l'altra - non si scappa, o uno o l'altra, o Gesù o la donna - o tutte e due hanno confidato ad altri parole ed emozioni di quell'incontro. Forse con il desiderio che la bellezza dell'incontro arrivasse altrove e in altre stagioni. Grazie a quelle confidenze questa mattina la bellezza è arrivata a noi. Nella sua bellezza, sentiamo parole, parole sottovoce.

Che grazia! Finalmente fuori - pensate - dalle parole urlate dei nostri giorni. Parole, queste, dentro un colore, quello delle sabbie estasiate - sì, quel giorno, anch'esse estasiate - del deserto di Sicar. Dentro il gorgogliare sottile dell'acqua del pozzo. Dentro gli sguardi. Odori la tenerezza degli sguardi. I silenzi, tra parola e parola. I silenzi che non sono silenzi. Come quelli degli innamorati. E il rabbi di Nazaret che confessa la sua sete, e la donna che confessa poco a poco la sua sete. Perché il dialogo - e voi lo sapete - è vero ed è intimo se ci si confessa la sete. L'uno all'altro. Si potrebbe violare il racconto. Succede quando gli si toglie, sezionandolo, disarticolandolo, il colore. Pensate, per inciso a quale impoverimento abbiamo destinato i dieci comandamenti strappandoli al contesto di una storia viva di rapporti di vita come quella che oggi ci è stata raccontata nel libro del Deuteronomio.

Ebbene io quest'anno il racconto del pozzo di Sicar vorrei lasciarvelo così. Così nella sua bellezza. Inviolabile. Poi succederà a qualcuno di voi in questi giorni di indugiare su qualche parola di questo dialogo, anche una parola sola. Ma dentro il colore, dentro il suono. Vi dicevo che noi purtroppo abbiamo anche la capacità - pessima capacità - di violare, di ferire a morte le cose belle, la bellezza dei sentimenti. E già ci provarono - e lo abbiamo letto - purtroppo i discepoli. Vi confesso che quest'anno, rileggendo il racconto, le parole di Gesù e le parole della donna, ho sentito, forse come mai, rozze, spente, cieche, quasi mercantili, le parole, ma anche gli sguardi, dei discepoli, che ritornano dalla città, dove erano andati a fare provvista di cibi. E si meravigliano che il loro maestro stesse parlando con una donna. Sono come spaesati. Fuori del paese dei sentimenti. Sono concentrati sul mangiare: "Rabbi, mangia".

Ma lo avevano guardato negli occhi il loro Maestro? "Rabbi, mangia": un po'? Come succede qualche volta a noi, quando diciamo: "Su, mangia". ma non ci sfiora quello che sta passando nell'animo di chi ci sta accanto. E poi quei pensieri dei discepoli che danno la sensazione di uomini che vorrebbero insinuare chissà che cosa. Non hanno il coraggio di esprimerla, ma la domanda è come sospesa nei loro pensieri. Vorrebbero dirgli: "Ma che cosa cerchi? Perché parli con lei?". Quasi fosse una cosa meno decente. E forse un po' ambigua. "Che cosa cerchi?". Ma avevano già dimenticato quello che lui aveva detto nella casa di Zaccheo, mentre banchettava con pubblicani e peccatori, proprio rispondendo alle critiche dei benpensanti? Con parole forti, inequivocabili, aveva detto: "Il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto". Che cosa cerchi? Aveva cercato quella donna, lei che si era come perduta dietro uomini che non avevano colto il suo cuore. Era nato un incontro. Era bastato quell'incontro perché la donna scordasse la sete e perché lui, il rabbi di Nazaret scordasse la fame.

Lei lasciò la brocca e corse, corse in città. Lui lasciò il cibo e si abbandonò ai sogni: era come se i suoi occhi intravvedessero campi biondeggianti per messi tre mesi prima della stagione dei raccolti. "Alzate i vostri occhi e guardate" esorta. Come se dicesse: "Siete inghiottiti dalla materialità del cibo! Dalle cose. Ma così si rovina tutto!". Vi dicevo che noi abbiamo la triste possibilità di spegnere l'incanto del nostro incontro con Dio, come dei nostri incontri con l'altro, con l'altra. E di diventare faccendieri e burocrati, anche dello spirito. Noi dobbiamo stare in guardia, sì, stare in guardia anche dai piccoli burocrati di Dio. Che chiudono e spengono. Con la loro raggelante meschinità.

Proprio ieri sera in un incontro mi è capitato di evocare parole severe di Rainer Maria Rilke, contro quelli che non provano stupore: tutto sta nei loro giardini e i loro giardini per presunzione confinano con Dio. Scrive: "Non c'è montagna che li meravigli, /le loro terre e i giardini confinano con Dio. Vorrei ammonirli, fermarli: state lontani, /a me piace sentire le cose cantare. Voi le toccate: diventano rigide e mute. / Voi mi uccidete le cose". Guardiamoci anche oggi da coloro che uccidono, privandole di un'anima, le cose: "Voi le toccate: diventano rigide e mute". Guardiamoci da loro, e guardiamoci dal diventare noi come loro. Guardiamoci da una vita ridotta a mercato, guardiamoci dai mercanti. Non sanno che cosa è la nostra vera sete.

Ebbene perdonate se, nel giorno in cui abbiamo letto di pozzo e di acqua che zampilla per la vita eterna, io oso ancora una volta evocare con voi una pagina famosa del Piccolo Principe di A. de Saint-Exupéry, che parla di acqua e di mercanti di pillole: "Buon giorno", disse il piccolo Principe. "Buon giorno", disse il mercante. Era un mercante di pillole preconfezionate, che calmavano la sete. Se ne inghiottiva una alla settimana e non si sentiva più il bisogno di bere. "Perché vendi questa roba?", disse il Principe. "È una grossa economia di tempo", disse il mercante. "Gli esperti hanno fatto dei calcoli. Si risparmiano cinquantatrè minuti alla settimana". "E che cosa se ne fa di questi cinquantatrè minuti?". "Se ne fa quel che si vuole...". "Io", disse il Principe "se avessi cinquantatrè minuti da spendere, camminerei adagio adagio verso una fontana...". Camminare adagio adagio verso una fontana. Com'è importante abbandonare le pillole preconfezionate, le parole dei mille mercanti di formule magiche, di promesse mirabolanti. E camminare adagio adagio verso la fontana dell'incontro.

E' la nostra quaresima.

 

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