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TESTO Commento su Giovanni 21,20-25

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Sabato della VII settimana di Pasqua (07/06/2003)

Vangelo: Gv 21,20-25 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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20Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». 21Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». 22Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». 23Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».

24Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. 25Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

Dalla parola del giorno

Pietro...vide che li seguiva il discepolo che Gesù amava...e disse a Gesù: "Signore, e lui?". Gesù gli rispose: "Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi".

Come vivere questa parola?

Siamo alle ultime battute del dialogo tra il Signore Risorto e Pietro, sulla riva del lago di Tiberiade. Gesù gli aveva appena annunziato «con quale morte avrebbe glorificato Dio». Ora, voltandosi verso l'apostolo Giovanni, Pietro chiede quale sarebbe stata la sorte del discepolo amato. Ma Gesù taglia corto e risponde in modo misterioso: «che importa a te se voglio che egli rimanga finché io venga? Tu seguimi». Lasciando in sospeso la sua curiosità intende fargli comprendere che l'intimità con Lui non consiste tanto nella penetrazione piena dei segreti del regno, ma nella fedeltà alla sequela, "termine ultimo della conoscenza di Cristo", come scrive il card. Martini.

«Tu segui me»: un imperativo ben lontano dall'oppressione del vincolo. Si tratta piuttosto di una chiamata alla libera gratuita sponsalità con Dio che si percepisce nella misura in cui maturiamo dentro la consapevolezza del dono ricevuto: il suo amore redentivo «che è stato riversato nei nostri cuori». "La vera sequela - afferma Kierkegaard - nasce non quando si dice 'devi' seguire il Cristo, ma quando si proclama ciò che Cristo ha fatto per me". Ecco l'orizzonte verso cui è proiettato l'apostolo Pietro: l'alleanza nuziale, che sgorga dalla contemplazione del mistero dell'amore di Cristo. Da questa fonte zampillante di vita nuova nello Spirito scaturisce un grato stupore che conduce via via, per grazia, a conformarsi a Lui sino ad offrirsi con Lui al Padre in sacrificio di soave odore.

Oggi nel mio rientro al cuore rivisiterò le meraviglie che Dio ha compiuto in me attirandomi a sé nell'amore. Al contempo mi chiederò se percepisco l'esperienza della sequela come un dovere da compiere o una chiamata liberante che mi prospetta vie luminose di salvezza. Questa la mia preghiera:

Tu mi attrai, o Signore, con l'imperativo liberante del tuo amore. Che io mi muova sempre verso te e mai ti perda di vista. Lungo il cammino non mi sorprenda l'inerzia né mi distragga il riandare nostalgico al passato trascorso o il sogno di un futuro che ancora non vedo. Percepisca piuttosto il sussurro lieve del tuo invito esigente: «Segui me».

La voce di un grande Papa

La santità è un dramma d'amore tra Dio e l'anima umana; un dramma il cui vero protagonista è Dio stesso.
Paolo VI

 

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