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TESTO Commento su Giovanni 20,19-23

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Pentecoste (Anno A) - Messa del Giorno (15/05/2005)

Vangelo: Gv 20,19-23 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».

* Il dono dell'alito di Gesù ai discepoli, l'alito nuovo della resurrezione che costituisce il respiro di un mondo nuovo, di una creazione capace di un nuovo inizio, è il dono del suo Spirito. Questo è il mistero che contempliamo in questa domenica di Pentecoste, a conclusione del tempo pasquale. Il compimento della Pasqua del Signore Gesù è oggi davanti a noi, il frutto di quel seme caduto in terra e marcito, capace però di germogliare ancora e di crescere, è questo: lo Spirito Santo donato a noi perché diventi nostro respiro, aria nuova che riempie le stanze della nostra vita. Il Signore ne aveva parlato a lungo con i suoi nell'ultima sera, quella prima di essere arrestato, giungendo a dire addirittura che era bene che lui se ne andasse, perché in questa assenza si sarebbe creata una nuova possibilità, lo spazio per un'altra presenza capace di creare un legame tra lui e loro persino più tenace e resistente della loro amicizia durata tanti anni, più forte di ogni legame di carne: la presenza in loro del suo Spirito. Aveva provato a far comprendere loro che questa era la direzione, il senso segreto, la meta di ogni cosa che sarebbe accaduta nelle ore successive, le ore della passione e della morte. Dopo Pasqua, secondo il racconto che oggi ascoltiamo nella liturgia, Gesù può dare compimento a questa promessa, nella quale accade, in realtà, non una cosa diversa da quello che è sempre stato il suo modo di vivere e di morire, ma la radicale e definitiva realizzazione della sua vita e della sua morte: il dono di sé. Gesù dona agli altri tutto, fino in fondo, senza nessuna riserva, "fino alla fine", come dice l'evangelista all'inizio del grande racconto della Passione: dona persino il suo stesso Spirito. E che la Pentecoste non fosse altro che l'ultimo orizzonte di questa logica di amore e di dono l'evangelista Giovanni ce lo aveva già suggerito, facendoci intravedere che proprio nel momento della morte di Gesù, del dono incondizionato e totale della sua vita, proprio in quel momento il Signore "diede lo spirito", soffiò sull'universo il suo alito invincibile di vita e di amore.

Nel brano di oggi questo stesso legame tra la Pasqua di Gesù vissuta come un dono e la Pentecoste ci viene suggerita in un altro modo, quasi simmetrico e speculare al racconto della croce. Lì, mentre Gesù moriva, si dice che "donò lo spirito". Qui, mentre si racconta del suo incontro con i discepoli dopo la Pasqua, si dice che "mostrò loro le mani e il costato". Lo Spirito esce da lì, da quelle ferite, dalle fessure di un corpo che si è aperto perché potesse uscirne tutta la vita, fino alla fine, una vita non ritenuta un tesoro da conservare gelosamente, ma un dono da fare agli altri. Lo Spirito ci giunge perché Gesù ci ha amati e ci ama fino alla fine, fino a darci tutto di sé, senza tenersi niente!

* Questo dono ci lega al Signore Gesù e crea tra lui e noi una comunione profonda, che giunge fino alla condivisione dello stesso respiro, della stessa vita, fino alla condivisione delle stesse ragioni di vita. È forza che ci rende capaci di vivere come viveva lui, di fare del dono di sé lo stile e il motivo del nostro vivere. Anche il luogo in cui avviene l'incontro ribadisce che lo Spirito è energia che spinge al dono di sé, che vince la paura dell'altro e rende coraggiosamente capaci di amore: quella casa era "il luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei", era il luogo della paura dell'altro, della non relazione, della fuga dalla relazione. Gesù "venne" in quel luogo per donare lo Spirito, come aveva fatto sempre di fronte al ritardo e all'incomprensione dei suoi amici: per l'ennesima volta non li giudica, ma sceglie di andar loro incontro, di raggiungerli fin nel cuore della loro debolezza spaventata, e a partire da lì dona loro la forza per uscirne. Se la presenza dello Spirito in noi è misteriosa, a volte indecifrabile, creduta per fede ma sfuggente ad ogni precisa delimitazione, certo non è indecifrabile il frutto di questa presenza in noi, il segno della sua abitazione nel nostro cuore: questo frutto è l'amore, la capacità di uscire fuori di casa per andare incontro all'altro, la progressiva assimilazione dell'amore come ragione di vita. Solo la dilatazione degli spazi della relazione e dell'amore sono la garanzia che stiamo lasciando circolare in noi l'alito del Risorto. L'apertura delle porte, l'abbandono dei rifugi individualistici, la crescita del senso di ospitalità e di fraternità, la voglia di comunità e di condivisione, di dialogo e di corresponsabilità, questi sono i segni autentici dello Spirito nella nostra vita. Insomma è l'apparire sul nostro corpo di ferite, fessure - sante anche se sanguinanti - che creano comunicazione e condivisione, nelle quali l'altro si può affacciare con il suo volto nella nostra esistenza, questa è la Pentecoste in ciascuno di noi.

* Questo dono, nel testo di Giovanni che leggiamo oggi, si accompagna ad altre due indicazioni, che quasi specificano la sua consistenza: la pace e la remissione dei peccati. Lo Spirito Santo è la pace, ed è la remissione dei peccati.

Il dono infinito del Signore, quando si posa sulle nostre povere esistenze, le rende capaci di percorrere vie di pace. Ma Gesù, di nuovo, con insistenza grande, dice che la pace dello Spirito non è la mancanza di problemi, la pace sicura e placida che c'è sempre quando rimani in casa e lasci il mondo fuori della porta, perché essa deve andare insieme alla missione: "come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". È la pace della strada, la pace insicura perché partecipa dell'insicurezza che sempre caratterizza ogni cammino, ma che sorregge i tuoi passi e li rende forti e coraggiosi. È la pace di chi si sente mandato, spinto, di chi non può fare a meno di pensare agli altri, a quelli di fuori, a quelli a cui non sei legato da vincoli di sangue ma che pure senti vicini a te per la comunanza dell'unica natura umana, pur se vissuta in altre contrade del mondo, in altre regioni dello spirito. È la pace visionaria che vede il futuro, vede tutti riuniti in un'unica famiglia (II lettura), a formare un unico corpo, pur nella diversità bella e arricchente di ciascuno. È la pace che nasce dall'avere trovato un senso al tuo cammino, non che ti viene dall'aver deciso per paura o per egoismo di non camminare più! È la pace di chi ha deciso di percorrere il cammino della vita donando se stesso agli altri, come Gesù.

Anche la remissione dei peccati è il frutto di questo dono totale del Signore, che non ha misurato il suo amore per noi sui nostri meriti, o sulla mancanza di colpe, aspettando per donarsi a noi di vederci maturati e perfetti. È vero il contrario, invece: il suo amore che si riversa incondizionatamente su di noi ci guarisce e ci cambia, perché incontrandoci peccatori - chiusi in una stanza per paura dell'amore - diventa subito perdono e remissione di ogni colpa. Noi possiamo uscire da quella camera, vivere e camminare perché perdonati, possiamo respirare l'aria che dalle narici di Gesù è passata nelle nostre perché debitori inadempienti graziati, debitori a cui è stato condonato tutto, gratis. Il frutto dello Spirito in noi è così, di nuovo, un frutto di amore: ci spinge ad amare chi non si merita il nostro amore, a rimettere i debiti ai nostri debitori, a uscire dal calcolo dei meriti e della ragionevolezza dei nostri comportamenti, per correre incontro all'eccedenza folle di chi ama le persone da cui non è riamato, ama persino chi gli sta facendo del male, e mentre lo sta facendo. La lingua più difficile da parlare infatti (I lettura), quella a cui non siamo abituati e che ci resta sempre estranea, non è quella dei Parti, degli Elamiti, degli Arabi, ma la lingua di chi ci sta davanti per farci del male. La lingua più difficile, sulla quale dobbiamo sintonizzarci, è quella del nemico, e lo Spirito ci insegna a parlare anche quella, per pronunciare nel suo idioma parole di perdono. È la follia dello Spirito nelle nostre povere vite, rese capaci di cose divine. Non per loro merito, ma per il dono dello Spirito Santo.

Commento di don Gianni Caliandro

 

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